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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Sonata op.53 “Waldstein” (n.21)

Chopin

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Suite Bergamasque
Deux Arabesques

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Valse Oublièe
Valse Impromptu

Schubert

Impromptu n.3 op.90
Impromptu n.2 op.142




 

 

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Post n°844 pubblicato il 11 Febbraio 2020 da enodas

 

 

 

“Of course, tourists traveling in their comfortable rail coaches could only learn the vaguest idea of the conditions in which the Indians live, from the fast glimpses they catch as they speed past our train, which has stopped to let them pass. The fact that is was the U.S. archaeologist Bingham who discovered the ruins and expounded his findings in easily accessible articles for the general public, means that Machu Picchu is by now very famous in that country to the north and the majority of North Americans visiting Peru come here. (In general they fly direct to Lima, tour Cuzco, visit the ruins and return straight home, not believing that anything else is worth seeing.”

(Che Guevara, The Motorcycle Diaries)

 

 

Sono giunto, come altre volte, di prima mattina, spossato da un viaggio lungo e qualche giornodi difficoltà. Questa città, questo nome, già sprigionano la loro energia. Cuzco é la porta d'ingresso obbligata alla scoperta del mondo Inca e ad una straordinaria concentrazione di meraviglie naturali. Tutto rigorosamente ad alta quota, perché e  sulla dorsale dell'America Latina che questo impero ha avuto vita, gloria ed un effimero potere. Cuzco, più di ogni altro luogo, é anche il punto in cui tutto questo é venuto a contatto e si é scontrato con il mondo dei Conquistadores. Ed é così che in questa città si susseguono, fino a fondersi, le mura di massi giganteschi tagliati ed incastrati al millimetro della Via Regale, con le piazze di edifici coloniali e chiese colme d'oro e ricchezze. E' il regno dei tessuti e del cioccolato di un aroma intenso e pungente, e dal centro si sviluppa in una serie di strade che presto diventano salite impervie e gradini di calce candida e abbagliante. Seguendo queste strade, sempre più strette, sempre più dissestate, mi perdo in un labirinto di piazze nascoste, vicoli silenziosi arsi dal sole del pomeriggio, e colori caldi che compongono in infinite variazioni il Camino del Inca, ovunque esso sia, popolato dai suoi animali stilizzati, i suoi simboli ancestrali, la sua visione unica del Cosmo. Mi perdo, e mi ritrovo, su un piazzale che dall'alto somina la città, dai suoi passati più gloriosi via via fino alle forme anonime di un mondo più moderno, che si perdono in lontananza, senza che la vista riesca a scorgerne il confine.

 

 

Ancora una volta, sono le immagini delle terrazze ad entrarmi nell'anima, come linee infinite che si depositano e tracciano segni imprecisati, e racocnti sconosciuti, in un angolo nascosto e profondo dei miei ricordi. Ma non sono linee sinuose chi si piegano sulla terra. No, sono un sistema ingegnoso e stupefacente con cui l'uomo ha modellato la terra tracciando linee ben precise, squadrando, limando, assogettando il terreno. Un livello sopra l'altro, in un labirinto tridimensionale che sembra non avere via d'uscita, perché solo il cielo sembra segnarne il limite ultimo, ognuno connesso all'altro da un complicato sistema d'irrigazione, di controllo del terreno, della temperatura e dell'umidità. Ho superato i mercati colmi di movimento, con le donne che stendevano i teli pieni di regali, souvenir ed oggetti d'artigianato, una piazza che sprigionava vita ed uno spaccato di umanità che chissà un tempo non doveva apparire molto diverso  nel suo infinito mescolarsi e confondersi. poi, é stato silenzio. Mi voglio perdere, sì, scendere fino a valle, guidato dal rumore dell'acqua di un torrente, laggiù in fondo, sfiorando monoliti sacri, alberi venerati e oscillare, tra un livello e l'altro, infinite terrazze al termine delle quali, ogni tanto si scorge una fattoria in rovina, il profilo di un uomo al lavoro in quegli stessi campi o quello di un carretto sgangherato. Come un'unica linea, la Valle Sacra continua, perdendosi tra le pieghe della terra.

 

 

Sembra impossibile, eppure é lì, nel deserto di una valle di ghiacci ed acque cristalline, una donna é lì ad attendermi, sul promontoriolà dove il sentiero svolta e scompare. Seduta, mi attende, nella sua figura robusta avvolta nelle vesti andine, ricche di colore ed il volto sorridente bruciato dal sole, i capelli neri e densi coperti da un gigantesco cappello tradizionale. Scopro allora che la sua casa é nascosta, dietro la collina, proprio a lato di una di quelle lagune che sto cercando di raggiungere. Parliamo. E mi risponde col sorriso calmo e paziente di chi attende, ogni giorno, una manciata di stranieri che si spinge fino a qui, a sfiorare luoghi remoti e sconosciuti la cui bellezza risveglia nella mia mente alcuni luoghi di cui mi ero perduto, alla Fin del Mundo, e con cui mi mostra i suoi oggetti in vendita stesi su un fazzoletto colorato, pronto a diventare borsone da caricarsi sulle spalle. E' straordinario vedere come cambia velocemente il mondo lasciandosi alle spalle la città di Cuzco, osservarlo dal finestrino sobbalzando ad ogni metro, perché anche la strada spesso scompare e diventa poco più di una linea sporca che attraversa valli verdeggianti e piccoli villaggi sempre più sperduti, sempre più lontani. Fino ad un sentiero, appunto, che si inerpica lungo lagune nascoste e riflessi su acque turchesi. Fino ad incontrare una donna sorridente e sola nella sua attesa che con un braccio ed un sorriso mi indichi la strada.

 

 

“...Have you ever climbed a mountain in full armour? That's what we did, him going first the whole way up a tiny path into the clouds, with drops sheer on both sides into nothing. For hours we crept forward like blind men, the sweat freezing on our faces, lugging skittery leaking horses, and pricked all the time for the ambush that would tip us into death. Each turn of the path it grew colder. The friendly trees of the forest dropped away, and there were only pines. Then they went too, and there just scrubby little bushes standing up in ice. All round us the rocks began to whine the cold. And always above us, or below us, those filthy condor birds, hanging on the air with great tasselled wings....Four days like that; groaning, not speaking; the breath a blade in our lungs. Four days, slowly, like flies on a wall; limping flies, dying flies, up an endless wall of rock. A tiny army lost in the creases of the moon...”

 

 

Doveva essere una delle cose più belle da vedere. Ma la pioggia scesa la notte, che a queste altitudini ha significato neve, ha coperto qualsiasi parvenza di colore e l'ha resa una montagna qualsiasi. Di oggi ricorderò la neve, frustrante, il respiro corto a quota oltre cinquemila metri, ma soprattutto i piedi semiscalzi delle persone che offrivano un cavallo su cui trasportare chi decideva che no, andare a piedi non era più possibile. Ricorderò il nome di Angelito, un cavallo smagrito che mi ha presentato un'anziana con cui mi sono fermato a parlare, mentre su un sentiero parallelo al mio guidava il suo cavallo con in groppa un passeggero. Ancora una volta, il suo buon umore spontaneo e in un certo senso ironico mi sfiorava il cuore. Ricorderò qualcuna di queste persone giungere anche loro in cima, osservando un paesaggio a loro familiare, anche in questa variazione priva di colore, e nella neve aprire un fagotto di cibo come se il gelo, il vento e l'acqua non li riguardasse poi tanto e come figure immobili osservare. Se la terra con le sue sfumature arcobaleno era nascosta, il colore dei loro vestiti risplendeva sgargiante.

 

 

Due luoghi straordinari, tra i tanti, ancora sulla strada lungo la Valle Sacra. Il verde, intenso, delle terrazze concentriche che sembravano voler scendere alla ricerca di un accesso al centro della Terra. Un altro, a pochi chilometri di distanza, era il bianco accecante delle saline a cielo aperto. In un'unica, continua, connessione tra presente e passato, un po' come le altre città abbandonate di cui il "popolo delle Nubi" ha popolato questa regione, ognuno di questi luoghi sembra voler narrare una pagina specifica e ben definita di un unico affascinante racconto. E chissà, forse per davvero quei cristalli perfetti hanno poteri eccezionali per il corpo e per la mente, come sostengono gli abitanti del luogo, e in quei minerali preziosi si nasconde ancora il segreto di un'energia strordinaria che proviene dallo stesso universo. Quello che ognuno di questi luoghi vuole tracciare, ricomponendo un puzzle gigantesco, specchio in terra delle stelle.

 

 

"...Y el aire entró con dedos
de azahar sobre todos los dormidos:
mil años de aire, meses, semanas de aire,
de viento azul, de cordillera férrea,
que fueron como suaves huracanes de pasos
lustrando el solitario recinto de la piedra..."

 

 

 
 
 

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Post n°843 pubblicato il 08 Febbraio 2020 da enodas

 

 

Oggi sarebbe stato l'ultimo giorno, il festival delle Lanterne. E così si sarebbe concluso il mio viaggio nel regno del Dragone, durante il capodanno, alla ricerca di luci e riflessi, ormai soltanto ideali, di lampade rosse sospese nel cielo. Il capodanno cinese é in realtà una sequenza di giorni, ognuno con un significato ed una cabala di superstizioni ben precisi, che dura due settimane, ed il cui culmie finale é esattamente il festival delle Lanterne. Queste due settimane si sono trasformate, praticamente di pari passo, in una quarantena, in parte autoimposta, in parte obbligata. E, ironia della sorte, un'altra é probabilmente destinata ad iniziare subito dopo. Oggi invece sarebbe l'ultimo giorno di un viaggio stravolto praticamente in partenza, in cui io sono già tornato da giorni e dove non riesco a liberarmi di un senso di invincibile tristezza per le circostanze e per i sentimenti. Il festival delle Lanterne é lontano, tanto che con un senso di colpevolezza me ne ero in un certo senso quasi dimenticato. Mi dispiace.

 

 
 
 

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Post n°842 pubblicato il 29 Gennaio 2020 da enodas

 

 

E' l'unica foto che ho catturato. Fatta per di più una volta che sono tornato, e lentamente ho iniziato a disporre qualcuno degli oggetti sul tavolo di casa, al termine di un viaggio di ritorno non programmato e lungo nel tempo, nelle distanze di un itinerario assurdo, e soprattutto nell'attesa che l'ansia non faceva passare mai. Ho tolto la mascherina, e respirato, aria fresca dell'alba, e suolo in qualche modo di casa. Ho lasciato dietro di me tante aspettative, un viaggio che era una promessa ed un'attesa, chissà quante immagini e quante strade, racconti non scritti. Ma soprattutto, ho lasciato dietro di me un pezzo di cuore. Perché lei é rimasta là, e difficilmente potrebbe essere altrimenti. Impossibilitato ad andare avanti, da qualcosa di sconosciuto e non chiaro, attraverso le scarne informazioni che riuscivo ad ottenere da un collegamento internet stretto nella maglia di un qualche controllo. Che le cose fossero molto peggio nella realtà lo testimoniavano le strade deserte, quelle strade che mi hanno sempre affascinato e divertito, ora spettrali e silenziose in una città immobile. Quel silenzio mi ha afflitto e rattristato. Ho temuto che in breve tempo i collegamenti sparissero ed i voli fossero chiusi. Come chiuse diventavano sempre più metropoli, e poi luoghi cittadini, i mercati, le scuole, i ristoranti. Inviati del governo regionale bussavano di porta in porta registrando chi fosse in casa ed assicurandosi che non vi fossero persone provenienti dall'Hubei, la regione confinante ormai ridotta ad una sorta di enorme lazzareto in quarantena. E nel frattempo, capodanno é stato un momento intimo in qualche modo distaccato dalla realtà, in un isolamento da tutto, non fosse stato per la televisione e qualche fuoco d'artificio sparato privatamente in lontananza. Come del resto quei pochi giorni che alla fine sono rimasto. Osservando questi ricami di carta che in qualche modo avrebbero dovuto descrivere il mio viaggio ed abbellire le mie pagine di diario, cercando notizie a singhiozzo che intanto diventavano sempre più negative, e rigirandomi nella notte cui non riuscivo ad adattarmi, data la differenza d'orario ed il fatto di non muovermi. Questi ricami, che ho portato con me, e che sono ora il ricordo di qualcosa che non c'é stato, dal dragone danzante ai fuochi, fino alle pieghe delle terrazze inondate d'acqua, e qualcosa da fare insieme, come promesso.

 

Con gli occhi spalancati, mi rigiro nel letto cercando un sonno che non accenna ad arrivare. Ed allora guardo lei, osservandola con le immagini della stanza, i ricordi e le storie di una vita che intuisco, immagino, sento premermi il petto. E, come già mi é capitato la prima volta che sono venuto, provo un senso profondo di malinconia e tristezza, perché sento su di me questa lontananza, dei luoghi, degli affetti, di ciò che é la storia personale di ognuno, il proprio mondo. E so che é qualcosa che mai si potrà colmare. E so quanto pesi, moltiplicando quello che é il mio senso di distanza con il suo. Ho malinconia per quanto accade, questi giorni, perché comunque era qualcosa di importante e di atteso, ed ora invece che niente é ralizzabile e ci lega ancorandoci ad una situazione che non si sarebbe potuta immaginare, ma che evidenzia tutti i limiti di trovarsi così distante, ancora più impotente. Ho questa immagine, legata al capodanno che é stato, all'aver disposto oggetti e regali come faccio con un albero di Natale. Sorrido. In questa immagine c'é tutto il sentire per questo giorno, il perché essere qui, anche nonostante tutto, i desideri e le attese. Ed ancora nella penombra della notte osservo quelle foto, sparse, che sono al tempo stesso un legame affettivo, una carezza, l'istantanea di un giorno di normalità o un momento della vita. Un senso di profonda tristezza mi opprime, inenarrabile, incondivisibile, e non saprei a chi confidarlo. Perché non c'é nientre di normale.

 

 

 
 
 

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Post n°841 pubblicato il 19 Gennaio 2020 da enodas

 

 

 

“... For as long as but a hundred
oh us remain alive, never will
we on any condition be
brought under English rule.
It is in truth not for glory,
nor riches, nor honours that we
are fighting, but for freedom
for that alone, which no honest
man gives up but with life
itself...”

 

 

Sono partito un giorno di nebbia densa. La pioggia, sospesa in questa coltre spessa rimaneva sospesa nell'aria, liberandosi a sprazzi in lame gelide e taglienti che penetravano dentro i vestiti. Mi sono diretto verso sud, incontrando quasi immediatamente strade silenziose che attraversavano un paesaggio di verde e colline. Verso il confine, o The Borders, come viene chiamata questa regione. Ed il tempo inclemente nascondeva la bellezza di questo paesaggio, dove scrittori avevano composto versi e racconti, perdendosi in foreste scure alla ricerca di un luogo nascosto, un ceppo, un monumento abbandonato, ed osservando con occhi lucidi cieli in tumulto e linee che sinuose si sovrapponevano fino a confondersi all'orizzonte, e si sposava al tempo stesso con i villaggi silenziosi, le vie spazzate dal vento ed intrise di pioggia, le luci ed il calore di una sala da the, ed i ruderi di antiche abbazie ed i loro angoli nascosti, dove cuori di re e passaggi di storia rimangono custoditi, scolpiti su pietra. Tutto, avvolto in una patina incolore e deprimente, che nella sua uniformità fiaccava l'animo ed abbatteva lo sguardo.

 

 

“...as from the Castle he views the scenery below, his heart will fill with joy all aglow. And with delight, he’ll exclaim, Oh! How grand! There‘s nothing can equal you in fair Scotland...”

 

Mi sono perso in un labirinto. Tra mura, sale e palazzi, passaggi sospesi e lunghi camminamenti. Imponente, adesso che mi osservo intorno lo immagino visto da fuori, da lontano, così come l'ho scorto io, mentre mi avvicinavo, così come deve apparire dalle piane verdeggianti che i bastioni dominano a trecentosessanta gradi. Là dove un tempo fu campo di battaglia, eco di nomi leggendari e scontri sanguinosi, o magari in un'altra direzione, dal ballatoio dove il nome dice si affacciassero le dame di corte, o magari in un'altra ancora, dove si scorge un cimitero antico a cerchi concentrici che risale ai tempi del primo assedio. La Storia di questo Paese é passata da questo luogo. E fa tremare il pensiero di quante anime senza nome si siano fermate nelle vicinanze. Ciò che resta é un richiamo silenzioso, mura alte e spesse, sale gelide e vuote, il canto di un bardo ed uno sguardo altero di re all'entrata.

 

 

Lungo la costa di una lingua di mare, dove questo si ritrae la mattina lasciando scoperto l'approdo, isolato su una collinetta al centro di una foresta, o enorme e possente arroccato sulla cima di una cittadina: come variazioni che si sfogliano su pagine dipinte ad acquerello, sono solo alcuni dei castelli di Scozia, i più vicini alla città, gli unici che il poco tempo mi concede, quasi un avamposto di questa terra che rimane misteriosa ed affascinante, un luogo da esplorare con calma, con tempo, sfidando l'imprevedibilità del tempo, i cieli striati che cambiano colore nel giro di poche ore, e seguendo il paesaggio, quando alterna spuntoni di roccia a pianure coperte di foreste e lunghi, infiniti, declivi. Magari affondando nella storia, qui che pagine e pagine sembrano essersi consumate, in uno scontro indomito e mai sopito per un lembo di terra che nella sua inospitalità conserva tutto il proprio fascino. Un po' come gli animi che inevitabilmente associamo a luoghi come questi, le passioni e la forza d'animo, ed una tradizione eroica e colma di colore, di suoni ed energia, quasi sprigionati dalla terra, e dalla storia, cui appartengono, immortali.

 

 

“...he made the carpenters carve them according to the draughts thereon, and then he gave them for patterns to the massons, that they might therby cut the like in stone...”

 

Ad un certo punto sembra quasi di sentirli, gli scalpellini, al lavoro. Su ogni singola pietra, ogni singolo angolo, anche il più nascosto, di una chiesetta ai margini di Edimburgo, creano. Creano, magari spiandosi con invidia l'uno con l'altro, un mondo ricco di simboli, di storie da raccontare, di personaggi da ricordare ed altri da dannare per l'eternità. Terminati i picchettii, sepolti gli sguardi, immobili le mani tanto capaci, nel silenzio del tempo che passa e ripassa come onde che lambiscono la sabbia, é un mondo che ha oltrepassato secoli di intemperie e soprusi, per arrivare fino a me, e continuare a narrare, o almeno tentare, quelle storie che agli occhi di chi le concepì dovevano essere immediate e precise. Alcune mi fissano, dritte negli occhi, protendendosi dalla pietra dentro lo spazio; altre si avvitano controcendosi attorno ad un punto di costruzione, un angolo, una colonna; altre ancora invece si muovono fluide come istantanee su una pellicola. Attraverso queste immagini, ora avvolte nel silenzio e nella luce suffusa che traspare dalle vetrate, il rintocco degli scalpelli risuona ancora, sempre più lontano ed attutito da una coltre di polvere spessa, tra misteri, leggende e suggestioni, un vocabolario universale di paure e speranze ed un inesplorabile atto di fede.

 

 

Arrivato, alla fine. E forse non poteva esserci un luogo più adatto per voltarsi un'ultima volta e dare uno sguardo a questi giorni, a questa terra incantata e selvaggia che mi ha preso l'anima dal primo momento. Perché difficilmente potrei un luogo più adatto, dove isole compaiono e scompaiono secondo il capriccio di maree rapide come cavalli al galoppo, rivelando passaggi segreti alla luce del giorno, il cielo striato dal vento é mutato di nuovo ed annuncia nuovamente una tempesta lontana che forse non arriverà mai, e dall'alto di una collina tra le terre emerse giungono idealmente suoni di cornamusa. Ogni passo, ogni immagine, guidati dalla suggestione di attravesare ambientazioni epiche, ai confini della storia, dove forze della natura si scontrano in una lotta senza fine ed esseri sovraumani camminano sulla terra. Dove altro potrei cercare per poter lasciare un messaggio, gridare al vento, e depositare i miei ricordi come un tesoro prezioso da custodire fino al giorno in cui tornerò a sognare camminando tra questi luoghi.

 

 

 
 
 

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Post n°840 pubblicato il 14 Gennaio 2020 da enodas

 

 

 

Questi segni, queste linee. Ancora di più, mi avvicino. Linea rossa, quella sanguigna che ogni volta mi catapulta sul disegno. Oppure un inchiostro nero di seppia. Ad ogni modo, qualcosa di straordinario, attraverso gli occhi di una mente geniale e curiosa, inventrice, scienziata, artista. Infinite variazioni. Come lo studio di un movimento, le emozioni di uno sguardo. Questo, fissato per sempre su carta che ormai sembra pergamena é un nome ignoto, eterno il volto. Continuano a parlare, quegli occhi che osservavano, annotavano, cercavano di comprendere, con esplosiva, incontenibile, vivacità. Dovevano brillare, nel momento in cui chissà si stringevano per aguzzare la vista, o quando si rivolgevano nuovamente su un pezzo di carta. Ed é questo l'aspetto più straodinario e palpitante che ancora si riflette in questi disegni. Così come in tanti altri. Una goccia in un oceano infinito.

 

[...]

 

 

"Leonardo da Vinci died 500 years ago, on 2 May 1519, aged 67.

During his lifetime Leonardo had attained fame as a painter, sculptor, architect and engineer. But many of his works had remained unfinished, and few people knew of his remarkable scientific investigations.

It is primarily through Leonardo’s drawings and notes that we can understand the man and his achievements. He drew incessantly – to devise his artistic projects, to explore the natural world, and to record the workings of his imagination.

Leonardo kept thousands of these drawings to the end of his life, bequeathing them to his favourite pupil to ensure that his legacy would be preserved.

Around 550 of these drawings entered the Royal Collection in the seventeenth century, mounted on the pages of a single album. Eighty of the finest are presented here, to give a uniquely intimate picture of the original ‘Renaissance Man’."

[dall'Introduzione alla mostra]

 

 
 
 

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Post n°839 pubblicato il 11 Gennaio 2020 da enodas

 

 

Sempre bello. Quando il sole sorge ed un suono attraverso la savana chiama alla Rupe dei Re. Ed il palco diventa il teatro intero. Mentre la musica sale fino ad esplodere, semplicemente. Dal cartone animato al musical, quest'apertura da sola vale lo spettacolo. In qualche modo, anch'io mi trovo proiettato alla Rupe dei Re, ad osservare un raggio di sole. Una storia che si ripete, come quel cerchio magico della vita a cui non é possibile sottrarsi, e che ogni volta mi emoziona e mi tiene occhi spalancati sulla magia del teatro, i costumi geniali e la musica coinvolgente. Dal cartone al musical, che forse riesce ad essere ancora più bello.

 


"...Night
And the spirit of life
Calling [...]
Mamela [...]
And a voice
With the fear of a child
Asking [...]
Oh, mamela [...]

Wait
There's no mountain too great
Hear these words and have faith [...]

They live in you [...]
They live in me [...]
They're watching over [...]
Everything we see [...]
In every creature [...]
In every star [...]
In your reflection
They live in you..."

 

 
 
 

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Post n°838 pubblicato il 09 Gennaio 2020 da enodas

 

 

 

“...May the road rise up
to meet you.
May the wind be always
at your back.
May the sun shine warm
upon your face.
May the rain fall soft
upon your field.
And until we meet again,
may God hold you in the palm of His hand...”

 

 

La prima cosa che ho visto é stata la spiaggia. Una lunga distesa di sabbia, protesa dove il mare era scomparso ed ognuno di prima mattina passeggiava col proprio cane. La prima cosa che ho sentito é stato il vento: sibilante e gelido spazzava il lungomare, striava il cielo, e mi accoglieva a queste latitudini, in attesa del nuovo anno. Ho sorriso pensando che proprio un anno fa, questi giorni, scendevo verso il mare, un altro mare, ad osservare onde basse che si spegnevano su una spiaggia protesa nella bassa marea. Mare del Nord, gelido come i colori che lo accompagnano, tonalità di blu senza fuoco nell'anima, eppure affascinante, nelle sue maree che liberano metri e metri di spiaggia, un silenzio infinito tanto é lo spazio che le acque lasciano dietro di sé, un deserto di sabbia bagnata, vento gelido, ed onde smorzate in lontananza, su una linea di ultima difesa, prima che ricomincino a guadagnare quel desert che appartiene loro.

 

 

Non so chi o cosa fosse un highlander. So solo che il nome suona eroico ed indomito nel pronunciarlo. Così come leggendario é questo luogo verso cui mi arrampico, spalle ad un altra roccia, ancora più alta, il Trono di Artù, ed una rupe da conquistare davanti a me, per poter dominare con lo sguardo la città. In salita, contro il vento che non ti lascia in piedi, selvaggio, piega in un'onda continua l'erba lucida di pioggia, e nubi dense che si assembrano da nord. Uno sguardo al mare, che mi segue e scompare, da un lato. Ancora un passaggio per arrampicarmi, lungo una salita che nuovamente si allunga, oltre un dosso che sembrava essere punto d'arrivo ed altro non é che una nuova rampa verso l'alto, verso una cima che scompare nel vuoto, ed un cielo cupo di tempesta. Ed allora, non so chi o cosa fosse, ma nel vento sento la carica della forza che esercita contro di me, ed una musica risuona, sia un canto di battaglia, una danza o uno scioglilingua di note, sento l'entusiasmo di dover salire fino al bordo del precipizio ed osservare, prima il baratro sotto di me, dominarlo in un volo vertiginoso e senza paura, e poi guardare oltre, lontano, il paesaggio scozzese che si perde in una serie di linee sovrapposte, linee di nubi e cieli sereni, sovrapposte una sull'altra come una successione dei tempi quasi in lotta tra loro, e magari anche una fiammata sfuggevole al tramonto ed un riflesso verso l'ombra cupa del castello, come troneggia sopra la città, i tetti di un altro tempo e le vie che spariscono in un labirinto di case ed edifici. Così come non li avevo ancora visti, ancora, da questo spuntone che la leggenda ha assegnato ad un re, e che mi porta ai confini del mondo.

 

 

Intrigante. Credo sia l'aggettivo giusto per descrivere questa città che per tanto tempo é rimasta nei miei sogni, nella mia fantasia, come dalla fantasia di un racconto fosse nata. Intrigante, per tutte le vie che diventano stradine a perdersi, tra salite e discese, nella città vecchia, trasportato da chissà quale leggenda, ombre della Storia o fatti lontani che riprendono vita da voci silenziose e sotterranee, che hanno attraversato i secoli, popolando come fantasmi questi vicoli silenziosi. Ed allora, allontanandomi dalle luci dei pub, seguendo le scintille di un mercatino di Natale, l'ombra sempre presente di un castello, o il suono di una cornamusa, ho continuato a domandarmi se tutto fosse reale, affascinante bellezza, o frutto di qualche incantesimo arcano che rendesse sottile fino a che fosse trasparente quel confine tra realtà ed immaginazione, dove qualche racconto del passato, vero o no che fosse, prendeva forma, mi conduceva nuovamente in un labirinto di luci e di ombre, di ciottoli bagnati dalla pioggia e dai riflessi indecifrabili che questa lasciava dietro come indizi da collezionare per poter continuare il viaggio.

 

 

Sono tornato ad arrampicarmi sul fianco di quella collina. Mentre sotto di me migliaia di fiamme componevano un disegno nella notte. Sono partite dal centro della città attraversando tutto il Golden Mile, una processione infinita e festosa di torce accese nella notte, processione sospesa tra un rito pagano ed una celebrazione anticipata del nuovo anno, in lontananza era una marea di fuoco che lentamente si avvicinava, tra rimbombi di tamburo, giocolieri e suoni di cornamuse. Pareva un'ondata trasbordante che dalle highlands si materializzava dal cuore stesso della città. O forse erano una visione, una lunga scia di luci che attraversava una foresta nell'oscurità, in una delle notte più fredde dell'anno, riflessa su uno specchio d'acqua e fluttuante nell'ombra. Cerco di procedere, al buio, per poter osservare questo rito nella sua conclusione. Per quanto fiemmelle tremolanti arriveranno ancora ed ancora per molto tempo, in basso una figura sinuosa inizia a prendere forma. Nella forza della partecipazione, di questa marea di ogni età ed ogni provenienza, c'é l'abbraccio della città al mondo, luogo straordinariamente internazionale ed aperto, a queste latitudini, che come gridato all'inizio, da il benvenuto a chiunque giunga alle porte ed abbia la volontà di fermarsi.

 

 

Sono salito attraverso il portone principale. Alla ricerca di una corona, una spada nascosta per oltre un secolo, una torre di guardia dove si consumò una tetra cena, una cappella di pietra spoglia, delle prigioni che hanno accolto sventurati di mezzo mondo. E tutto intorno scorrevano episodi, lotte silenziose e complotti nascosti, tutti attorno al potere per questo lembo di terra a nord di un valico secoli e secoli prima. Molto della storia di Scozia é passato di qua, attraverso - o contro - queste mura possenti, dalle storie di singoli personaggi alle rivendicazioni di intere fazioni. Il castello continua a dominare la città di Edimburgo, impassibile al tempo, alle guerre di potere e di libertà, un'ombra scura ed opprimente, a tratti, come la descriveva una penna fine, una presenza costante, che dall'alto squadrava il suo popolo tra minaccia e protezione.
Sono salito seguendo un sentiero a tratti ghiacciato. E di nuovo mi sono trovato di fronte quella sagoma, inconfondibile, e le case di un altro tempo ai suoi piedi. Potere ed orgoglio condensati in quella linea frammentata di difesa e controllo. Ho voltato lo sguardo, verso il mare. Tra questi due estremi, ho continuato ad assaporare il fascino di questa città, con la sua storia e le sue profonde tradizioni. E poi girato ancora verso il Trono di Artù, quello sperone su cui mi sono affacciato il primo giorno. Ognuno di questi punti sopraelevati sembra avere un carattere a sé. Ancora una volta, quasi tendo ad ascoltare il vento costante e chissà quali suoni di cornamusa, un canto malinconico, una marcia inarrestabile, uno spiraglio che fende una coltre spessa di nebbia. Idealmente, a guidare gli occhi, ancora una volta, prima di abbandonare la posizione.

 

 

Nella ressa, in quello che doveva essere una specie di gigantesco calderone di musica, palchi e festeggiamenti, ho cercato di vedere il castello, nella sua ombra più scura e silenziosa, da seguire con gli occhi. Aspettando che un arsenale di fuochi illuminasse la notte, e che il respiro di quella gigante kermesse lungo le strade del centro rimanesse sospeso un attimo in attesa, e suonasse infine un rintocco. Fuochi dal castello, e quell'ombra che ad un certo punto scompare, nascosta da una coltre di fumo. Per poi riprendere da dove si era fermato.

 

 

 
 
 

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Post n°837 pubblicato il 05 Gennaio 2020 da enodas

 

 

E' stato per caso mentre cercavo degli appunti che sono tornato a quelle mail. Le avevo salvate in una cartella diversa, perché rimanessero separate da tutte le altre, nell'illusione di poter salvare quanto ci fosse stato prima. E tra le due cartelle, nelle date, corre la distanza di un giorno. Ne ho aperte un paio, a caso. Non so il perché lo abbia fatto, visto che sempre mi impongo di non avvicinarmi  nemmeno. Immagino sia semplicemente per il fatto che mi fossero semplicemente capitate sott'occhio. E immediatamente mi sono trovato schiacciato sulla sedia, il soggiorno che si dilatava, una forza possente che mi schiacciava. Quei graffi hanno ricominciato a sanguinare. Immediatamente. Ho guardato, cercato attorno a me. Ho cercato con gli occhi le immagini di un cielo azzurro e di un riflesso perfetto. Ho cercato un ricordo, quando un paio di anni fa una persona mi ha fatto confidenza di un episodio, che molti anni prima mi rigurdava. Ricordo ciò che disse e ciò che vi lesse. Non so quanto vorrei fosse vicino a me. Anche allora, un'ultimo giorno prima di ripartire dopo il Natale. Anche allora ricordo che ero seduto al tavolo e guardavo mia mamma, col desiderio di abbracciarla, o almeno dire che mi era appena stato confidato una piccola storia ormai dimenticata. Mi sono aggrappato a quel ricordo, per richiudere quella cartella, per lasciare che le ferite scoperte pulsassero sull'anima. Non passerà mai veramente.

 

 

 
 
 

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Post n°836 pubblicato il 28 Dicembre 2019 da enodas

 

 

"E' buio.
All’improvviso si spalanca il soffitto;
un tuono,
un lampo di luce
ed ecco irrompere nella stanza
un’impetuosa creatura alata,
avvolta in volute di nuvole,
un forte fremito di ali.
Un angelo!
Penso io.

Ma non riesco
ad aprire gli occhi:
dall’alto sgorga
una luce troppo forte.  
L’ospite alato vola
per tutti gli angoli della stanza,
si solleva nuovamente
e vola via
attraverso la fenditura del soffitto,
portando con sé
il fulmine e l’azzurro
E di nuovo torna il buio.
Mi sveglio"

 

 

Ho scoperto praticamente per caso questa mostra soltanto ieri. Ho voluto andare, attratto dal nome. E così, se dovevo scrivere un ultimo post quest’anno, difficilmente mi aspettavo che parlasse di tele e colpi di pennello. Non solo, e forse soprattutto, anche disegni ed immagini leggere, come leggera doveva essere la sua mente, la sua mano, il suo cuore. Addentrandomi tra le prime sale, in realtà, per quanto interessanti, mi sono sentito un po’ tradito nelle aspettative e nel titolo. Perché se è vero che i racconti sono per definizione sogno e magia, è anche vero che Chagall è un nome che mi guida ad altro. Nella seconda però è comparso il colore, prima attraverso altre storie, episodi della Bibbia e dell’Esodo, poi in un mondo magico fatto di specchi proiettato a trecentosessanta gradi, ed infine attraverso alcune tele che, proprio all’ultimo, pur sembrando essere raggruppate in un ultimo respiro, danno un’impressione - piuttosto veloce - dell’arte di questo straordinario pittore dei sogni. Così, alla fine, sono uscito tutto sommato soddisfatto e con l’animo leggero. Perché ogni occasione di sfiorare questo mondo è sempre poesia. Versi scritti da “un poeta con le ali di pittore”.

 

 

Sogno e magia. E Marc Chagall. Ripetere il suo nome, osservare il suo sorriso già spalanca alla mia immaginazione un mondo fantastico. Quest’uomo che veniva dal freddo scalda il mio cuore. Sogno. Lasciando che siano la sua mano da pittore ed il suo cuore da poeta a raccontarmi favole che conosco sin da piccolo. A condurmi per mano tra i versi dei racconti per bambini, perché come un bambino li possa realizzare in un’immagine. E sempre con tocco gentile, mi conduce tra le pagine della Bibbia, un racconto che attraversa i tempi, ed un luogo lontano che ho attraversato con grande emozione in passato. Sogno il suo mondo, saltando sulle note di un violino, amando ogni colore, ogni tratto che mi illuda, per un momento, di poter fluttuare, leggero nell’anima, tra tante figure danzanti, alla ricerca di un abbraccio, una strada nascosta, il profumo di un fiore. Anche in questo, del resto consisteva il suo colore: affrontare e combattere le ombre più scure del mondo attraverso i colori sgargianti che lasciava scorrere sulla tela. Amo quell’azzurro, ogni volta che lo incontro con gli occhi. Un riflesso lontano, un attimo soltanto. E questa è magia.

 

 

"Là dove sono quelle case curve
Là sale il cammino al cimitero
Là dove scorre il fiume più ampio
Là ho sognato tutta la mia vita

La notte un angelo vola nel cielo
Un diffuso chiarore ammanta i tetti
Mi predice una lunga, lunga vita
Trasvolerà il mio nome oltre le case

Popolo mio per te io ho cantato
Chissà se il canto ti é piaciuto
Una voce é che viene dai polmoni
Tutta tristezza e fatica inumana

E' di te che dipingo fiori
Foreste cupe, genti tra le case
Come un barbaro imbratto la tua faccia
Ma giorno e notte io ti benedico"

(Come un barbaro - Marc Chagall)

 

 

"...Per me il circo è uno spettacolo magico che passa e scompare come un mondo...”

 

Chagall seppe costruire attraverso i suoi dipinti ed i suoi scritti un universo caratteristico, uno spazio lirico, poetico e fantastico in cui tutto é possibile. Una pittura espressiva e coloratissima, traendo ispirazione da un vissuto che si fondeva con la fantasia creando universi magici, un mondo di sogni e di colori dalle infinite sfumature. Una tavolozza dai colori intensi dona vita ai paesaggi e agli esseri, reali o immaginari, che si affollano nella sua fantasia. Perché era il colore il mezzo tramite il quale Chagall esprimeva le sue emozioni. Un colore che oltrepassava le forme, non ancorato alla realtà. Un colore che emoziona.
Chagall amava la letteratura, scriveva poesie ed era profondamente amico di scrittori e poeti.
Il suo gusto per le tradizioni popolari, la sua riflessione sul comportamento umano ed una fervida immaginazione lo guidarono nell’illustrare favole popolari con fantasia ed ironia, rifacendosi alla tradizione russa, alle icone ed alle colorate stampe popolari che, accompagnate da una semplice didascalia, erano tradizionalmente usate per istruire ed informare il popolino e gli analfabeti. Gli animali facevano parte della sua infanzia e della sua vita e contribuivano a creare quel mondo magico ed immaginario che ne faceva da sfondo.
Nel tornare alla Bibbia, Chagall, l’eterno esiliato, l’ebreo errante, riscopriva le sue radici e la sua terra d’origine. Con fede e vitalità, rappresentò l'esodo biblico come un'allegoria della persecuzione a cui gli Ebrei furono sottoposti con l'invasione nazista durante la seconda guerra mondiale. Libero dall'oppressione, il suo popolo divenne un gruppo con identità propria, libero e governato dalle proprie leggi. I testi sacri mettevano in connessione Chagall con le sue radici più profonde, con l’infanzia trascorsa nella comunità ebraica di Vitebsk, con i sentimenti dell’amore e della fratellanza.
E a Vitebsk tornavano anche i ricordi di acrobati e giocolieri, quando un giovane artista sognava una vita vagabonda e bohemien, i fiori portati da Belle per la prima volta, il primo volo. Il cielo appartiene agli innamorati.
Chagall ama: ama il mondo intorno a lui, gli animali, il sole, la natura, e i fiori. Ama il circo e la poesia. Ama Dio.
E soffre: per la guerra, l'ingiustizia, la persecuzione.
E sogna, crea il suo mondo parallelo, inconfondibile, colmo di vita e di colori vibranti.
Un mondo fantastico, dove la linea che separa la realtà dall'immaginazione é meravigliosamente invisibile.

 


"... una mostra dedicata al grande artista russo, Chagall. Sogno e Magia: 160 opere che raccontano, attraverso il filo conduttore della sensibilità poetica e magica, l’originalissima lingua poetica di Marc Chagall (1887-1985).

La cultura ebraica, la cultura russa e quella occidentale, il suo amore per la letteratura, il suo profondo credo religioso, il puro concetto di Amore e quello di tradizione, il sentimento per la sua sempre amatissima moglie Bella, in 160 opere tra dipinti, disegni, acquerelli e incisioni. Un nucleo di opere rare e straordinarie, provenienti da collezioni private e quindi di difficile accesso per il grande pubblico.

[...] la mostra racconta il mondo intriso di stupore e meraviglia dell’artista. Nelle opere coesistono ricordi d’infanzia, fiabe, poesia, religione ed esodo, un universo di sogni dai colori vivaci, di sfumature intense che danno vita a paesaggi popolati da personaggi, reali o immaginari, che si affollano nella fantasia dell’artista.
Opere che riproducono un immaginario onirico in cui è difficile discernere il confine tra realtà e sogno.

La mostra si divide in cinque sezioni in cui sono riassunti tutti i temi cari a Chagall: Infanzia e tradizione russa; Sogni e fiabe; Il mondo sacro, la Bibbia; Un pittore con le ali da poeta; L’amore sfida la forza di gravità."

(dall’Introduzione alla mostra)




 
 
 

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Post n°835 pubblicato il 19 Dicembre 2019 da enodas



Mi sono trovato in questa strana situazione, qualche sera fa. Seduto a tavola con perfetti sconosciuti che sono rimasti tali per tutta la serata. Ho cercato di gettare un discorso, presentarmi almeno, cercare un contatto visivo, attaccare discorso se non altro nel momento in cui condividevo un pezzo di pane sul tavolo. Niente. La mia serata é passata così, da perfetto sconosciuto. Fianco a fianco, un'ombra invisibile. Tanto che nemmeno al momento di andarsene, nemmeno quando per caso ho aperto la porta e lasciato il passo ad una di queste persone, c'é stato un saluto. Sono tornato a casa sconcertato, tra il sarcastico tra me e me e l'arrabbiato con il nulla, ma anche intrinsecamente ferito. Non posso negare che questa serata mi abbia lasciato un senso di profonda tristezza. Perché se é vero che una cosa del genere semplicemente dovrebbe - e dovrà - scivolare via, e magari nella causalità ho avuto la sfortuna di sedermi vicino a dei ragazzi di qualche anno più giovani di me e perfettamente maleducati, é anche vero che lì per lì mi sia sentito completamente estraneo, invisibile, e con la voglia di piangere che apparterrebbe ad un bambino. Profondamente solo.


 
 
 
 
 

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