EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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Post n°803 pubblicato il 04 Marzo 2019 da enodas
Tra suggestione e realtà, anche solo arrivare in queste capitali del nord Europa, da l'impressione di varcare la soglia di un mondo diverso, dove tutto sembra regolato, i servizi sono eccellenti ed ogni cosa é al proprio posto. Anche quando il gelo copre le strade, i marciapiedi sono coperti di sale e di sabbia, e giù all'imbocco del porto il mare é un'unica lastra ghiacciata. E' una fredda giornata di sole. E' un mondo nuovo e lontano, appena arrivato, nell'anticamera del freddo nord, dove ancora la forza della natura si limita a lambire un calore familiare e rassicurante, eppute allo stesso modo che appare in una palla di vetro perfetta e protetta in un'aura di silente perfezione.
Mi sono trovato a solcare quelle acque ghiacciate, una prima volta, a raggiungere l'isola che dal porto si intravvedeva all'orizzonte. Abbiamo affiancato isolotti che sembravano come scogli coperti di bianco ed un unico edificio incastrato si un lato, e nel frattempo scavato scie che sembravano abissi nell'acqua scura e profonda di mare, là dove delle lastre di ghiaccio non rimanevano che frammenti. Per scendere, infine, sull'isola fortezza, attraversare un ponte che nel gelo dell'inverno era come un fermo immagine del tempo. Silenziosamente, affondando tra distese di neve fresca, sentieri sonosciuti ed irraggiungibili bastioni. Per arrivare ad un estremo, poi un altro, ed un altro ancora, dove la terra gelata soffocava sotto lastre immobili che già non erano più terraferma, ma un unico implacabile ed insidioso deserto di ghiaccio galleggiante, che nei movimenti lenti e violenti scricchiolava sinistro fino alla riva, ad un punto di vedetta, più in su, lungo quell'ultimo argine di difesa rialzato, dove sostenendomi in equilibrio precario ero arrivato. Canto di sirena insidioso. Come in un deserto dei tartari fatto di gelo, in attesa che oltre i riflessi ghiacciati sulla superficie, invano, alla fine apparisse qualcosa.
Ho raggiunto il porto che ancora era notte. In lontananza le luci delle auto si riflettevano su una strada ghiacciata e deserta. Ed il traghetto che stava praticamente partendo hanno reso gli ultimi metri una corsa che il freddo della notte artica sembrava scomparso. A queste latitudini, il mare d'inverno é anche un'immobile distesa di ghiaccio sulla quale si riflette l'alba, dietro una finestra circolare, mentre i motori della nave sbuffano ed il vento gelido sale sul ponte per via del movimento. E' una luce fredda e lontana che lentamente si incendia, distinguendo le ultime isole prima di abbandonare la costa, il profilo si qualche albero sparuto o quello eroico di un faro. Ora, che gli ormeggi sono stati sganciati, il Mar Baltico diventa un'uniforme distesa all'orizzonte, ed il sole del nord é già diventato giorno, la prua dirige verso sud.
Quest'uomo vestito da bardo medievale, tra stracci arruffati e colori spiegazzati, si é fermato qui, all'ombra della facciata più nobiliare della città, ha terminato il suo discorso perlando un'ultima volta di quegli uomini che questa città l'hanno costruita e tramandata così come la si vede ancora. Mercanti, nuovi borghesi, e navigatori, sfidavano le ultime ombre di un tempo buio e costruivano quel futuro che per noi é già passato cercando di fare della propria vita la versione migliore di se stessi. Un incitamento che la facciata stessa ricalca, illuminata da un gelido sole d'inverno. E questa frase un po' teatrale non é altro che la nostra storia di creature di passaggio in un mondo troppo esteso, nel tempo, perché possiamo veramente comprenderlo. Il bardo, nella sua commedia da giocoliere, mi ha condotto tra passaggi stretti, dettagli nascosti di case celatamente enormi, e leggende di ogni colore. Ma soprattutto mi ha raccontato come é nata un'idea, ed una città che da allora splende come una gemma sul Baltico che immobile si scorge dalle mura. Ho attraversato questo Medioevo intatto, avvolto nel buio e nelle fioche luci di candela di una taverna, la cui soglia sembrava un'anticamera del tempo. Ho abbandonato quel momento, per varcare un'atra soglia, scivolando nel Rinascimento, nelle voci sconosciute e probabilmente pure incomprensibili dei mercanto che via via divenavano più potenti e consapevoli. Sempre e comunque sul filo del rasoio che é la nostra condizione di essere umani, alla ricerca di una copia migliore di se stessi.
Un ultimo, silenzioso, viaggio. Dove la città scompare e la natura prende velocemente il sopravvento. Seguendo un'unica linea di strada, verso una città antica dove una piccola strada gelata é quanto rimane consegnato alla storia. Qui, una signora che si divide tra Costa Azzurra e sobborghi di Helsinki é la prima persona a parlare del deserto Artico, un qualcosa che ancora rimane un miraggio nel mio immaginario. Sono scivolato lungo quella stradina, ho attraversato il ponte su un fiume gelato su cui si protendono case di pescatori, e mi sono perso nella neve, seguendo binari semiabbandonati che conducevano alla vecchia stazione. Ed ogni passo era un balzo nel silenzio, nel passato istantaneo del tempo, nell'attesa di affrontare un'avventura. |
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