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Campo minato...

Post n°147 pubblicato il 20 Giugno 2007 da Kaos_101
 

Prendo spunto da una discussione letta in un sito BDSM, per qualche considerazione sulle dinamiche Dom/sub. Fermo restando che ciascuno interpreta il rapporto a suo modo, mi pare di poter individuare due distinti e prevalenti orientamenti.

Il primo tende a cancellare le sicurezze della schiava, a non darle punti di riferimento su cui basarsi, a trovare sempre e comunque motivi di rimprovero, tali da minare progressivamente la sua autostima rendendola sempre più insicura e bisognosa della guida del proprio Padrone.

La seconda, per la quale propendo, vede il Master come una sorta di educatore e di guida, che pur utilizzando l’intera gamma degli strumenti educativi, miri però a far crescere la sicurezza e la consapevolezza del valore che ha per lui la propria schiava, per renderla sempre più un perfetto strumento del proprio piacere e, perché no, una evidente dimostrazione delle proprie doti di Padrone.

Al di là delle personali preferenze, non credo che un sistema sia, in assoluto, migliore dell’altro, ma, più semplicemente, che vada applicato a distinti tipi di persone.

E’ evidente che una donna dal carattere forte e volitivo, non accetterà mai un costante e progressivo tentativo di demolizione della propria personalità, mentre, per contro, sarebbe del tutto inutile, anzi controproducente, cercare di far crescere l’autostima di chi ci chiede solo di essere trattata come una pezza da piedi.

In ultima analisi è la scelta del tipo di relazione che vogliamo stabilire che ci farà scegliere tipo di donna e metodo di conduzione del “gioco”.

Per quanto mi riguarda, non ho mai considerato il BDSM, come una specie di percorso ad ostacoli in cui il mio compito precipuo sia quello di mettere in difficoltà la mia schiava.

Il mio fine ultimo è, e rimane, il piacere. Non vedo perché dovrei sprecare tempo ed energie, mie e altrui, per inventarmi prove e trabocchetti da far superare a chi dovrebbe dedicare tutta la sua attenzione a me più che preoccuparsi di evitare di commettere qualche errore.

Il mio scopo è quello di creare una sostanziale armonia tra me e chi a me si affida, armonia per la quale il piacere di servire si integri e completi perfettamente quello di essere servito. Amo pensare che la mia schiava sia una donna in gamba, che veda in me una persona speciale, forse non l’unica capace di farle piegare il capo, ma sicuramente una delle pochissime in grado di farlo. Voglio una donna che assuma in proprio l’iniziativa di soddisfarmi, che sappia capire, immaginare e creare le occasioni attraverso le quali dimostrarmi la sua totale dedizione e il suo desiderio di compiacermi in ogni modo.

Ho la sensazione,invece, che, per molti, mettere in difficoltà la propria schiava sia solo un modo per farla sbagliare e poterle far subire la punizione che spesso sembra l’unico scopo de Dom.
Considero mio privilegio insindacabile infliggere dolore e non ho certo bisogno di aspettare una mancanza o un errore per concedermi tale piacere.
Ho ben altri sistemi per ottenere obbedienza e devozione dalla mia schiava e ben altre punizioni per farmi temere: il silenzio, il rifiuto, l’abbandono.

Continuo a pensare che il dolore non sia una punizione, ma un segno di attenzione, un estremo gesto d’amore, la prova di quanto io senta e percepisca i limiti di chi ha deciso di appartenermi…

IMHO come sempre...

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Commenti al Post:
angj_angeljca
angj_angeljca il 21/06/07 alle 16:52 via WEB
Mi sconcerta il pensiero riportato. Non ritengo un altro “orientamento” una Dominazione in cui si propenda a cancellare le sicurezze di una Persona, a minare la sua autostima…, anzi non ritengo affatto sia una concezione “sana”. Né considerabile. Può chiamarsi davvero (D)ominio questo, una relazione ‘sì fatta? Relazione? Per quanto sia d’accordo che ognuno ha il suo modo di vivere il BDSM, mi sembra al quanto discutibile che questo possa ritenersi tale. Se si rimane all’interno di un “gioco” non ha senso parlare di cancellare… di minare… e se non è un “gioco” credo che si commenti da sé. Un vero Dom ha la responsabilità della schiava che gli si affida, non è un giocattolo. Fermo restando che ognuno poi deve naturalmente essere consapevole delle proprie scelte, slave compresa. Ma affidarsi implica uno scambio di potere tra le parti per cui, non è accettabile un tale annullamento della persona. Come stimare qualcuno che “usa” e danneggia? Dici, non ha senso far crescere l’autostima di qualcuno che vuole essere trattato come una pezza da piedi… ma quale potere si può trarre da chi viene considerato “pezza da piedi”? Di nuovo, è questo un modo di far piegare la testa se dall’altra parte non c’è orgoglio, non c’è coscienza, se non c’è riconoscimento di un’autorevolezza nell’altro, di una specialità come tu scrivi? C’è “scelta” vera in questo caso? Troppo facile. Ridicolo. Malsano crederlo. Come si può accettare un’idea simile, per quanto – ripeto – si voglia lasciare la massima libertà d’essere ad ognuno. Come? Detto questo, tuttavia, invece, ritengo naturale che ci siano degli ostacoli, delle difficoltà. Perché crearne ti chiedi, se lo scopo è il piacere… perché appagare il piacere del proprio Padrone non è sempre semplice, la determinazione e la forza devono essere proprie anche della schiava. Guidare a superare certi “limiti” , quelli di cui parli alla fine, ha un senso. Un senso di crescita e di perfezionamento, che dovrebbe appagare maggiormente il Padrone e realizzare la schiava stessa. Non so se ci comprendiamo?! Ed è per lo stesso motivo che punire dovrebbe avere un valore precipuo che prescinde e si distingue dal dolore “donato”. Il dolore come dono è piacere come giustamente scrivi, è sentito davvero come un atto d’amore condiviso che evidenzia il legame. Una punizione è ben altro, ma è tuttavia anch’essa dolore. Un dolore che come scrivi “può essere” psicologico (silenzio, rifiuto, abbandono…) oltreché fisico, e quale che sia non dovrebbe mai essere associato al piacere in quanto “dolore correttivo”. Ma dovrebbe necessariamente essere un dolore motivato perché acquisti il senso giusto. Un senso castigante. Stesso vale per un’umiliazione, un piacere? una pena da scontare? E perché punire? Per ottenere obbedienza? Sì. Devozione? Sì. E per guidare…? Anche… Direi quindi che ha senso parlare di percorso ad ostacoli e affinché la slave comprenda è necessario che ella sia cosciente. Ogni volta. Delle sue scelte. Se è “una pezza da piedi” cosa può capire? Scusami, ho commentato accorata perché credo davvero nel BDSM, e trovare certe considerazioni a volte mi allerta… ciao, angj http://dolorenascente.splinder.com/
 
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