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Un blog creato da Kaos_101 il 23/10/2006

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Il Gal Vihara

Post n°219 pubblicato il 29 Marzo 2008 da Kaos_101
 

Se molti studiosi ed esegeti collocano l’Eden nello Sri Lanka una ragione ci sarà pure…
Quando lo visitai, molti anni fa, ne fui enormemente impressionato per una molteplicità di fattori che vanno dalla gradevolezza della gente, allo splendore lussureggiante della natura, dalle ricchezze artistiche alla spiritualità profonda e diffusa che si respira.
Non sono buddista né penso lo sarò mai, anche se devo ammettere che il senso di tolleranza e di rispetto verso tutto e tutti implicito in tale religione mi ha sempre affascinato.
Credo però che ciascuno di noi sia figlio della cultura in cui cresce e, pur non sognandomi di giudicare chi sceglie di cambiare il proprio credo religioso, penso che sono nato cristiano e cristiano morirò
Ciò detto, però, non posso non ricordare con un misto di piacere ed emozione ciò che provai in un torrido pomeriggio tra le rovine di Polonaruwa.
Contrariamente a ciò che si potrebbe immaginare. Le attrattive dello Sri Lanka non sono solo di carattere balneare o naturalistico. Una millenaria civiltà ha prodotto una serie impressionante di città e siti archeologici che la rendono una meta di grande interesse anche per il turismo culturale.
Siti come Dambulla, Sigyria, Kataragama, Polonnaruwa e città come Kandi, Anuradapura, Nuwara Elya,  meritano senz’altro da sole un viaggio.
Polonnaruwa è stata capitale dello Sri Lanka per circa 200 anni. Abbandonata attorno al 1.280 è stata inghiottita dalla foresta, per poi diventare, una volta riscoperta si recente dagli archeologi, patrimonio dell’umanità.
La visita è sicuramente suggestiva: la città isolata e circondata dalla giungla, le rovine sono grandiose e l’estensione ragguardevole, ma nulla di ciò che vedi ti lascia immaginare l’emozione del Gal Vihara.
Il Gal Vihara (pietra nera) è una sorta di tempio a cielo aperto composto da quatto statue scolpite direttamente nella parete rocciosa, raffiguranti il Buddha in differenti posizioni, che rappresentano diversi momenti della sua vita.
Tralasciando la più piccola e meno emozionante delle quattro statue, un Buddha in meditazione protetto da un tempietto, le altre tre raffigurano nell’ordine:
Buddha in meditazione

Buddha in piedi a braccia conserte

Buddha morente

Di tutte, sicuramente, è stata quest'ultima a colpirmo maggiormente: la morte per il Buddha è il passaggio allo stadio della suprema consapevolezza e il suo volto, illuminato da un sorriso di pacata serenità, ne è un'evidente conferma. Quel sorriso, la cedevolezza del cuscino, il senso di abbandono che permea tutta la scultura mi hanno emozionato e commosso molto più di quanto mi sarei aspettato perchè, ho percepito in modo netto, col cuore e coi visceri, che la Divinità può assumere mille nomi diversi, frutto delle personali esperienze individuali, ma di certo, la sua Sacralità è unica e sa parlare agli uomini di qualsiasi lingua cultura e religione.
Ripensavo a una splendida poesia di Rabindranath Tagore:

Dove le strade sono già fatte
   io smarrisco il cammino,
Nel mare immenso, nell’azzurro del cielo,
   non c’è traccia d’un sentiero.
Il viottolo è nascosto dalle ali
   degli uccelli, dai fuochi delle stelle,
dai fiori delle mutevoli stagioni.
   e chiedo al mio cuore se il suo sangue
porta la salvezza della via invisibile
.

Sarà stato il tramonto che tingeva il cielo di caldi rossi e cangianti bianchi madreperlacei, sarà stata la folla composita in cui devoti singalesi si mischiavano ai turisti coi calzini bianchi e ampi cappelli di paglia a larghe tese che invadeva la spianata, sarà stato il senso di sacralità che promanava da quelle statue, sta di fatto che d’un tratto, come se una mano avesse tolto il volume alla scena, mi ritrovai immerso in un silenzio assoluto, gli occhi fissi sul quel viso sereno che in qualche modo mi restituiva la sua serenità

Non so quanto sia durata questa specie di trance, ma di certo, a distanza di anni il ricordo di quell’esperienza mi accompagna e riesce ancora, quando lo recupero, a trasmettermi un po’ di quella pace che provai allora.
Tra le tante cose che ho imparato da quell'esperienza ce n'è una, forse marginale su cui mi capita di tornare di tanto in tanto.
Se penso ai nostro luoghi di culto, alle chiese che una volta sconsacrate diventano teatri, bar, rimesse per auto, non posso non considerare con una certa tristezza, la diversa percezione che ha il buddista per il quale, ogni luogo sacro rimane tale per sempre.
Da quel momento togliermi le scarpe non è stato più un gesto di rispetto per una diversa cultura perchè ho capito che non ha alcuna importanza se un certo spazio è ancora o meno luogo di culto.In qualche modo la Divinità che l’ha abitato lo pervade in eterno con la sua sacralità ed è del tutto naturale che si continui a tributargli il rispetto e la devozione che gli compete.

 
 
 
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