Creato da poverotroviero il 07/10/2006

Il gioco

delle schegge di vetro

 

 

Michel Houellebecq

Post n°165 pubblicato il 16 Settembre 2012 da poverotroviero
 
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L'Emozione e la Poesia

L'Emozione abolisce la catena causale; è la sola in grado di far percepire le cose in sé; la trasmissione di questa percezione è l'oggetto della Poesia.

 

 
 
 

William Shakespeare

Post n°164 pubblicato il 06 Maggio 2012 da poverotroviero
 
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Giulio Cesare

BRUTO: Con la sua morte? Sia, poiché si deve. E' per il bene Pubblico: ché io non ho, personalmente, alcun motivo per avversarlo. aspira alla corona: fino a che punto, questo, potrebbe imbastardirgli il carattere; è tutto lì. E' il sole pieno a trar la vipera dalla tana: questo potrebbe persuaderci a procedere cauti. La corona a lui? Già, come a dire prestargli l'arma per farci danno a suo talento. Dove potenza e carità vanno disgiunte, lì è abuso di grandezza. Vero è che onestamente non potrei affermare che Cesare abbia mai fatto prevalere le sue passioni sulla sua ragione. Ma è comune esperienza che l'umiltà è la scala dell'ambizione ai primi passi: e chi vi sale va su di faccia, ma una volta arrivato in cima all'ultimo gradino, alla scala volge le spalle, disperezzando, col naso tra le nuvole, i gradini più bassi che lo hanno portato fin  lassù. Così Cesare, ptrebbe. E allora, perchè egli non possa, prevenire. Chè se il discorso non s'intona con quello che è il Cesare d'oggi, allora mettiamola così: quello che oggi egli è, se crescerà, potrà arrivare a questo o a quell'altro eccesso: dunque consideriamomolo un uovo di serpente che, covato, potrebbe anche, com'è sua natura, crescer nocivo: e uccidiamolo in guscio.

 
 
 

Alessandro Piperno

Post n°163 pubblicato il 25 Marzo 2012 da poverotroviero
 
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 Inseparabili, il fuoco amico dei ricordi

Basta frequentare se stessi con assiduità per capire che, se gli altri ti somigliano, bé, allora degli altri non c'è da fidarsi.

 
 
 

Ombra

Post n°162 pubblicato il 25 Marzo 2012 da poverotroviero
 
Tag: si dice
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Sembra che attraverso idiosincrasie, avversioni e antipatie ingiustificate la nostra ombra cerchi di parlarci, ricordandoci di essere parte di noi.

Si dice che, infastiditi dalla sua voce, ma non potendo alienarla, non si riesca a far altro che proiettarla sul prossimo.

 

 
 
 

Martin Amis

Post n°161 pubblicato il 25 Gennaio 2012 da poverotroviero
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London fields

Keith si fermò al cancello di lei, giochicchiando con il suo enorme mazzo di chiavi... le chiavi di Keith, le chiavi del suo carceriere, chiavi per Debbee, Trish e Analiese, per l'appuntamento, per l'automobile, per il magazzino e la gattabuia. Ma le chiavi per Nicola? Suonò di nuovo il citofono; ritentò di nuovo con tutte le chiavi. Adesso Keith era sull'ordlo del panico, dell'imprecazione, del panico galoppante. La voleva vedere, sì la voleva vedere davvero, maledettamente, non per l'atto d'amore e di odio che, con sua grande sorpresa, per quello che voleva dire, non voleva compiere più con nessuno. No: la voleva perchè lei credeva in lui, perchè lei era l'altro mondo, e se lei diceva che Keith era vero, l'altro mondo l'avrebbe detto anch'esso. Ma, un momento. E se lei era finita sotto un autobus da qualche parte? I suoi stivaletti da freccette, i suoi passi, la sua camicia da freccette, il suo... ! Keith si colpì con un pugno il torace inorridito. Poi le ginocchia si sciolsero, sollevate. Non tutto è perduto. La custiodia delle freccette era sempre al posto giusto, nella tasca più vicina al cuore.

 

 
 
 

Alessandro Piperno

Post n°160 pubblicato il 23 Novembre 2011 da poverotroviero
 
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Persecuzione, il fuoco amico dei ricordi

 

(la chiamata del Daimon)

"No, no, la carta no! Brucia subito e non serve a niente." Leo aveva sentito una delle piccole mani di lei sfiorargli il fianco, come se nel risollevarsi avesse avuto la tentazione di appoggiarsi a lui. Mentre questa laboriosa operazione veniva consumata Leo si era sentito minacciato da un odore acuminato e acerbo di ragazzina imbronciata: la versione diluita e femminile del tanfo sprigionato dalle stanze degli adolescenti. E ancora una volta aveva avvertito nell'aria una spiacevolissima impressione di concupiscenza. Un impressione. Che, ora che il fuoco era tornato a vivere e Leo era tornato a sedersi, non svaniva. La domanda era: chi concupiva chi? Non certo lui. Ma d'altra parte non c'era niente in quella ragazzina che lasciasse trapelare né un'esplicita né un' implicita volontà di provocarlo. Ma se lei non lo stava provocando, allora perchè lui si era messo a pensare a ciò che fino a quel momento non gli aveva mai attraversato l'anticamera del cervello?
Era come se solo ora Leo stesse realizzando non soltanto che quella era una ragazza, ma per di più la ragazza del suo Samuel. E che se lei ora era lì, nel salottino dove da anni i Pontecorvo perprtuavano i loro immacolati dilli familiari, lo doveva a lui. Esattamente, a Leo. Era lui, il padre irresponsabile, ad aver permesso al figlio pubescente di portare in vacanza con sé la sua fidanzata. Come se fosse stato un adulto.

 
 
 

Fedor Michailovic Dostoevskij

Post n°159 pubblicato il 05 Ottobre 2011 da poverotroviero
 
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L'idiota

Gli venne in mente, tra l'altro, che la sua malattia dava luogo a un fenomeno che precedeva quasi immediatamente l'accesso epilettico (se quell'accesso non si verificava durante il sonno), quando, a un tratto, tra la tristezza, il buio e l'oppressione, il suo cervello sembrava accendersi di colpo, tendendo in un estremo impulso tutte le proprie energie vitali. in quell'attimo, che aveva la durata di un lampo, la sensazione della vita e il senso dell'autocoscenza sembravano decuplicare di forza. Il cuore e lo spirito si illuminavano di una luce straordinaria. Tutti i dubbi, tutte le ansie e le agitazioni sembravano acquietarsi di colpo, si risolvevano in una calma suprema, piena di armonica e serena letizia, di speranza, di ragionevolezza e di penetrazione suprema. Ma quei momenti, quegli sprazzi di forte luce non erano che il presentimento dell'attimo decisivo (mai più di un solo attimo) col quale cominciava l'attacco stesso. Quel momento era, in verità, insostenibile. meditandoci sopra in seguito, quando si sentiva ristabilito, il principe diceva spesso a sé medesimo che tutti quegli sprazzi  e barlumi di suprema penetrazione e di intima consapevolezza, e quindi di "vita superiore", non erano altro che i sintomi del suo morbo, uno squilibrio dello stato normale; se così era essi non erano dunque affatto una manifestazione di vita superiore e dovevano anzi essere annoverati fra le più infime manifestazioni dell'essere.  Tuttavia giunse a una coinclusione oltremodo paradossale: " Che importa se è una malattia? Che importa se questa tensione è anormale, quando il suo stesso risultato, l'attimo delle supreme percezioni, ricordato e analizzato in un momento di lucidità, con l'effetto che esso produce, risulta sommamente armonico e sublime, comunicandomi un senso mai prima provato né presunto di pienezza, di equilibrio, di pace e di fusione, in uno slancio di preghiera, con la più alta sintesi della vita?" Queste nebulose espressioni gli sembravano molto chiare, sebbene ancora assai deboli. Egli non dubitava affatto, non ammetteva nemmeno la possibilità del dubbio che le sensazioni descritte realizzassero effettivamente "la bellezza e la preghiera", con un' "alta sintesi della vita". Non poteva darsi, infatti, che le visioni di delirio che balenavano in quei momenti davanti a lui fossero identiche a quelle provocate dall'oppio, dall'hashish, oppure dal vino, che avviliscono la mente, deturpano l'anima, sono anorali e inesistenti? Una volta cessati i fenomeni morbosi, egli poteva ragionare con piena lucidità di mente a questo riguardo.
Quegli istanti, per definirli in breve, erano caratterizzati da una folgorazione della coscienza e da una suprema esaltazione dell'emotività soggettiva. Se in quell'attimo preciso, cioè nell'ultimo che precedeva immediatamente un attacco della sua malattia, egli aveva avuto il tempo di dire a se stesso chiaramente e consapevolmente: "Sì, per questo momento si può dare tutta la vita" certamente quel momento, per sé, valeva tutta la vita. Egli non attribuiva, però, altra importanza alla parte dialettica della sua conclusione: un senso di ottusità, un buio interno e l'idiotismo gli si ergevano davanti, come chiare conseguenze di quegli "attimi sublimi".

 
 
 

Eros Alesi

Post n°158 pubblicato il 30 Aprile 2011 da poverotroviero
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Mamma Morfina

Cara, dolce, buona, umana, sociale mamma morfina. Che tu solo tu dolcissima mamma morfina mi hai voluto bene come volevo. Mi hai amato tutto. Io sono frutto del tuo sangue. Che tu solo tu sei riuscita a farmi sentire sicuro. Che tu sei riuscita a darmi il quantitativo di felicità indispensabile per sopravvivere. Che tu mi hai dato una casa, un hotel, un ponte, un treno, un portone, io li ho accettati, che tu mi hai dato tutto l’universo amico.
Che tu mi hai dato un ruolo sociale, che richiede e che dà. Che io a 15 anni ho accettato di vivere come essere umano "uomo" solo perché c’eri tu, che ti sei offerta a ricrearmi una seconda volta. Che tu mi hai insegnato a muovere i primi passi. Che ho imparato a dire le prime parole. Che ho provato le prime sofferenze della nuova vita.
Che ho provato i primi piaceri della nuova vita. Che ho imparato a vivere come ho sempre sognato di vivere. Che ho imparato a vivere sotto le innumerevoli cure, attenzioni di mamma morfina. Che non potrò mai rinnegare il mio passato con mamma morfina. Che mi ha dato tanto. Che mi ha salvato da un suicidio o una pazzia che avevano quasi del tutto distrutto il mio salvagente.
Che oggi 22-XII-1970 posso strillare ancora a me, agli altri, a tutto ciò che è forza nobile, che niente e nessuno mi ha dato quanto la mia benefattrice, adottatrice, mamma morfina. Che tu sei infinito amore infinita bontà. Che io ti lascerò soltanto quando sarò maturo per l’amica morte o quando sarò tanto sicuro delle mie forze per riuscire a stare in piedi senza le potenti vitamine di mamma morfina.

***

O cara. O padrona morte. O serenissima morte. O invocata morte. O paurosa morte. O indecifrabile morte. O strana morte. O viva la morte. O morte che è morte. Morte che mette un punto a questa saetta vibrante.

 
 
 

stampi

Post n°157 pubblicato il 30 Aprile 2011 da poverotroviero
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Si dice che diversi nemici possano avere la stessa faccia.

Sembra che problemi e pericoli diversi possano essere percepiti e interpretati allo steso modo.

Si dice che del nuovo impianto hi-fi con entrata usb siano rimasti solo due altoparlanti.

 
 
 

Karen Horney

Post n°156 pubblicato il 13 Aprile 2011 da poverotroviero
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Solitudine e nevrosi

Tutti coloro che prendono seriamente se stessi e la vita, vogliono stare soli, ogni tanto. La nostra civiltà ci ha così coinvolti negli aspetti esteriori della vita, che poco ci rendiamo conto di questo bisogno, eppure la possibilità che offre, per una completa realizzazione individuale, sono state messe in rilievo dalle filosofie e dalle religioni di tutti i tempi. Il desiderio di una solitudine significativa non è in alcun modo nevrotico; al contrario, la maggior parte dei nevrotici rifugge dalle proprie profondità interiori, ed anzi, l'incapacità di una solitudine costruttiva è per se stessa un segno di nevrosi. Il desiderio di star soli è un sintomo di distacco nevrotico soltanto quando l'associarsi alla gente richiede uno sforzo insopportabile, per evitare il quale la solitudine diviene l'unico mezzo valido.

 
 
 

AREA PERSONALE

 

L'Altoparlante

Si dice che dell'impianto hi-fi, tardi anni '70, ereditato da suo cugino, ormai più di vent'anni fa, Andrea abbia conservato un solo  altoparlante: stromento idoneo alla diffusione d'intrattenenti alchimie sonore.

Sembra, però, che tale dispositivo, smarrita presto la propria attrattività, sia a lungo rimasto inoperoso, adagiato su una mensola, seducente polveri dalla stanza.

Si dice, inoltre, che due cavi elettrici pendenti dagli elettrodi dell'altoparlante, animati da una misteriosa tensione magnetica, abbiano trovato agio, di volta in volta, di collegarsi all'antenna della radio, alla presa del telefono - insolenti, capaci per sino di raggiungere il web.

Sembra che sì furbescamente intercettate voci maligne e ingiuriose, chiacchiere e commenti maliziosi, il diffusore acustico, frustrato dal lungo oblio, scuotendo l'annosa polvere dalla propria membrana, abbia cominciato a parlare; riferendogli chiacchiere e pettegolezzi, raccolti via telefono, radio e internet.

Si dice che Andrea, ascoltata la gracchiante voce del vecchio apparecchio, abbia deciso di restituire alla erratica lettura dei blogger la sintesi di tali mormorazioni.

Sembra che in Trastevere, in luogo abitato da voci poetiche, egli stesso le abbia bisbigliate, leggendole per non doverle ricordare.

 

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Suggestione Campaniana

Morta parte da me

la mia voce,

per approdare alla deriva

dei sensi scolpiti

nelle candide rocce;

ove il tuo viso m'apparve,

ombra d'un sorriso sterile,

solido velario

d'una scena tragica.

 

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Quando l'orizzonte di riferimento non è più in ordine a ciò che è "permesso", ma in ordine a ciò che è "possibile", la domanda che si pone alle soglie del vissuto depressivo non è più: "Ho il diritto di compiere quest'azione?", ma "Sono in grado di compiere quest'azione?"

Umberto Galimberti.

 
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