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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Post n°875 pubblicato il 28 Novembre 2020 da enodas

 

 

La peste e Cecità. Immagino che questi due libri, di questi tempi, non siano una scelta particolarmente originale, ed onestamente, per quanto li tenessi entrambi sul mio scaffale da molto tempo, ammetto che probabilemnte non li avrei letti a distanza ravvicinata, se non fosse per ciò che stiamo vivendo.
Il primo l'ho letto alcuni mesi fa, ed in ogni pagina sembrava di rivedere le immagini che giungevano dalla realtà attuale. Così, mi sono trovato a sottolineare blocchi interi di testo. Dall'incredulità all'approccio ambiguo dei caratteri, a seconda delle loro funzioni e dei loro interessi, e poi lo spirito eroico e le immagini della tragedia, ogni tassello sembrava la scena di una tragedia scritta per essere messa in scena, quasi fosse un'opera teatrale. Il secondo l'ho letto in questi giorni e, sin da subito, ne ho ricavato un senso di orrore e claustrofobia che la sera, una volta chiuso il libro, mi lasciava ad occhi aperti. In entrambi, anche se nella mia lettura in maniera profondamente diversa, la malattia sembra essere una concretizzazione del Male, quello di cui siamo capaci come esseri umani, e quanto sia semplice e rapida la trasformazione cui siamo soggetti, una volta che vi cediamo. Cecità, il cui autore per me é sempre stato uno scrittore straordinario, é la condensazione delle paure e delle ansie più profonde ed al tempo stesso elementari, leggerlo é stato come attraversare un incubo a cielo aperto, a contatto con le brutture umane più vergognose calate su un mondo di disperati, egoismo e cattiveria senza filtri, dove soltanto un epilogo inspiegabile può alla fine avere l'effetto di indurre un risveglio forzato che é come una salvezza. E leggerli in quest'ordine, non che lo abbia scelto a priori, ancora di più sembra avere un senso ed essere una rivelazione. Perché se da una parte le immagini che mi tornavano in mente erano quelle degli scaffali vuoti dei supermercati ad inizio anno che, a dispetto della tracotanza mostrata allora a queste latitudini, denotavano una corsa irrazionale quanto egoistica e mettevano in luce le discutibili abitudini di questa gente, dall'altra adesso é lo sconforto e la paura, con la sensazione di rivivere un incubo già visto e con i giorni di Natale infine che si avvicinano e saranno malinconia e tristezza, forse anche indifferenza, a prendere il sopravvento. Soffocante e claustrofobico, come le pagine del libro.

 

"... Dal momento in cui la peste aveva chiuso le porte della città, non erano più vissuti che nella separazione, erano stati tagliati fuori dal calore umano che fa tutto dimenticare. Con gradazioni diverse, in tutti gli angoli della città, uomini e donne avevano aspirato a un ricongiungimento che non era, per tutti, della stessa natura, ma che, per tutti, era egualmente impossibile. La maggior parte avevano gridato con tutte le loro forze verso l'assente, il calore d'un corpo, l'affetto o l'abitudine. Alcuni,
sovente senza saperlo, soffrivano di essersi messi fuori dall'amicizia degli uomini, di non esser più capaci di raggiungerli coi mezzi ordinari dell'amicizia, che sono le lettere, i treni e i bastimenti..."


"... Chissà se tra questi morti non ci saranno i miei genitori, disse la ragazza dagli occhiali scuri, e io, magari, passo accanto a loro e non li vedo, E’ una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non vederli, disse la moglie del medico..."

 


 
 
 
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