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VIAGGIO NELL'ULTIMO TABÙ - LA VIRILITÀ E E SUE METAFORE

Post n°263 pubblicato il 06 Settembre 2006 da forsesei
Foto di forsesei

Il mensile «Geo» dedica un'inchiesta di copertina all'organo genitale maschile e ai suoi nomignoli nel mondo. Le donne cinesi lo chiamano «germoglio di giada», le argentine «pannocchia di granturco». E le italiane? Molte ne parlano ancora con imbarazzo. Ma qualcuna anche con troppa disinvoltura


 
È il protagonista della copertina del mensile Geo, in edicola il 12 agosto. Ma non compare nella foto.
Perché è l'unica parte del corpo umano che non si può mostrare se non nella pornografia. Di lui, fuori dai testi d'anatomia, è ben difficile parlare. Soprattutto per le donne.
«Molte mie pazienti» racconta a Panorama lo psicosessuologo Marco Rossi «usano metafore tenere e diminutivi, come "pisellino" o "uccellino", proprio per quello che vorrebbero fosse potente e virile».

Al pene la rivista diretta da Fiona Diwan dedica un sondaggio e un curioso viaggio intorno al mondo, scoprendo le più sorprendenti metafore e insospettate reticenze. Le ragazze giapponesi, sebbene vivano il sesso senza sensi di colpa, provano imbarazzo nel nominare l'organo genitale maschile.
E usano nomignoli vegetali, come germoglio, narciso o fungo. Quanto alla pratica che chiamano «suonare il flauto di bambù», evidentemente la ritengono più facile a farsi che a dirsi.
Regine del parlar chiaro, secondo Geo, sono le spagnole, per nulla a disagio nel chiedere «una tapa de chorizo», ovvero «uno spuntino di salsiccia». Le metafore alimentari hanno successo anche in Argentina dove «el choclo», ovvero la pannocchia di granturco, dà il titolo a uno dei tanghi più famosi e sensuali.
Ma anche la parola «pija», che in italiano si traduce con due zeta, si usa senza reticenze.

Mentre il mondo anglosassone, forte di una tradizione letteraria alquanto esplicita, almeno nell'ultimo secolo, non è a corto di espressioni affascinanti. La più colta è «John Thomas», presa di peso dal romanzo L'amante di Lady Chatterley di David Herbert Lawrence.
Così, infatti, il guardacaccia protagonista chiama il proprio membro. Per la cronaca, «lei» viene chiamata «lady Jane». Anche il termine generico più usato in Gran Bretagna e Stati Uniti, «dick», è un diminutivo del nome Richard.

Battezzarlo, in inglese, può essere un buon modo per nominarlo senza imbarazzo.
Ma in italiano una frase come «Caro, Giovanni Tommaso ha per caso nostalgia di Donna Giovanna?» suona più esilarante che eccitante. E comunque bisogna stare attenti alla scelta del nome.


La protagonista della commedia americana Come farsi lasciare in 10 giorni affibbia a quello del fidanzato il simpatico nomignolo di «Principessa Sofia». E il malcapitato protesta: «Se proprio devi dargli un nome, devi dargliene uno ipermascolino. Qualcosa come Spike, o Butch, o Krull il re guerriero!».

Sex and the city, la serie tv diventata una vera e propria enciclopedia del sesso raccontato dalle donne, è nata in America.
Eppure, nei dialoghi del telefilm il membro è sempre protagonista ma viene di rado nominato. Un po' perché non c'è bisogno. Se una dice «non tira», le amiche capiscono che non si sta lamentando del caminetto. Nei discorsi di Carrie e delle altre protagoniste sono rare le metafore e invece è frequente l'uso della sineddoche, ovvero la figura retorica che utilizza la parte (quella parte) per indicare il tutto (lo sventurato oggetto della conversazione).
Una sineddoche è il soprannome Mister Big, attribuito al «grande» amore della protagonista. Più sconcertante è Samantha, che dei suoi amanti non dice «John ce l'ha troppo piccolo» ma «John è troppo piccolo».

E le italiane?
Il nostro è uno strano paese, dove le poetesse e le scrittrici scrivono «cazzo» senza troppi problemi, come Patrizia Valduga nella raccolta Cento quartine (Einaudi) e Lidia Ravera nel romanzo Porci con le ali, mentre le pornostar non ne parlano che in termini assai vaghi.
La nostra lingua, grazie ai numerosi e diversissimi dialetti, oltre che alla grande fantasia popolare, vanta infiniti termini. Il poeta Giuseppe Gioacchino Belli, in un sonetto, ne elenca ben 52 solo in romanesco. E l'edizione italiana di Wikipedia, enciclopedia libera su internet, ha raccolto quasi 200 sinonimi, da «abbacchio» a «zizì».

Ma nel paese del «Merolone», di Antonio «er Mutanda» Zequila e di Rocco Siffredi, quasi una donna su quattro si rifiuta di parlarne.
Sono quelle signore che un sondaggio, commissionato dalla Bayer al sociologo Enrico Finzi dell'Astra Demoskopea e pubblicato da Geo, definisce «bacchettone tradizionaliste».
Per loro, in genere over 50, lui non si nomina. Mai. C'è poi chi non riesce a toccare l'argomento senza risolini d'imbarazzo e non s'azzarda a scendere nei dettagli: sono le «timidone», il 22 per cento delle intervistate.
Mentre il 21 per cento sono le «scientifico-seriose», che si trincerano dietro la parola più asettica: pene. Ma è «segno che non je torna bene» chiosa Belli nel componimento sopra citato, giocando con l'ambiguità dell'espressione «pene d'amore» per deridere chi parla d'alcova in termini da manuale d'anatomia.

Comunque, protette dal linguaggio forbito, queste signore del bon ton riescono a parlare anche di misure e durata, cosa che per i due gruppi precedenti (che insieme sommano il 46 per cento delle italiane) risulta impossibile. «Le donne» conferma Marco Rossi «persino nel mio studio medico faticano a nominare il pene.
E piuttosto che dire erezione cercano di farmi intuire l'impotenza del marito parlando di "calo del desiderio", che è tutt'altro problema».
Ma quando parlano, cosa dicono? «Secondo un sondaggio recente, che viene dalla Croazia» risponde il medico «le donne, più che le misure, apprezzano le proporzioni, insomma l'aspetto estetico del membro».

Se le ragazze di Sex and the city fossero italiane, apparterrebbero al 21 per cento della popolazione femminile: le «intime selettive», che parlano di tutto ed esplicitamente, ma solo con un ristretto e selezionato circolo di amiche fidate.
Ma le aspiranti Carrie italiane, senza lo charme di Sarah Jessica Parker, in genere, si riconoscono nel gruppo delle «evolute mondano chic», quel 23 per cento di italiane, spesso in carriera, che ritengono brillante dire ai collaboratori «vi voglio col pisellone dritto», per consigliare loro più grinta nel lavoro.
Mentre una donna su dieci per Finzi è una «postsessantottina», che usa il linguaggio da caserma come vessillo d'emancipazione, come si faceva negli anni Settanta.

«Ma purtroppo» commenta Rossi «è segno che gli attributi maschili sono ancora vissuti come un simbolo di potere e prevaricazione. Mentre nell'antichità erano segno di vitalità, gioia e fortuna».
Come il cornetto scacciaguai napoletano, ultimo erede dei falli venerati dai nostri antenati etruschi e romani.

 
 
 
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