Mondo Parallelo

Chiudo gli occhi un istante e mi vedo lontano, come in cammino. Poi mi fermo un po’ stanco, perduto negli anni, forse troppi, ma nemmeno tanti, e a ben valutarli, forse neppure pesanti: mi vedo, sono seduto su una vecchia poltrona; lì, aspetto quell'ombra che mi respira accanto, mi tiene compagnia da sempre, non mi lascia mai solo, ma non mi fa paura e a volte la tratto in malo modo perché è sempre vicina e aspetta, sì aspetta… quanto tempo lì ferma ad aspettare! Anche lei, la vedo che è stanca! Ma ogni tanto si alza e va ad affacciarsi alla finestra per guardare se fuori il mondo è cambiato. Lei è il doppio me stesso, la proiezione di un giorno qualunque, passata nel cielo riflesso sopra le nubi e il mio sole, la voglia di assaporarne il contrasto e il colore, per poter ritornare con me insieme di nuovo a giocare. Lo fa senza alcun freno senza alcun timore, e senza pudore si spoglia dei suoi segreti e mi fa quasi arrossire, e, inutilmente le dico, che non mi interessa starla a sentire, ma non c’è verso, proprio non sono capace di farmi capire. Infine ritorna a sedersi vicina, e si nasconde perché non la possa vedere, piccina piccina, lì a frugare nel cuore, danzando tra raggi di luce rubati all’ arcobaleno anche quando non piove e il cielo è sereno.  Ma poi, mi chiedo, perché non se ne va fuori in strada a passeggiare o a prendere in giro i passanti? Chissà perché? Mi dà fastidio sentirne il fruscio, l’andirivieni e il suo bisbigliare quando voglio restare in silenzio a contemplare il suono del sole che si fa strada nel cielo. E poi è soffocante e appiccicoso il suo starmi accanto quasi avesse paura che fugga. A volte, quando la guardo che mi si avvicina e penetra in me per scavarmi dentro, col suo sguardo mi scruta nel cuore e mi dice che in fondo, con me si trova bene, perché non ho rimorsi, e nemmeno rimpianti, e allora cerca di procurarmene alcuni, ma non ci riesce e si inquieta; solo prova a scovare e a far affiorare, il ricordo di quell'unica certezza, quella di vivere nel mio castello di sogni che un tempo, in gioventù, era anche la mia speranza, e mi ci barricavo dietro; solo quell'unico ricordo, che era un sorriso, niente di più. E poi, la notte, quando la luna scomparirà dalla sua eclittica e le stelle resteranno accese ad aspettarla, per vederla riapparire, dolcemente chiuderò gli occhi, e il sonno mi prenderà tra le sue braccia di velluto per darmi riposo e, quando sarà il momento, quell'ombra mi avvolgerà, portandosi via il mio ultimo pensiero e tramutandolo in sogno. E sereno sognerò quell'unica e dolcissima carezza, che è il soffio del vento sul viso quando mi sveglierò e respirerò il nuovo mattino!

Giov@nni