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Un blog creato da Kaos_101 il 23/10/2006

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Messaggi di Novembre 2007

Sesso estremo

Post n°191 pubblicato il 26 Novembre 2007 da Kaos_101
 

Qual è la pratica più estrema a cui hai partecipato?

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PS: Oltre a spuntare la voce altro potete anche inserire la pratica non presente che avete vissut e che trovate estrema...

 
 
 

Dress code

Post n°190 pubblicato il 20 Novembre 2007 da Kaos_101
 

Si definisce come dress code un abbigliamento in qualche modo connotato che dovrebbe, almeno nelle intenzioni, consentire di identificare in modo inequivocabile chi lo indossa come facente parte di una specifica categoria, gruppo, associazione: estremizzando sono dress code l’abito talare, il camice del medico o l’abbigliamento della prostituta (absiti iniura verbis).
In ambito BDSM è assai frequente la richiesta di presentarsi a cene o ad eventi abbigliati “comme il faut” 
Esistono varie motivazioni che giustificano tale esigenza: la necessità di sentirsi parte di un gruppo, il bisogno di essere rassicurati della propria “normalità” confrontandosi con persone che condividono le nostre inclinazioni, il feticismo, la riconoscibilità.
A proposito di quest’ultimo aspetto, vale la pena di ricordare che nei paesi del nord Europa e  in quelli anglosassoni in genere, esiste una modalità di “gioco”, qui da noi assai poco praticata, che consiste nell'organizzare riunioni nelle quali l'uso dei sub da parte dei Dom è del tutto arbitrario, come dire: se entri vestito da sub chiunque ti acchiappi può usarti a suo piacimento. Risulta evidente che in una simile situazione il capire in modo immediato e inequivoco le inclinazioni del nostro interlocutore, assuma un’importanza sostanziale, ma qui, dove tale pratica è assai poco diffusa, questo accorgimento perde la sua ragion d'essere.
Personalmente mi sono sempre rifiutato di adeguarmi al dress code, tanto da rinunciare a qualsiasi incontro che lo richiedesse tassativamente, sia perché non ho alcuna intenzione di subordinare il mio gusto a condizionamenti esterni, sia perché trovo tristemente ghettizzante l’omologarsi ad uno stereotipo, tra l’altro quasi sempre interpretato in modo assai “greve”.
Sono fermamente convinto che l'abbigliamento sia un codice comunicativo molto sofisticato che trasmette a chi ci circonda serie di informazioni su noi stessi, con valenze e interpretazioni diverse a seconda di chi le decodifica, ma proprio per questo trovo sommamente ridicola un’omologazione che pretenderebbe di dettare in qualche modo le regole di come io intendo rapportarmi con l’altro. Per fortuna credo di avere una mia originalità che rivendico e che non sono disposto a veder limitata da nessuna convenzione della quale, peraltro, non riconosco alcuna validità
Il mio modo di vestire dipende dal mio umore e dal contesto in cui mi devo muovere, consentendomi di sentirmi sempre a mio agio: posso essere casual,tecnico, elegante a seconda della situazione in cui mi trovo, senza mai eccedere in affettazione proprio perché sarebbe contrario alla mia natura e siccome ciò che indossi parla di te, credo opportuno essere coerenti con ciò che si sente di essere.
Per quanto riguarda la mia schiava, amo che sia il più femminile possibile perchè trovo la femminilità e la seduzione doni che ogni donna dovrebbe offrire al proprio uomo, per cui considero del tutto improvvido l'uso di un abbigliamento eccessivo o inadeguato al fisico di chi lo indossa (minigonne inguinali su tronchetti della felicità tanto per intenderci)...
E' altresì ovvio che essendo l'abbigliamento un codice possa trovare divertente imporre abbigliamenti "imbarazzanti" come strumento di dominazione, ma, in tal caso, il lato della sottomissione e dell'obbedienza sono prevalenti sul fattore estetico, che, in genere, per me è fondamentale.

 
 
 

Living in Darfur

Post n°189 pubblicato il 13 Novembre 2007 da Kaos_101
 

Credo che testo ed immagini valgano un attimo di riflessione

Mattafix Living Darfur

See the nation through the people’s eyes,
See tears that flow like rivers from the skies.
Where it seems there are only borderlines
Where others turn and sigh,
You shall rise x2

There’s disaster in your past
Boundaries in your path
What do you desire when lifts you higher?
You don’t have to be extraordinary, just forgiving.
Those who never heard your cries,
You shall rise x2
And look toward the skies.
Where others fail, you prevail in time.
You shall rise.

(You may never know,
If you lay low, lay low) x4
You shall rise x3

Sooner or later we must try… Living
(You may never know,
If you lay low, lay low) x4

See the nation through the people’s eyes,
See tears that flow like rivers from the skies.
Where it seems there are only borderlines
Where others turn and sigh,
You shall rise x4

(You may never know,
If you lay low, lay low) 4x

Sooner or later we must try… Living

Traduzione

vedi la nazione attraverso gli occhi del popolo
Vedi le lacrime che scorrono come fiumi dai cieli
dove sembra che ci siano solo confini
dove gli altri si girano e sospirano
tu devi risorgere x2

c’è un disastro sul tuo sentiero
confini nel tuo cammino
Cosa desideri quando ti solleva più in alto?
Non devi essere straordinario, solo perdonando
quelli che non hanno mai sentito i tuoi pianti,
tu risorgerai x2
E guarda verso i cieli
Dove altri falliscono, tu prevali in tempo
tu devi risorgere

(non puoi mai sapere
se rimani abbattuto, rimani abbattuto )x4
tu devi risorgere x3

prima o poi devi tentare…di vivere
(non puoi mai sapere
se rimani basso) x4

vedi la nazione attraverso gli occhi del popolo
Vedi le lacrime che scorrono come fiumi dai cieli
dove sembra che ci siano solo confini
dove gli altri si girano e sospirano
tu devi risorgere x4

(non puoi mai sapere
se rimani abbattuto, rimani abbattuto) 4x

prima o poi noi dobbiamo tentare…di vivere

 
 
 

Kato Zakros

Post n°188 pubblicato il 10 Novembre 2007 da Kaos_101
 

Sono per me luoghi dell'anima quei posti che "riconosci" come tuoi non appena li vedi, quelli in cui ti sembra la tua anima abiti da sempre, quelli che ti trasmettono un inspiegabile senso di serenità e di pace con te stesso. Luoghi dove passi magari una sola volta nella tua vita ma che rimangono conficcati nel tuo cuore senza che tu possa o voglia cancellarli.

Ci  arrivo una sera in fuga da Vai, celebratissima spiaggia con palmeto sulla costa orientale di Creta. Nulla da eccepire sul palmento, di fatto splendido, ma la spiaggia, per me, che ero di umore "via dalla pazza folla", la percezione di essere finito in una località alla moda è così forte da farmi riprendere la macchina e allontanarmene velocemente.
Avevo letto qualcosa su una località ad una trentina di chilometri più a sud e così decido di raggiungerla per passare la notte.
Le strade di Creta, soprattutto in quella zona non sono particolarmente agevoli, così,  ci metto più di un’ora per percorrere quei trenta chilometri che mi separano da  Kato Zakros che si rivela del tutto simile ad altre centinaia di paesini che punteggiano l’isola, anzi, nemmeno particolarmente pittoresco, ma mentre mi guardo attorno per trovare una sistemazione per la notte, vedo un cartello che indica, a pochi chilometri un sito archeologico e una spiaggia.
Mi allontano dal paese seguendo la strada  che si snoda, contorcendosi,  tra gli ulivi via via sempre più radi fino a scomparire per lasciare posto all’onnipresente terreno brullo e rossastro.

Finalmente arriviamo alla costa, alta e a strapiombo sul mare e, dopo una svolta, di colpo, sotto di noi, appare la nostra meta. A distanza di tanti anni non posso dimenticare l’emozione di quel momento.  Il tramonto tingeva il mare, calmissimo e di un blu profondo, di rosso e di giallo, al centro della cala era alla fonda un due alberi con il pavese illuminato da decine di lampadine, una spiaggia bianchissima, orlata da tamerici, le luci di qualche abitazione e di una trattoria. Sembrava davvero un posto fuori dal mondo e, contrariamente alle previsioni, questa prima impressione non è andata delusa.
Ci fermiamo a mangiare nel ristorantino sul mare, il gestore ci indica la casa di un pescatore che “forse” ha una camera da affittarci per la notte.


Nicolas è un omone grande e grosso di circa settant’anni, praticamente calvo, senza il braccio destro, mi squadra con un’aria vagamente infastidita quando mi presento alla sua porta chiedendogli ospitalità per la notte.
Il mio greco è praticamente inesistente e dubitavo che il mio ospite sappia padroneggiare altre lingue al di là della sua, ma forse hanno ragione i greci che continuano a dirmi: “una faza una raza” perché in qualche modo ci riuscimmo a capire perfettamente, anzi quando scopre che siamo italiani, vuole sapere da dove veniamo e, saputo che siamo di Padova, sentenzia “grande università! Sì ho una camera per voi”
La casa di Nicolas è una costruzione piuttosto piccola che si affaccia su un immenso terrazzo a picco sul mare.
Sotto tale terrazza sono state ricavate alcune camere le cui fondamenta in palafitta affondano nell’acqua: in pratica si dorme col mare che sciaborda sotto il pavimento. Non si può dire che la stanza sia un esempio di pulizia, ma nulla pare in grado di turbare la perfezione di quel luogo.
La mattina dopo ci viene a svegliare la moglie di Nicolas che ci offre due fette di  torta ancora calda. Decidiamo di fermarci un paio di giorni e così, al ritorno dalla nostra giornata di esplorazione della costa, salgo da Nicolas per chiedere consigli sul prosieguo del viaggio. La serata è splendida, Nicolas dopo avermi fatto

accomodare sul terrazzo va a prendere una bottiglia di Ouzo e una caraffa di acqua fredda e si siede accanto a me a guardare il tramonto. Poi, non so nemmeno perché, comincia a raccontare in un misto di greco francese inglese italiano e non so più quante altre lingue, una storia fatta di pesca, di anfore micenee, di riflessi del sole sul mare,  di una ricerca lunga trent’anni. Il sole è del tutto calato quando mi riscuoto da quella magia, il silenzio è totale, rotto solo dallo sciabordio delle onde, mi alzo stringo la mano a Nicolas e mi avvio verso la mia stanza. Dietro di noi, seduta sull’uscio di casa la moglie di Nicolas stretta nel suo scialle nero, continua a incidere le olive appena raccolte e a gettarle nel secchio della salamoia…

 
 
 

Gnocchi di zucca

Post n°187 pubblicato il 05 Novembre 2007 da Kaos_101
 
Tag: Cucina

Ingredienti (per 4/6 persone)

Per l’impasto

1     Kg di zucca pulita
150 gr  farina
150 gr  pangrattato
100 gr  parmigiano
2      uova
una  presa di sale

Per condire

80 gr d burro
80 gr di ricotta secca affumicata
semi di papavero
Qualche foglia di salvia


Preparazione

Tagliare a pezzi la zucca disporla sulla piastra del forno e farla cuocere a 180° per una quarantina di minuti (deve essere morbida, ma non secca), lasciarla raffreddare, schiacciare la zucca con la forchetta o col minipimer fino ad ottenere una crema. Aggiungere il pan grattato, la farina, il parmigiano le uova e il sale ed impastare velocemente fino ad ottenere un composto omogeneo.
Sulla spianatoia infarinata formare dei rotolini di pasta di circa un dito di spessore da cui ricaverete dei cilindretti di 3-4 cm di lunghezza.
Cuocere gli gnocchi in abbondante acqua salata (sono pronti quando affiorano) e condirli con burro fuso e salvia, la ricotta grattugiata e una spolverata di semi di papavero

Variante:

ridurre del 50% il pan grattato e la farina. Si otterrà un composto molto più molle e non lavorabile con le mani. Per ovviare a tale incoveniete, utilizzare due cucchiai da dessert e fare delle piccole quenelle da gettare direttamente nell'acqua che bolle. Il risultato saranno degli gnocchi più morbidi e  un po' più "zuccosi"

buon appetito...

 
 
 
 

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