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Un blog creato da Kaos_101 il 23/10/2006

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Messaggi di Agosto 2007

Rituali

Post n°163 pubblicato il 17 Agosto 2007 da Kaos_101
 

Amo i rituali, mi piace pensarli, crearli, adattarli a chi li dovrà poi “indossare”
Alla base di qualsiasi pratica magica c’è un rituale e io, che mago non sono, ho scoperto che, talvolta, proprio grazie ai rituali, mi è riuscito di creare qualche piccola magia.
Il rituale mette in relazione due entità: la divinità e il fedele, il mondo magico e quello reale, il demone e il suo adepto, ma anche, più semplicemente due individui che modulano la loro relazione sulla base di tali comportamenti.
I rituali sono come gli argini di un fiume che delimitano e incanalano il rapporto nella direzione voluta, sono come le briciole di pane di Pollicino, che rendono agevole ritrovare la strada anche quando ci si è persi.
Per molti l’istituzione di un rituale serve a stabilire una gerarchia tra chi lo impone e chi lo deve rispettare, per me, invece, è solo un modo per creare un legame, per gettare un ponte tra due persone, per legare maggiormente a me chi di quel rituale si servirà per non perdere di vista il suo obiettivo.
La cosa più affascinante è che, praticamente, qualsiasi gesto, qualsiasi azione può diventare un rituale.
Vale  allora la pena di ascoltare attentamente la nostra compagna per scoprire il percorso più adatto alla sua natura, dandole la certezza di non essere l’interprete di un copione preconfezionato, ma di abitare una cella le cui pareti sono state pensate e progettate per lei e per lei soltanto
Ci sono, è vero, una serie di elementi che non variano da relazione a relazione perché rappresentano una sorta di base, di “minimo sindacale” non negoziabile.
Sono atteggiamenti che servono a dettare l’habitus mentale che mi aspetto venga assunto da chi decide di percorrere con me un tratto più o meno lungo di strada.
In verità sono assai pochi, ma hanno tutti una loro specifica finalità.
E’ evidente che il l’obbligo di non accavallare le gambe e di tenerle discoste ogniqualvolta si abbia a che fare con me, serva a rendere tangibile quella totale disponibilità che mi aspetto di trovare nella mai schiava e, nel contempo, a contrastare la radicata abitudine, inculcata in anni ed anni di educazione, per la quale “non sta bene che una donna stia a gambe aperte”, che sarà pure verissimo, ma che nulla ha a che vedere con ciò che mi prefiggo di ottenere.
Così pure il divieto tassativo di utilizzare la locuzione OK serve a far capire che il rapporto che ci lega non è assimilabile a una banale amicizia e come mi sia dovuta una forma di rispetto rappresentata da un uso attento e meditato della parola.
L’obbligo, infine, di chiedermi l’autorizzazione prima di svolgere azioni come assentarsi, fumare bere o rispondere al telefono, è la dimostrazione di come la propria autonomia viene progressivamente limitata dalla scelta di appartenermi.
Al di fuori di queste disposizioni iniziali, comunque, si possono un’infinità di altri rituali che diventino la cifra specifica di ciascun rapporto.
Posso, ad esempio, decidere di dare un nuovo nome alla propria schiava, un nome con cui solo io la chiamerò e che, ovviamente, accentuerà la straordinarietà del rapporto che ci unisce. Un nome al quale ella risponderà senza esitazioni in quanto simbolo della propria appartenenza (un po’ come il nome segreto di certe tribù).
Si può pretendere di farsi dare del lei come elemento rafforzativo della propria specificità. E’ una modalità non priva di fascino, ma assai insidiosa perché, se non sentita intimamente, rischia assumere una valore puramente formale, svutando il gesto di qualsiasi valore evocativo ed ottenendo così l’effetto opposto a quello desiderato.
Proprio perché non esistono schemi fissi, sebbene sia alquanto restio ad usare tale sistema, non ho esitato ad imporlo quando ho compreso come l’uso del lei avrebbe aiutato la mia compagna ad “entrare nel ruolo”.
Non voglio dilungarmi su ciò che si può escogitare: ci sono rituali legati al modo di comportarsi in pubblico, all’atteggiamento da tenere in casa, all’abbigliamento da indossare  o non indossare, modi di rivolgersi a me e posizioni che voglio vengano assunte a un mio cenno.
Quello che conta è che tutto questo apparato di regole e di ordini non venga calato come una sorta di codice di procedura o di "policy aziendale" a cui attenersi, ma venga visto e vissuto piuttosto come un aiuto e uno strumento per rendere sempre più profondo ed esclusivo il rapporto che ci lega.
Non mi stancherò mai di ribadirlo: per me la mia schiava è una persona preziosa alla quale dedico attenzione, energie e tempo e che voglio sia felice di seguirmi nel percorso che ho pensato per lei.
 

Come diceva giustamente la volpe:
No,
disse il piccolo principe.
Cerco degli amici. Che cosa vuol dire “addomesticare?"
E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire “creare dei legami..."
Creare dei legami?
Certo,
disse la volpe.
Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.  

 
 
 

San Lorenzo

Post n°162 pubblicato il 11 Agosto 2007 da Kaos_101
 

Es la Sombra                                           E' l'Ombra

Ni es el sol                                              Non è il sole
El que reina                                            che regna
En la sombra                                          Sull'ombra

Es la sombra                                           E' l'ombra
La reina                                                   La regina
del sol                                                      del sole.

Juan Ramon Jimenez


10 Agosto, San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti
Non spira un alito di vento in questa notte calda e profumata.
La radio trasmette un programma di musica inframmezzata da commenti, consigli e varia umanità
Stanotte cadono le stelle
Annuncia l’annunciatore con voce annunciante
I ricercatori dell’osservatorio astronomico di Asiago comunicano che la fascia oraria più indicata per goderso lo spettacolo sarà quella tra le 22.00 e le 01.00 di questa notte, con picco massimo tra le 23.00 e le 24.00
Guardo l’ora: sono le 21,50: sono qui seminudo, annoiato, senza saper bene cosa fare e senza nessuna voglia di andare a dormire.
Il caldo è afoso. La notte, come direbbe uno di quelli che sanno scrivere, copre il mondo col suo pesante, nero manto vellutato che ovatta i rumori e accentua il mio  senso di soffocamento e la mia insofferenza.
Quasi quasi vado sui colli a vederle.
Non ho nessuna voglia di vestirmi, ma ne ho ancor meno di rimanere qui a lessare in questo brodo vischioso che mi avvolge, così mi decido ad uscire.
Faccio una rapida doccia, infilo in un paio di pantaloni di cotone e una polo.
Stasera ho voglia di musica classica: cassetta nella radio dell’auto e via.
In mezz’ora sono alla base dei colli, analizzo mentalmente alcune soluzioni ed opto per quella che sembra più confacente alla bisogna.
La stretta strada, che si inerpica tra curve e controcurve, mi conduce in pochi minuti ad uno spiazzo non asfaltato da cui, con cautela, raggiungo il poggio erboso che sarà il mio punto di osservazione.
La sera è splendida, alla mia sinistra si scorge chiaramente il lungo nastro illuminato della Padova Bolgna e le luci di Este. Alla mia destra i coni vulcanici del Venda e del Monte della Madonna, davanti a me la pianura interrotta dalle ultime propaggini dei Colli Euganei, l’aria è molto più fresca e spira una leggera brezza.
Spengo motore e luci e mi metto comodo ad osservare il cielo.
Purtroppo l’inquinamento luminoso è superiore al previsto, ma non mi do particolarmente pena, in fondo, anche se non dovessi vedere nulla, il posto, di per sé, è valso il viaggio.
L’illuminazione della radio mi disturba e, dato che non voglio rinunciare alla musica, raccatto un plaid dal bagagliaio e mi stendo sull’erba ad osservare il cielo.
Comincio ad intravedere qualche scia luminosa.
In verità, le tanto annunciate stelle cadenti sembrano latitare mentre me ne sto qui sdraiato con le mani intrecciate dietro la nuca, l’odore del fieno nelle narici e la Sinfonia Antartica nelle orecchie.
Curiosa opera la Sinfonia Antartica. Composta in origine come colonna sonora per un film celebrativo sulla tragica spedizione di Scott in Antartide, è brillantemente sopravvissuta all’opera cinematografica per la quale è stata realizzata, entrando,  a pieno tutolo, nella "musica colta".
E’ una composizione complessa, per voce recitante, coro, orchestra e macchina del vento, il cui sibilo si fonde mirabilmente con il fraseggio degli archi, il prorompere algido dei fiati, l’uso, quasi tonale, delle voci umane.
E’ un brano che amo, così pervaso com’è da un senso di inquietudine e di incombente tragedia.
Sarà la musica, sarà la scarsa frequenza con cui il cielo elargisce lo spettacolo per cui sono venuto fin qui, sarà stata la peperonata mangiata a cena o forse quell’ermo colle da cui un infinito ad un altro infinito vado comparando, sta di fatto che l’inquietudine del brano comincia a serpeggiare dentro di me.
Tutto credo sia cominciato da una considerazione banale: oramai di posti davvero bui, qui dalle mie parti, non se ne trovano quasi più.
La luce è padrona della notte anche in zone relativamente disabitate come quella nella quale mi trovo. Un faro che illumina un campanile poco lontano, le luci delle case, gli effetti laser di una discoteca nelle vicinanze lacerano la notte violandone l’intimità.
Per contro, le poche pozze di buio profondo sembrano resistere a quella offensiva luminosa, assumendo un’aria di inquietante mistero, come se in esse sia acquattata qualche entità sconosciuta e per nulla benevola.
E’ possibile che questo pensiero mi abbia suggestionato, sta di fatto che comincio ad avere la sensazione di non essere solo in quel prato fino a poco prima profumato ed accogliente. Mi sembra di avvertire una presenza malevola che mi spia non vista. L’aria seppur fresca della notte non giustifica il leggero brivido che mi serpeggia lungo la schiena e quell’enorme, infinito, spazio che mi sovrasta, da placido cielo scrutato fino ad un attimo prima, si è trasformato in un’entità indefinita, ma assolutamente reale che non pare gradire affatto la mia presenza.
Le 0,24. Tutto sommato posso anche rientrare. Il meglio dello spettacolo si è oramai esaurito e ho voglia di tacitare quella vaga inquietudine.
Raccolgo il plaid, lo caccio in macchina, mi giro un paio di volte, furtivamente per paura di intravedere qualcosa che a rigor di logica non può esserci, ma la cui presenza, in quel momento, non sono poi così certo di poter escludere, metto in moto e scendo velocemente verso la città  sorridendo tra me e me di quella insensata paura che mi ha assalito.
Eppure, nonostante logica e ragione, un tarlo continua a scavare nel mio cervello, sicuramente sovreccitato.
Sono ormai alla periferia di Padova, ho fatto una strada secondaria che mi porta a percorrere un argine per poi inoltrarmi in una zona in cui la campagna contende ancora il passo alla prorompete urbanizzazione abitativa. Villette illuminate e campi oscuri mi fanno tornare a ragionare su buio e luce e a immaginare come fosse il mondo prima della comparsa della luce elettrica.
A quei tempi, evidentemente, la notte regnava indisturbata sulla totalità della terra tenuta appena appena a bada da poche fioche luci, per il resto il pozzo nero del buio presidiava il mondo. Penso ai terrori degli uomini di allora, alla paura del Maligno, che nella notte aveva la sua casa e nel buio il terreno propizio per tramare i suoi disegni.
Il mio pensiero si snoda a ritroso ripensa al terror panico, a quella paura dell’ignoto che è così ben impersonata dall’oscurità, un’oscurità che copre e protegge tutto ciò che non ci è dato sapere e che può arrecarci solo male e dolore.
Di colpo ho come una folgorazione. Lo so è un pensiero idiota, che però mi colpisce con forza, con la chiarezza di qualcosa non  confutabile, ma che semplicemente è: il Male esiste!
Non parlo il male generico, quello con cui ciascuno di noi si confrontar per tutta la propria esistenza, ma il Male come essenza personificata, come volontà attiva di nuocere; non l’estemporaneo accadere di eventi e dolorosi, ma il preciso disegno di una mente che nel buio odia la luce e chi se ne fa scudo.
Se ciò è vero, ne consegue che il Male, anticamente Padrone assoluto dell’immenso spazio approntato dalla notte, ora, per colpa dell’uomo, si trova senza regno, confinato com’è in territori esigui, nei pochi luoghi circoscritti dalla luce che tutto pervade.
E se ciò è vero il Male, che prima aveva il mondo nel quale diluirsi, è ora concentrato nel poco spazio che ancora controlla.
E se ciò è vero,  la forza che una tale concentrazione produce è inferiore solo al rancore con cui il Padrone della Notte odia le creature che hanno usurpato il suo regno.
L’idea mi spaventa. Mi guardo intorno preoccupato dalla radio escono le note del Mazzeppa di Liszt che non è esattamente rassicurante come colonna sonora alla mia inquietudine. Arrivo ad un bivio, giro a destra ed improvvisamente la vedo!
In fondo al rettilineo che attraversa una zona coltivata, c’è una grande casa colonica, posta perpendicolarmente alla strada quasi a volerne sbarrare il percorso.
La casa di per sé non ha nulla di particolare: è una costruzione piuttosto grande a due piani, l’intonaco, di un bianco sporco, è solcato da una ragnatela di crepe ed interrotto in più punti dall’affiorare dei mattoni sottostanti, là dove lo stesso è venuto meno.
Le finestre hanno le imposte verde scuro spalancate.
Quello che mi turba è il buio dietro quelle finestre: è un buio assoluto, una mancanza totale di luce che nemmeno la luna piena che illumina la scena riesce in qualche modo a mitigare.
E’ un buio denso, senza fondo, un buio che risucchia la luce, un buio che sembra avere una consistenza fisica, una consapevolezza di sé.
Mano a mano che mi avvicino alla casa la mia angoscia cresce, sento i peli delle braccia e delle gambe rizzarsi, percepisco il pizzicore dell’adrenalina che entra in circolo. Un brivido mi percorre la schiena.
Quelle finestre spalancate su quel buio sembrano occhi malevoli di una creatura crudele acquattata e pronta a colpire.
Avverto mille leggere punture in tutto il corpo, ma non posso fare altro che andare incontro a quella casa anche se vorrei girare l’auto e cambiare strada.
Mai in vita mia, né prima né dopo di allora, ho avvertito in maniera così netta e inequivocabile la presenza del Male. Il Male esiste, era lì quella notte, gli sono passato accanto, a meno di venti metri. Forse era distratto, forse non ha ritenuto valesse la pena di occuparsi di me, ma il Male che ho sentito emanare da quella casa era qualcosa di fisico di tangibile, quasi avesse un odore, una voce.
Quelle finestre, aperte su un buio che non aveva nulla di naturale, erano tante bocche spalancate in un urlo muto di disperazione senza fine, erano bocche senza denti, come quella di un vecchio bavoso,  pronte ad ingoiare qualsiasi cosa fosse loro passata a tiro e più  mi avvicinavo, più aumentava in me il terrore di essere fagocitato da quel buio e di non potermene più allontanare.
Non so quanto abbia impiegato a raggiungere il punto in cui la strada, sfiorata la casa, con una svolta a destra tornava ad allontanarsene, forse una trentina di secondi, forse meno, ma credo siano stati i trenta secondi più lunghi della mia vita.
Non meno lungo mi è sembrato il tempo nel quale, allontanandomi dalla casa, ho continuato a fissarla nello specchietto retrovisore per paura di esserne risucchiato.
Arrivato a casa, ancora scosso per l’accaduto, mi sono infilato sotto la doccia per tentare di lavare via quel senso di angoscia e cancellare quel freddo che ancora mi pervadeva.
Qualche giorno dopo, alla luce del sole, sono tornato in quel posto e, nonostante dalle finestre spalancate non trasparisse traccia di quel buio atroce, sono stato colto nuovamente dallo stesso brivido provato poche notti prima, brivido che avverto anche ora mentre, a distanza di anni, ripercorro, nel raccontarla, quell'insolita esperienza.

 
 
 

B.B.

Post n°161 pubblicato il 05 Agosto 2007 da Kaos_101
 

Avvertenza: i racconti contrassegnati dal tag "vita vissuta" sono reali, ma atemporali. 
PER PIACERE non fatemi le congratulazioni per storie finite da tempo...:) Grazie

Un’ora di ritardo, cazzo! Come ho fatto a capire che arrivava alle 11 invece che alle 10,00?
Cominciamo proprio bene!

E pensare che sono sempre puntuale!
Vabbè pazienza, ormai il danno è fatto.

Arrivo al parcheggio della fiera, per fortuna non è pieno, sistemo la macchina in una posizione comoda per raggiungere l’ingresso e mi affretto.

La vedo subito, seduta su una panchina, la pelliccia di visone aperta, ha rispettato la consegna: le gambe non sono accavallate, sta sfogliando svogliatamente una rivista.
Non punto direttamente su di lei, faccio un giro largo per prenderla alle spalle. Mentre mi avvicino, sembra percepire il mio sguardo, solleva gli occhi dal giornale e mi guarda: il sorriso è un po’ tirato, forse non sono esattamente come mi aspettava.
Si alza in piedi, le prendo le mani, e la bacio leggermente: è bella, decisamente bella, forse un poco più alta di quanto me l’aspettassi ma nel complesso è davvero al di sopra delle aspettative. Del resto, di lei avevo visto solo una foto presa da lontano in un locale, tutta incartata nella stagnola dorata.
Indossa un abito leggero marrone con una piccola fantasia, calze velate, scarpe col tacco, una borsetta di marca: una vera signora!
Beviamo un caffè e ci incamminiamo verso l’ingresso della mostra. Una volta entrati, si toglie con nonchalance la pelliccia e, con la naturalezza di chi è abituata a farsi servire, me la porge perché la consegni al guardaroba. Non posso fare a meno di sorridere. La situazione è surreale: sono qui in fila, con una pelliccia di visone in mano mentre una bella ed elegante signora della buona società mi aspetta per capire se vuole diventare la mia schiava.
La storia è stata da subito atipica: una conoscenza casuale per contiguità di blog, nessuna propensione per il BDSM, nessuna apparente convergenza. Eppure… eppure continuiamo a parlarci. Prima con dei brevi messaggi, poi in MSN poi finalmente al telefono. Non sono nemmeno sicuro che il suo modo di fare mi piaccia, così diverso dalla cautela un po’ sostenuta che spesso ho incontrato nel mio peregrinare per le chat.
A volte sembra una bambina capricciosa, altre una donna molto compresa della sua posizione, altre ancora traspare un bisogno di attenzione e di tenerezza che i suoi racconti già mi hanno fatto presagire. E’ strano, ma, nonostante il largo seguito che si è conquistata, sembra che nessuno riesca nemmeno lontanamente a percepire il vero senso di ciò che scrive.
Poco alla volta si apre, mi racconta di lei, mi parla delle sue delusioni, delle ferite che l’hanno portata a vivere storie impossibili, per coprire con un dolore passeggero altri dolori più sordi e profondi.
Parliamo delle nostre esperienze, comincia ad incuriosirsi, prima, ad interessarsi poi, del mio mondo e del modo in cui lo vivo io.
Mi viene un sospetto e glielo dico:
Non so se tra me e te nascerà mai qualcosa, ma non ho alcuna intenzione di essere uno dei tuoi tanti modi per farti male. Qualora tu diventassi ti avverto che ti farò male, ma non ti farò “del male” per cui se pensi di usarmi in questo modo desisti fin
d’ora.
Non so se capisce davvero cosa intendo, ma non smette di parlarmi e di cercarmi.
Il suo “eccomi” appena entra in MSN è oramai diventato una piacevole e irrinunciabile abitudine, il suo tono, sempre misurato, si impreziosisce di espressioni più intense: comincia a desiderare quell’appartenenza che per ora le ho fatto solo balenare come una conquista che richiede impegno e serietà.
Sembra felice di eseguire i piccoli ordini che le impartisco; sempre in bilico, nella mia percezione, tra il gioco di una bimba curiosa e la serietà di chi cerca di afferrare una consapevolezza che non è così evidente.
C’è una cosa che mi piace di lei, oltre all’”eccomi” col quale mi saluta, ed è l’evidente voglia di conoscermi che traspare dai suoi discorsi e dai suoi comportamenti.
Difatti è proprio lei che alla fine trova il modo di incontrarmi, sorprendendomi anche un poco, dato che non mi aspettavo una decisione così repentina.
Vorrei andare a Arte Fiera a Bologna, potremmo vederci lì.
Non ci sono problemi, per me arrivare a Bologna è questione di un’ora al massimo.
Allora va bene, se vengo di venerdì non c’è pericolo che lui mi voglia accompagnare e così possiamo passare la giornata assieme.
Consegno la pelliccia al guardaroba e torno da lei.
Mi aspetta nella hall, la prendo per mano e ci incamminiamo per gli stand della mostra.
Ogni tanto si sofferma a guardare un’opera e io mi diverto ad osservarla cercando di immaginare come si evolverà la situazione.
Bella è bella, di una bellezza non esplosiva ma sicuramente reale. Mentre la guardo mi vengono in mente le parole di una canzone di Guccini :
...Bella d'una sua bellezza acerba
bionda senza averne l'aria
quasi triste come i fiori e l'erba

di scarpata ferroviaria..."

 
 
 

B.B.

Post n°160 pubblicato il 05 Agosto 2007 da Kaos_101
 

Ogni tanto mi guarda e sorride, un sorriso leggero che non so bene interpretare, in bilico com’è tra richiesta di avvicinarmi e tentativo di sfuggire.
Spesso cerca la mia mano e io la sua, ma c’è qualcosa che non torna: il feeling che ci ha portato fin qui sembra essersi offuscato.
Mi chiede il permesso di fumare, glielo accordo e usciamo in una sorta di piccolo giardino zen interno dove si accende una sigaretta, tremando un poco per il freddo pungente, La guardo, mi sembra così fragile e indifesa…
Rientriamo e continuiamo la visita. Dopo un po’ ci sediamo a riposarci.
Sempre quel sorriso che non so decifrare.
Beh,
le dico
allora, come trovi l’Orko?
Eh,
fa lei
si sei tu, sei come ti avevo immaginato, ma…
ma?
ma sei ciccio! Non credevo fossi così robusto…
Ecco spiegata quella strana incertezza: non è altro che un timido modo per dirmi

Scusa sai,  ma no non ci siamo,  non sei il mio tipo.
Non è che la cosa mi riempia di gioia, l’avevo abbondantemente prevista: in fondo lei è una bella donna e io, evidentemente, tanto bello non sono...
Curiosamente, però, non si stacca da me, continua a starmi vicina, non smette di cercare la mia mano.
Pranziamo, ci raccontiamo un sacco di cose, sono più rilassato, una volta sfumata la possibilità di una relazione, posso preoccuparmi molto meno delle sue reazioni e godermi comunque la sua compagnia.
La cingo col braccio, la mano scivola sui fianchi e non trova alcuna traccia di elastico.
sei senza mutande eh troietta
Penso tra me e me
Lei non pare accorgersi della cosa, sempre molto presa dall’osservazione delle opere esposte.

Ormai si è fatto pomeriggio inoltrato, le fanno male i piedi mi chiede di fermarci un attimo. Troviamo una specie di cubo su cui sederci io dietro con le gambe aperte lei appoggiata contro di me. Più che appoggiarsi mi si spalma addosso con un movimento sinuoso e sensuale tanto che, per un attimo, ritrovo la stessa intimità e complicità delle nostre chiacchierate in chat.
Le metto le mani sul ventre e lei, lungi dal sembrare infastidita del mio gesto, me le copre con una sorta di catalogo che tiene in mano.
Per un attimo cullo l’idea di approfittare di quella protezione per infilarle una mano tra le cosce e vedere che succede, ma la sento stanca e un po’ insofferente, così preferisco evitare una sua possibile reazione negativa.
Usciamo dalla mostra e ci avviamo verso il parcheggio dove ho lasciato la macchina.
Ad un tratto, in modo del tutto inaspettato, si gira verso di me e mi bacia.
Non è un bacio da educanda,  la sua lingua si infila decisa nella mia bocca e ci resta per un tempo ragionevolmente lungo.
La guardo un po’ perplesso.
Scusa

Mi dice
Ma dovevo provare
Non posso credere che tutto quello che ci siamo detti, tutte le emozioni che mi hai fatto provare, rimangano solo una fantasia.
Saliamo in auto e la accompagno alla stazione, dove, fregandomene dei divieti,  riesco a parcheggiare praticamente davanti all’ingresso principale.
Manca ancora qualche minuto alla partenza. Questa volta sono io che le afferro i capelli, la tiro verso di me e la bacio. La bacio con violenza, come per farle capire che l’Orko oltre all’abituale tenerezza, ha altri modi esprimersi e che in quel bacio la stessa determinazione che userei se dovessi possedera.
Non si oppone, anzi ricambia anche se un po’ stupita.
È ora di accompagnarla al treno.
Prima di arrivare al binario mi sibila
Per piacere non fare gesti strani, potrebbe esserci qualcuno che mi conosce.
Ha ripreso il suo atteggiamento da vera signora, il collo della pelliccia stretto attorno al viso per proteggersi dal gelo.
Il tono è molto formale, ma l’argomento non è affatto neutro
Lasciami un po’ di tempo per capire
Mi dice
Sono confusa. Da una parte sono attratta da te e da ciò che rappresenti, dall’altra voglio dedicarmi con maggior impegno e continuità alla pittura e non so se riuscirò a conciliare le due cose.
Non ti preoccupare
Le rispondo
Sai che non sono un tipo che ha fretta e, soprattutto, non mi interessa iniziare un rapporto con te se non ne sei più che sicura.
Il treno arriva, lei sale …
Ci sentiamo stasera in MSN
Mi dice,
Le porte automatiche del treno si chiudono sul suo sorriso.
Esco dalla stazione, mi accerto che nessun vigile abbi provveduto a rovinarmi la giornata: no, tutto a posto!
Riparto sereno per Padova, chi vivrà vedrà…

 
 
 

Le auto della mia vita

Post n°159 pubblicato il 02 Agosto 2007 da Kaos_101
 

...riflettevo ieri che nella mia vita ho avuto un sacco di automobili...

così ho pensato di rivisitare il mio ipotetico parco macchine....

1974 - La prima fu una FIAT 127 che mi regalò mio padre per la maturità. Era la macchina di mia madre, era già vecchiotta, ma per me significava libertà   ed autonomia...era proprio come questa...

1982 - Si comincia a lavorare sul serio! Così la piccola 127 va in pensione  e si provvede all'acquisto della seconda auto usata, ma che usato: una splendida Lancia Beta berlina ugualeuguale a questa.

1983 - La Lancia si rivela un incauto acquisto sia per i costi di gesitone che per alcuni guasti che mi lasciano perplesso sulla sua reale affidabilità. Così mi decido a fare il grande passo e ad acquistare la mia prima auto nuova e pure diesel.
Non è che navigassi nell'oro in quel periodo, per cui la scelta cadde su una macchina che coniugasse economicità di acquisto e di esercizio. La scelta cadde su una macchina francese una  Peugeot 350...buona macchina un po' "spartana" come ebbe a dire una mia amica... questa insomma....
 

1985 - Anche la Peugeot mi crea qualche problemino e mi faccio intortare da un venditore della FIAT che mi convince a comprare una macchina a suo dire ASSOLUTAMENTE FANTASTICA la Regata, da me poi ribattezzata amaramente
                                     F R E G A T A

1989 - Esasperato dalle rotture e dai guasti di ogni genere, ma vincolato con un contratto capestro sono costretto a tenere il ferrovecchio per 4 lunghi anni.
Alla fine mi sento autorizzato a indennizzarmi per una simile tragedia e decido di fare un salto di categoria e così mi lancio nel settore delle berline medio alte.
La scelta è col cuore una splendida Lancia Thema color verde petrolio


     (segue...)      

 
 
 
 

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