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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Post n°865 pubblicato il 14 Settembre 2020 da enodas

 

 

 

Mi sono avvicinato al mare, nel buio della notte, quasi seguendo soltanto il suono delle onde. Su una striscia di sabbia, silenzioso, ho lasciato alle spalle i rumori del villaggio e, soprattutto, tutte quelle inquietudini e paure che avevo avuto prima di partire. Il calore dell'aria e dei modi che mi aveva avvolto appena sceso dall'aereo, prima, ma ancora più questo paesaggio avvolto nel buio, semplicemente, mi stava calmando. Come una carezza leggera o una nenia che con un abbraccio faceva rallentare il battito, allentando ogni tensione. Come un canto innato, che mi ha incontrato ogni volta che sentivo di averne bisogno, proiettandomi verso un mare di stelle, nel cielo più buio, e soltanto un suono ostinato, un basso continuo, o magari verso colori e riflessi azzurri, quasi accecanti, tra immagini vere o presunte. Ogni volta, come adesso, mi sono seduto ad aspettare, senza volermi più realmente alzare, partire, allontanarmi da quel movimento magnetico ed infinito che anche nell'oscurità della notte percepisco vicino, quasi a sfiorarmi se solo lo volessi, eco sussurrata e voce al tempo stesso profonda di un nome che sembra evaporare direttamente dalla spuma, dall'acqua ormai frammentata ad un passo dalla riva.
Osservo nel vuoto ed ancora penso, alla fine, sono tornato. In un luogo dove molto di me ha avuto inizio, dove ancora una volta cercherò quei luoghi dell'anima che avevo sotterrato sulla mappa e con essi, alcuni frammenti di me.

 

 

In parte avevo dimenticato i profumi, i colori, l'intensità dell'azzurro. Forse, per quanto ci si sforzi, i ricordi prima o poi si lasciano pur sempre sorprendere da una patina opaca e polverosa. Come a voler ripercorrere un cammino simbolico, per prima cosa sono salito in cima, sulle mura di una fortezza, là dove i miei ricordi mi facevano partire alla conquista del mondo. Da lì ho riassaporato la luce abbagliante, le acque intense e limpide, ed i lasciti della Storia, sparsi ovunque qua e là, a partire da questo punto a strapiombo. Ho tolto via via quegli strati di polvere, per scoprire in fretta che non solo rivedevo immagini note, ma al tempo stesso ne raccoglievo molte di più, che non ricordavo o che non avevo notato. Perché come quei fiotti d'acqua che si infrangono contro quegli scogli, non siamo mai sempre gli stessi. Ma é stato scendendo verso la città, soprattutto, che ogni cosa ha iniziato ad apparirmi in immagini nuove e più vive. Tanto da non saper distinguere quanto avessi rimosso da ciò che effettivamente fosse cambiato perdendo quel suo spirito un po' passato e genuino. Mi sono presto perso tra vicoli di roccia bianca, seguendo volute di fiori e bouganvillea, ispirato dai profumi speziati via via più intensi. Ho proseguito, fino a perdere l'orientamento e dimenticare la direzione del mare, ma seguendo una linea invisibile che dal passato mi richiamava su strade da scoprire. Di nuovo.

 

 

Sono giunto agli angoli più remoti. Là dove un tempo non ero riuscito. Lungo una strada tortuosa di montagna, oltrepassando le mura di un monastero che pareva una fortezza strappata ad uno sperone roccioso, fino a quando la strada non diventava un letto di sassolini bianchi per scomparire infine nella spiaggia. L'acqua limpida era una distesa di riflessi che vibravano sulla sabbia rosata - o almeno ciò che ne rimane - dove le gambe affondavano pochi centimetri, un'unico specchio frammentato di secche ed isolotti reggiungibili a piedi. Ho atteso la fine del giorno che la gente scemasse e quello specchio a perdita d'occhio diventasse una superficie leggera e perfetta, perduta tra ombre immobili ed isole fluttuanti. Ed allora ho pensato ad uno di quei porti sicuri, dove le navi antiche gettavano l'ancora per cercare riparo, forse al primo accenno di una sera d'estate, proprio come oggi, e spiaggiavano in un luogo come questo, riparato dai monti, selvaggio e perduto, chiamandolo casa.

 

 

Ho oltrepassato il cancello: la targa all'ingresso avvertiva che questo, innanzitutto, é un luogo di raccoglimento e spiritualità. Una via verso il Paradiso, forse, dove il Paradiso forse é una tinta azzurra intensa che si scorge in fondo al paesaggio, in basso. Pochi passi e, in un'illusione prospettica, il sentiero di pietre grezze sembrava semplicemente scomparire nel vuoto, tuffarsi in un cielo senza nuvole. Ho iniziato la discesa, esposto ad un sole crudele, al cui riparo, occasionale, non c'era altro che un albero dall'altezza mozzata, che cresceva ogni tanto, in condizioni eroiche. Le prime grotte sono apparse oltre, nascoste da pezzi di mura spaccati fino quasi al terreno. Raccoglimento e preghiera: i monaci, ancora, scendono fino a qui, ed oltre, ancora, lungo la scogliera che scende fino al mare, un mare lontano e silenzioso, come il vento che, semplicemente, nel caldo dell'estate tace fino a scomparire. Ancora, gradini che sembrano sopsesi nel vuoto; ancora, un percorso dal valore simbolico. Fino a ripiegare, dentro la roccia, in quella che sembra un piccolo villaggio incastonato nella roccia, abbandonato e perduto, oltre una porta d'accesso che sembra l'ambientazione di un racconto di fantasia, sospeso al limite della gravità, le grotte in cui sono depositate centinaia di icone sbiadite dal tempo e moncherini di candele che si ergono sulla sabbia, come spettri emaciati, ed una gigantesca pietra, infine, sospesa come un ponte che però non trova sponda all'altro estremo. Ancora, semplicemente, silenzio.

 

 

Ruggisce, violento. In questo tratto di costa, dove niente sembra poter sopravvivere e qualche costruzione appare abbandonata prima ancora di essere portata a conclusione, le onde si infrangono contro rocce e falesie senza pietà. Una strada che scompare e diventa sterrato per arrampicarsi nuovamente su una scogliera che custodisce un eremo silenzioso e perduto, é ciò che rimane di un ultimo disperato tentativo di conquista. La spuma del mare, sopra infinite variazioni di verde smeraldo e turchese, é un richiamo irresistibile che sputa rabbia e forza incrollabile allo stesso momento. Magnetizzato, il mio sguardo rimane fisso a seguire quel moto senza pace, quelle pietre che vi si oppongono, ed il fragore che ne risulta. Assordante e senza dimensione temporale. Dov'é il confine, dove il punto di non ritorno, dove la terra che é ancora di salvezza.

 

 

Se l'essenza é divina, lo é per l'eternità. Un ultimo sguardo, quasi struggente. Non voglio uscire dall'acqua, asciugarmi, indossare i vestiti e voltare le spalle al mare. Dal punto più occidentale, a sud, a quello più orientale, a nord: un lungo percorso che ho seguito tra storia, ricordi e luoghi dell'anima a cui avevo promesso un ritorno. Un ultimo sguardo, verso il mare, prima di partire, questa volta per davvero. Lasciare il sole, il cielo limpido e l'acqua cristallina. Lasciare i passi di storia, crudele mistica ed affascinante, e sfiorare con lo sguardo un ultima volta la distesa argentes degli ulivi. Come la prima sera, ancora, e come molti anni fa, immergere le braccia, quasi fino ai gomiti, nell'acqua fresca, fa pulsare la vita ado ogni battito, ed il rumore delle onde che si infrangono pigramente sulla spiaggia, placa ansie e paure. Ma non la malinconia di non appartenere a questa terra. Oytis. Oytis. Nessuno. Come uno spirito invisibile, mi osserva dagli scogli, mi chiama in un sussurro che non odono le orecchie eppure mi attraversa in profondità. E' quella stessa voce, che arde di passione e di curiosità. Quanto riuscirò a portare dentro di me, di tutto questo, il sapore dolce del miele e quello intenso dell'olio, anche loro frammenti di quell'essenza divina, la cui bellezza ha fuso la storia ed il mito, dietro un unico orizzonte infinito; quanto saprò conservare la gioia di questo luogo, la magia di essere, semplicemente, qui, a respirare a pieni polmoni. Mi mancherà, già lo sento.

 

 

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