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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Valse Oublièe
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Impromptu n.3 op.90
Impromptu n.2 op.142




 

Messaggi di Maggio 2016

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Post n°628 pubblicato il 29 Maggio 2016 da enodas

 

 

Oggi, semplicemente, é "il record". Superato. Può sembrare una cosa un po' infantile, detta così, e rimane tale, scherzandoci sopra. E il tempo passa velocemente, anche su questo, per una volta leggero. Ma non é poi così poco, se dagli occhi spunta una lacrima tanto facilmente, in un mondo dove a volte candore e tenerezza quasi mi lasciano disarmato e, qua e là, questo record ritorna.

 

 
 
 

.

Post n°627 pubblicato il 24 Maggio 2016 da enodas

 

 

Sono uscito per strada. Sembrava giorno. Tanto che ho pensato che non fosse così tardi. E invece, era un'illusione. Incredibile, con un sorriso. Tante sono le luci attorno a Times Square che, viste dall'alto, dalla cima dell'Empire State Building, creano un fascio che riesce a spiccare in un panorama che non é esattamente buio profondo, un bombardamento di pannelli mobili sopra la testa quando si cammina, da terra, al centro di questa congestione di sensazioni visive e sonore. Affollatissima in ogni momento, iperattiva, energia allo statto puro, per certi versi pacchiana, oversize, esagerata, non ha importanza: tutti i simboli di new York, dai taxi gialli ai grattacieli svettanti le pensiline d'ingresso ai teatri di Braodway si incontrano qui, tra ricorsi a foto storiche e cliche collettivi, su "una giungla d'asfalto dove si producono sogni".
Sotto questa pioggia di luci, alla fine, mi sono trovato a vagare, tra spettacoli, incontri e semplici passi, quasi inevitabilmente, quasi ritrovandomi ogni volta in questo punto bizzarro e colmo di vita al limite della nevrosi.

 

 

Questo é un musical nella sua definizione più classica. Un musical dove "la città che non dorme mai mette in scena la città dell'amore", come ho letto non so dove. Questo é un musical vecchio stile, tradotto in film, navigato negli anni. La musica di George e Ira Gershwin é indiscutibile, e corona scene di ballo vero e proprio così come grandi numeri di spettacolo. Luci che si irradiano da dietro il palcoscenico, tra vetri e riflessi luminosi. E la storia scorre leggera, come l'ambientazione in una città che lontanamente, nella storia, esce da una guerra, come leggera é questa gioia di vivere che anima la trama, fa volare i personaggi su note danzanti, con brio, delicatezza e romanticismo. D'altri tempi.

 

"...It's plain to see
We found, by finding each other
The love we waited for

I'm yours, you're mine
And in our hearts
The happy ending starts..."

 

[...]

 

 

Le "Arabian Nights" sono le notti del deserto, spazzate da un di sabbiaquasi fosse magia ed una lampada favolosa. Sono le storie raccontate una per notte nell'alcova di un palazzo reale. Sono le notti di Aladdin, direttamente da uno dei cartoni Disney più di successo, almeno per quanto riguarda la mia generazione e la mia idea di cartone animato, con le sue musiche ed il suo genio. E' lui il vero protagonista di questa favola, personaggio dirompente, la cui voce rieccheggia, come un motivo, una volta uscito da teatro. E pure prima, a dire la verità, tanta era l'attesa che avevo creato per questa sera. Così, in bicicletta, canticchiavo il ritornallo della marcia di Agraba. Le notti d'Oriente sono un tappeto magico che fluttua tra le stelle, uno di quei passaggi che in un musical fanno sollevare un sussurro di meraviglia. Alla fine, forse tradito dalle aspettative e dal teatro gremito ed ammassato fino all'ultima fila di posti, nel resto qualcosa mancava, un pizzico di poesia in più, o quella patina da cartone animato, forse, perché fosse uno di quei sogni da Mille e una notte.

 

"...When the wind's from the east
And the sun's from the west
And the sand in the glass is right
Come on down
Stop on by
Hop a carpet and fly
To another Arabian night
[...]
Arabian nights
'Neath Arabian moons
A fool off his guard
Could fall and fall hard
Out there on the dunes..."

 

[...]

 

 

Sono sceso lungo una scala stretta. Uno di quei luoghi un po' mitici cui uno non darebbe un soldo. E' una serata 'sofisticata' in un carto senso, ora che le luci rimangono soltanto lievemente soffuse e suona musica live, quelle note che non sai definire, non sai iscrivere, ed allora, come diceva una battuta in un film, non può essere altro che jazz. Ed allora mi godo questa serata newyorkese, sciogliendo melodie complicate che nascono forse lì sul momento, in un dialogo incontrollato di voci, strumenti diversi, dal timbro caldo e profondo, un po' gutturale, forse, in qualche momento, una musica senza fine, metamorfosi continua, che a tratti quasi mi porta indietro a quadri come ricordi, finché le luci rimarranno silenziose nel buio.

 

[...]

 

 

Sì, é domenica. Folate di vento gelido e cielo limpido, Harlem rimane avvolta in un deserto silenzioso costellato di disegni e colori sulle serrande abbassate. E' una veduta un po' diversa da quanto ci si potrebbe aspettare, ma in fondo qualcosa cambia anche qui. "Good morning! I'm going to sing today... look to the lady with curly hair!", muovendo con ironia le ciocche  sistemate sotto il cappellino.
In uno di quegli angoli dove a poco a poco si anima la domenica: non una chiesa con una facciata distinguibile, ma l'entrata di un vecchio teatro. E già da oltre le mura arrivano le note di un canto gospel, con la voce che sale, piena, ondeggia come il volto di una cantante, del coro, dei fedeli. E sarà pur vero che queste funzioni sono interminabili, ben oltre i momenti di questi canti ricchi di passione e colori, ma aprono una finestra su un mondo che va oltre la musica, di una tradizione cristiana interpretata e vissuta i maniera molto diversa, con forte senso comunitario, aperto peraltro anche agli settatori occasionali, ed una fede che non é soltanto celebrazione, ma lotta per i diritti, storia degli ultimi duecento anni ed anima di un popolo traghettato qui dalla storia. E dalle persone che entravano e con un sorriso salutavano sono tornato a delle immagini raccolte con gli occhi in metropolitana, gesti semplici o intensi, altri di inaspettata generosità: sotto queste note idealmente le ho raccolte in un abbraccio comune.

 

[...]

 

 

 
 
 

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Post n°626 pubblicato il 20 Maggio 2016 da enodas

 

 

 

"...Keep, ancient lands, your storied pomp!" cries she
With silent lips. "Give me your tired, your poor,
Your huddled masses yearning to breathe free..."


"I first saw you on the evening of May 4, 1909, from the deck of the Immigrant Ship that brought me from Norway. I was wondering, as I looked at you and the lights in all directions, What is going to happen to me in this vast, new land of America?"

 

Forse davvero non poteva che iniziare così, quasi arrivando dal mare, in una coltre di nebbia e nubi, mattina fastidiosamente piovosa di maggio, con il profilo di Manhattan che per me scompariva lentamente inghiottito in un unico colore neutro, ed un altro profilo che lentamente diventava sempre più nitido. Eco lontane, confuse senza un tempo. Immigrazione, accoglienza, sofferenza. Tra un simbolo di speranza ed il primo approdo, dove ora il silenzio si sovrappone alle voci, alle tracce, agli occhi di milioni di persone. Prim tappa della storia, in ordine sparso. E se da un lato c'é una figura gigantesca che come un faro vorrebbe rimandare ai principi stessi della guerra di indipendenza, dall'altra si raccolgono frammenti quasi impercettibili di tante, tantissime storie. Coperte da una coltre di polvere e di tempo, testimoniano qualcosa che si ripete, continuamente, ovunque, e non é poi tanto lontano. Tutto quello che resta, quasi niente, perché i momenti sono vissuti e portati via, con sé, come un carico di valigia, il fischio di una nave, é un'assenza toccante e continua, un'immagine che lentamente perde colore ed assume i toni di seppia, gradazioni di bianco e nero, e si trasferisce in quei quartieri che diventavano piccole nazioni. Quartieri come Chinatown, Little Italy, i più famosi, i più legati a quell'imprinting innato che li ha fatti crescere e sopravvivere. Lì nasceva la moderna New York, probabilmente, esperimento senza precedenti, in ciò che molto era diverso da come appare oggi, e da lì, da quelle mani, si costruiva e emergeva sempre nuova la città.
Forse non ho lo spazio e le parole per descrivere le ore passate in giro ad Ellis Island, ma tra le tante note raccolte ho trovato quelle di una giovane fotografa che aveva esplorato il sito quano ancora era in disuso.

 

 

"Ellis Island is enveloped by a tremendous intensity of emotion. The passage of countless souls has left behind a strong human presence anchored in its emptiness. Like a pebble or a piece of drift wood, it also bears witness to the passage of time, to change, to nature's own path, to what we see as chaos and decay.
[...] I wondered around in silence, letting myself be guided by unknown forces compelling me to explore unlikely desolate corners of the endless mass. I saw the light making its rounds, a little different every moment, every day, and yet the same.
Disturbed only by the sound of pigeon's wings, I heard the voices of the millions of people who came through here, building a temple with their highest joys and deepest sorrows - men, women and children who made it through to a new life, or who died straining to look through a dusty mirror at what they knew they could not possess..."


"These documents were saved for more than just memories... The papers were a testament of who they were and where they came from..."

 

 

"...government of the people, by the people, for the people..."


"... It is rather for us to be here dedicated to the great task remaining before us—that from these honored dead we take increased devotion to that cause for which they gave the last full measure of devotion—that we here highly resolve that these dead shall not have died in vain—that this nation, under God, shall have a new birth of freedom—and that government of the people, by the people, for the people, shall not perish from the earth..."

 

C'é un grande pezzo di storia concentrato in una nazione tutto sommato giovane. Ci sono concetti potenti e delicati, parole pesanti, come libertà, uguaglianza, schiavitù. La discesa lungo la East Coast, attraverso Phildelphia e Washington, passa profondamente attraverso le pieghe della Storia, in una commistione di potere attuale, equilibri planetari e lotte interne tanto profonde da essere veri e propri graffi dell'anima. Ancora oggi. Ed é una strada lunga, lastricata di nomi altissimi e grandi discorsi, così come di personaggi scuri ed ambigui, episodi ed avvenimenti.
Sono tornato infine sulle scale che come a teatro seguono lo sguardo di un'immagine enorme, alle mie spalle seduta sul suo scranno, affiancata dalle stesse parole che come pilastri richiamano valori, quasi macigni, ad oscillare tra ideali e realtà, cui quasi aggrappati saranno rimasti i nomi di infinite anime senza più di un questo inciso su un cippo o spesso nemmeno quello, ignoto, quando la pietà non consente più altri giudizi. Come se esistesse una guerra giusta. Si perde in ogni direzione, una distesa di nomi, età, tanto più grandi di quanti se ne possano trovare su suolo europeo, conflitti che abbracciano due secoli, a partire dalla Guerra di Successione, il nome di un presidente, un altare al milite ignoto, una successione di memoriali, attraversati lentamente da un carro funebre, in lontananza, veterano o caduto.

 

"They fought together as brothers-in-arms. They died together and now they sleep side by side. To them we have a solemn obligation..."


"...Even again, in the greatest of odds, there is something in the human spirit, a magic blend of skill, faith and valor, that can lift men from certain defeat to incredible victory..."


"Here we mark the price of freedom"

 

 

"Proclaim Liberty throughout all the Land
unto all the Inhabitants thereof"


"We mutually pledge to each other our Lives, our Fortunes and our sacred honour..."

 

C'é un filo sottile che lega la dichiarazione di Indipendenza alla lotta per i diritti civili, contro la schiavitù legalizzata, e successivamente a quella silenziosa del razzismo. Almeno nelle intenzioni. E' un filo invisibile che scuote una ampana che non ha mai suonato, ma che é uno di quei simboli della storia americana. E da un capo all'altro si raccolgono testimonianze di questi passaggi fondamentali e, ancora una volta, si fatica a comprendere la vastità di questi temi, di quano siano nodi irrisolti non solo di questa società, ma in qualche modo di tutti noi, e la difficoltà a comprendere un Paese che celebra le sue virtù più elevate, pur cedendo a clamorose contraddizioni. Ancora una volta, torno indietro, alle carte stroppicciate degli emigranti giunti ad Ellis Island, ai nomi afro-americani incisi sulle lapidi fin dalla Guerra di Secessione, alle piantagioni della Louisiana, così come ai film più brutali che dai tempi di Lincoln arrivavano a Rosa Parks, la storia dimentiacata dei nativi, fino alle immagini attuali della polizia, torno con gli occhi a New York downtown.

 

"Whatever else I may forget, I shall never forget the difference between those who fought for liberty and those who fought for slavery..."

 

 

Sto attraversando città enormi e pezzi di storia. Dalla vecchia Washington, la cittadina di Georgetown che sembra di camminare tra le eleganti streets di una cittadina inglese, alle case in mattone e le vecchie vie nascoste di Philadelphia. Forse davvvero, con i passi ho perso la cognizione del tempo. E tra le vecchie strade, che ormai tendono ad essere scomparse, varco la soglia delle stanze in cui la Carta venne scritta e discussa e la stanza del primo Parlamento. Perché tutto nacqu in realtà qui, in questa città nominata col suo nome abbreviato quasi a vezzeggiativo, che tutti snobbano un po'.


"...I walked the avenue, 'til my legs felt like stone,
I heard the voices of friends, vanished and gone,
At night I could hear the blood in my veins,
It was just as black and whispering as the rain,
On the streets of Philadelphia..."


In questo luogo dal sapore gotico e dall'atmosfera surreale anche i colori hanno assunto tonalità congelate nel tempo. Questo penienziario ha ospitato nomi pesanti, criminali comuni e personaggi efferati. Nel silenzio, un alito di terrore trasuda dai muri, dai ferri arrugginiti, dalla luce filtrata che sembra condurre in loghi senza fine. Ci sono storie curiose e riflessioni sui penitenziari americani, allora come oggi. Perché i numeri attuali impietosamente inquadrano le composizioni razziali, la contraddizione della pena di morte, il confronto con una cella di Guantanamo. Tra le pareti, la storia di un uomo afro-americano libero del nord parla di un marito incarcerato ed internato per aver protestato contro la cattura della moglie, quando questa venne accusata di essere una schiava fuggita dal Sud. La storia degli schiavi fuggitivi, dei corridoi sotterranei ed illegali lungo tutto il Paese, del lucroso affare di chi rapiva uomini di colore liberi, riaffiora anche qui, in un poster ingiallito di un secolo e mezzo fa, tra corridoi abbandonati al disfacimento e -quasi - all'oblio - e nei numeri di prigionieri di oggi, in alrtri luoghi, entro altre mura.

 

 

Immergo la mano nell'acqua per passare le dita bagnate su lettere ritagliate da un parapetto metallico. Nomi, moltissimi, di ogni assonanza. rivoli d'acqua che scendono, precipitano, a creare una cascata in un vuoto invisibile. Ancora una volta, penso che lo scorrere dell'acqua abbia un potere arcano di plaare l'anima. Anche se é impossibile. La Storia passa di qui, ultimo tassello. Come un cerchio che si chiude, con il suo anello più doloroso. Forse perché semplicemente colpisce nella quotidianità che é familiare. Allo stesso modo, le mani di una donna sfiorano questo lungo parapetto. Ci ha parlato e ci ha guidato, in questo spiazzo che é ancora un po' cantiere e molta commozione. E, per quanto avessi notato già la foto nel risvolto del suo tesserino, solo ora che sta per congedarsi racconta che suo figlio era lì, che in questo punto é scritto il suo nome. Altro di un nome non rimane. Solo ora l'uomo accanto a lei racconta di essere arrivato dalla caserm dei pompieri, vicino, del cognato, che sta soffocando in un cancro ai polmoni, della giovane leva a cui aveva suggerito di entrare nel corpo dei pompieri. Come ogni tragedia, é imperativo raccontare, per ricordare. Perché nel ricordo ciò che é accaduto, le persone che se ne sono andate, esistono. Così esiste il figlio, nel coraggio della madre. Ed io rivedo i volti incrociati nella metropolitan, questo pensiero assiduo che collega facce sconosciute e normali alle Torri Gemelle. E chissà se davvero chi pilotava quegli aerei, quel giorno, hanno davvero puntato la Statua della Libertà, prima dell'ultima virata, fissandola negli occhi.

 

"I knew that Terry would have been on one of the highest floors, that's just what Rescue 1 would do. When the building came down, I grabbed the dust on the ground and thought he's in this dust..."


"We are breathing the deads,
taking them into our lungs
as living we had taken them
into our arms..."

 

 

"A story is a gift"

[...]

 
 
 

.

Post n°625 pubblicato il 18 Maggio 2016 da enodas

 

 

[...]

 

 

E' con emozione ed eccitazione che torno a scrivere. Lo volevo fare appena salito in aereo, o idealmente ieri sera, al termine di una giornata che per me é durata trentasei ore, in cui la mattina camminavo all'ombra del ponte di Brooklyn e la sera tornavo in bus dal lavoro. Sono crollato sul divano, ad un certo punto straparlando quando mi sono svegliato in una stanza che stentavo a riconoscere.
Ed allora, eccomi al termine di questo giro, che a poco a poco si é trasformato in un vero e proprio viaggio, di cui potrei scrivere giorno per giorno. Mi vi sono avvicinato intimorito, dalle dimensioni di una città enorme, e con il distacco per un luogo e per un Paese che ha tanto, ma ha anche molti aspetti su cui si potrebbe discutere a lungo. Ed all'inizio, ho volutamente evitato di farmi impressionare dalla folla, i luoghi più noti, gli aspetti più estremi, come a ripetermi che in fondo non c'era poi tanta gente o questo o quello fosse più grande di ciò che potevo aspettarmi. Del resto, il concetto di folla é sempre più molto relativo, rispetto a quanto abbiamo nella mente. Ma la verità é che in tempo molto breve, ne sono rimasto affascinato, catturato e sedotto come da una bella donna cui non ci si vuole avvicinare per autoprotezione...
New York é bellissima, semplicemente. E' qualcosa che in un certo senso non avevo mai visto né sperimentato, un concentrato straordinario di culture e linguaggi, di luci, di luoghi indimenticabili, di umanità, musica ed azione, di cultura, stimoli intellettuali e belle ragazze. E' un elenco che potrei snocciolare per pagine intere. E' cool. E mi ha preso, lungo una serie di interminabili camminate che mi han fatto macinare chilometri e la sera mi portavano a casa stravolto, tardi ma non troppo per poter sfruttare la giornata seguente, che iniziava pure presto perché l'eccitazione per mille cose da fare e la luce del mattino mi svegliavano presto. Credo avrei potuto girare un mese senza esaurire la lista di cose che avrei voluto fare. E' così che questo si é trasformato in un viaggio. Con qualche deviazione lungo la East Coast. Un viaggio che oltre i luoghi e la gente ha attraversato la storia, la musica ed una sterminata ricchezza d'arte. Ma questi sono altri capitoli di un libro da scrivere.

 

 

Non so dire cosa mi sia piaciuto di più. Davvero, non ne ho idea. Camminare a Central Park, in una giornata di sole, per esempio, ed osservare i grattacieli da lontano come chi si appostava a catturare l'immagine di un volatile tra i rami. Oppure attraversare gli sconfinati ponti di Manhattan, in un salto proteso sull'acqua, città vere e proprie connesse l'una all'altra, o magari camminare seguendo romanticamente la riva del fiume. L'acqua ha sempre questo straordinario effetto calmante, anche dall'ansia di una metropoli banalmente troppo grande. O forse camminare, e basta, perché ogni angolo era un incrocio, da affrontare ed attraversa con la determinazione di chi sa dove andare, pur non avendone idea. La gente, l'ho osservata in metropolitana: un mondo racchiuso, incredibile esperimento culturale in cui ogni angolo si fonde in questa città. Ho sentito parlare qualsiasi tipo di lingua, mentre camminavo, che la riconoscessi o no. E voltandomi, chiaramente, non si trattava di turisti. E' questo l'aspetto indescrivibile di New York. E scambiando due parole poi con chi mi opsitava, scoprire quanto impensabile questo mondo possa essere così vicino a noi, dietro il nostro angolo. Ho trovato persone disponibili ed amichevoli, che forse sarà un approccio piuttosto noto quando si parla con degli Americani, ma non credo sia così scontato quando si tratti di una grande città che storicamente naviga anni avanti rispetto gran parte del pianeta. E la verità é che, magari un po' inconsciamente, ovunque andassi mi sentissi al sicuro. E certo, le differenze si snodano, lampanti, a volte in modo drammatico, a volte in maniera curiosa, e raccontano un aspetto di questa città. Una città che malgrado le sue dimensioni non impedisce tutto sommato di essere vissuta in maniera positiva: l'incredibile rassegna di eventi culturali, i bar ed i café, ognuno con l'anima propria di un quartiere, le strade che diventano pedonali nel fine settimana e si trasformano in sterminate rassegne di banchetti e chioschi di ogni tipo di cucina, il polmone di Central Park e tutti quei piccoli parchi quasi nascosti in un'incudine di edifici svettanti, o magari pure estesi laddove altro spazio non c'é che sospeso nell'aria, l'architettura stessa che, oltre al mero fatto di portare grandi firme, racconta delle storie, delle idee, dei personaggi. E' quest'anima, questa sensazione di vivibilità, a dispetto delle dimensioni, a fare per me di New York un luogo diverso.

 

 

"...You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope some day you'll join us
And the world will be as one..."


E' una piccola rosa dei venti in un "campo di fragole". Forse sarà un po' scontato, ma quando semplicemente voci diverse si uniscono spontaneamente sussurrando sulle note di una chitarra vagabonda suonata all'angolo di una panchina, credo sia un'emozione. E come il testo di una canzone, sarebbe bello bastasse così poco. Tra volti spiati nei vagoni della metropolitana, o ad uno di quegli incroci per strada, o lungo il passaggio pedonale di un ponte, tra i campi di gioco ricavati sui pontili, oppure ancora accostando i palazzi del potere e della memoria con la gente che si ritrova a giocare a baseball in vere e proprie squadre con tanto di divise fatte in case lungo la striscia verde che connette Capitol al memoriale di Lincoln a Washington, mi sono trovato spesso a confrontare l'idea di un Paese come nazione astratta e la quotidiana semplicità della gente che incrociavo. Quello stesso accostamento tra i giocatori di baseball a fine giornata ed il potere alla cui ombra si trovavano. Ho cercato di riflettere a lungo sulle contraddizioni ed i pregiudizi. E riascoltavo quella canzone appena sussurrata. E giungendo di fronte alla statua gigante di Abramo Lincoln, tra colonne elleniche e penombre, una frase  mi suonava come un messaggio senza tempo...


"I hate slavery because it deprives our republican example of its just influence in the world - enables the enemies of free institutions, with plausibility, to taunt us as hypocrites..."

 

 

Pazienza se tutto sommato le mie foto saranno un po' banali. E pazienza se si rivolgevano continuamente a quel profilo di linee slanciate verso il cielo. Attraverso ponti sospesi, in navigazione dall'acqua, sulla terraferma o dalla cima di un'altezza da brividi. Come un polo magnetico catturava lo sguardo e l'immaginazione. Così come una fiamma sospesa nell'aria sorretta dal braccio saldo di una donna con passo incipiente. Ho sorriso, la prima volta che quel profilo mi si distendeva davanti; ho sospirato, di meraviglia, col fiato sospeso per un senso di vertigine, quando si sono spalancate le porte di un'ascensore e mi sono trovato sospeso nel cielo. Ho cercato di fermarmi e catturare un frammento temporale lungo una strada una qualsiasi con un numero davanti, quando il sole al tramonto é apparso lungo una linea. Questa é la storia delle mie foto.
E questa invece é l'immagine che preferisco. L'ho saputo nel momento stesso in cui la scattavo. Mi é sembrato che sotto lo sferragliare della strada, tra le pieghe della pioggia, si nascondesse un mondo racchiuso in un attimo, camminando lungo l'Hudson, guardando un ponte attraversato e lasciato alle spalle ed uno, celeberrimo, che si avvicina, per riattraversare il fiume di nuovo. Con passo veloce, tra pensatori, maratoneti e passanti comuni, trattenendo il respiro affannato dei passi e smorzato nel tempo grigio che incombe.

 

 

12 maggio. Non so quanto ho camminato. Ho fatto tante cose, oggi, partendo dal Financial District e risalendo, attraverso Chinatown e Little Italy, così curiosamente accessibili una di fronte all'altra, fino alla 5th Avenue e poi indietro verso un teatro, quando ormai era sera anche se intorno sembrava giorno, tante erano le luci. Accompagnato da una curiosa successione di slices di pizza. So solo che al termine di questa giornata un po' speciale, quasi come fosse una promessa, volevo salire quassù. Così mi é stato detto. Ed uscito sulla terrazza, da un lato in particolare, il vento é frontale e quasi soffoca il respiro. Come se non bastasse la meraviglia. Mai così in alto. Ed una distesa di luci, linee in movimento fremente o piccoli brillanti sovrapposti in pile che non sembrano conoscere un limite, o boati di luce, ancora altrove. E dietro la vetrata, c'é un sax che suona, solitario, quasi silenzioso di quel silenzio invisibile. Cantare, semplicemente.

 

 

 
 
 

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Post n°624 pubblicato il 04 Maggio 2016 da enodas

 


E' con un po' di paura ed apprensione che questa sera preparo la valigia. Razionali ed irrazionali, come del resto può sembrare irrazionale quel nodo che mi sale ogni volta. Questa volta, credo, un po' di più. O forse, le cose diventano ogni volta leggermente più difficili. Dall'altra parte, c'é questo mondo che non ho mai visto ma spesso sognato, tanto che sono anni che dico "questa volta vado", con talmente tante cose da vedere e da fare, luoghi da visitare e chilometri che mi immagino già macinare, da far girare la testa e rendere impensabile ogni possibile piano e non memorizzabile ogni possibile luogo. Un vortice di luci, di suoni, non lo so. Scrivo, in partenza.


"...in a city
that doesn't sleep..."

 
 
 

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Post n°623 pubblicato il 02 Maggio 2016 da enodas

 

 

 

Onde, boccoli di capelli, linee di un vestito che gradualmente si fonde nell'aria: sono infinite linee vorticose che si spiegano a riempire ogni centimetro quadrato di foglio. Linee e nient'altro che linee, si sovrappongono, interagiscono e si perdono, infine, le une nelle altre, in un flusso continuo e danzante. E' un mondo misterioso e leggero, quello che compongono, note raffinate che nel loro segreto sprigionano un moto velato di inquietudine. Perché é come leggere un codice speciale, usando un vocabolario nascosto, in cui qualunque cosa assume un significato particolare, dove attimi della vita sfiorano nascita e morte, domande esistenziali, la cui riflessione impossibile sembra ripetersi nel moto ossessivo di queste linee. C'é un grande fascino ed una forte emozione, in questo stile, agitato e dinamico, che con la mente mi catapulta inevitabilmete ai capolavori di Klimt, e mi rapisce, come trascinandomi in questo labirinto senza uscita, senza gravità, senza soluzione, in un moto quasi perpetuo.

 

 

Sembra un binario parallelo, questo, declinato in "lingua" olandese da un artista di cui non conoscevo il nome. Jan Toorop. In realtà, questa mostra monografica parte da lontano, e conduce lungo tutta lla vita e l'esperienza artistica di questo pittore olandese a cavallo di inizio Novecento, in una metamorfosi continua di stile e di temi. Ciononostante, é questa sezione, ad introdurre una "mystical life" che da lì in poi approderà a ricerche sempre più estreme e distintive, a catturarmi e rendersi unica. Forme sempre più stilizzate e colore appiattito, alla ricerca di una realtà spirituale, dove l'arte é interamente diretta ad una scena parallela, che potesse essere compresa da chiunque, in quanto parte di un linguaggio universale. Così immagini e forme erano considerate simboli, geometrizzazione e stilizzazione come mezzo per raggiungere un significato più profondo, astrazioni della realtà dell'anima, in un mondo esotico, o un giardino mistico popolato i rose fragranti, tulipani ondeggianti, cespugli di rovi, fontane e salici piangenti, elementi a tratti macabri, a tratti quasi da sogno, in cui al tempo stesso ci si vorrebbe immergere completamente e distaccare poi alla ricerca di un respiro.

"These completely subjective depictions of a painter's feelings are incomprehensible to anyone of European culture. They show a mixture of naivety and profundity, of audacity and artistic ignorance: the viewer loses his way in them and is, at the same time, incited to penetrate the fantastical labyrinth and somehow extract symbolic meaning from it..."

 

 

"Jan Toorop (1858 – 1928) ranks alongside Van Gogh and Mondrian as one of the most important Dutch artists of the period around 1900. All three took their bearings from the latest international developments in the art of their time and all three produced work that influenced other artists. For example, Toorop was a major source of inspiration for Gustav Klimt.

Toorop’s work is popular with the general public in the Netherlands and is often associated with Art Nouveau, mainly because of his well-known advertising poster for Delft salad oil. Indeed, this poster is so well-known in the Netherlands that Art Nouveau is often called ‘slaoliestijl’ (= ‘salad oil style’)! Fewer people are aware that Toorop worked in many other styles. He also produced Neo-Impressionist, Pointillist and Symbolist paintings and his innovations in painting included the use of flat areas of colour. It used to be thought that he switched constantly between these styles but recent research has revealed a clear line in his artistic development. He responded to his environment and regularly modified existing works. In this respect, he was an extremely progressive artist.

This spring, the Gemeentemuseum presents an exhibition designed to draw attention to the diversity in Toorop’s work. The approx. 150 works on show will include many top items. Your chance to discover the life and work of this great Dutch artist!"

[dall'Introduzione alla Mostra]

 

 

 
 
 
 
 

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