Mondo Parallelo

Sono stanco d’essere io, sono stanco d’essere tutti, d’essere Francesco, Daniele, Matteo e tanti altri, sono stanco di essere amato per quello che sono. D’ora in poi vorrò essere odiato per quello che dentro non ho. Sono stanco di sopportare il peso del mondo, di non avere il cuore di sasso, sono stanco d’essere io se poi gli altri non sanno capire. Sono stanco d’esser frainteso, d’essere quello che invece sono; è più facile dire a se stessi: ”Ma chi se ne importa!”, e andare avanti coperto di gloria solo perché non sai dare amore; sono stanco di avere timore di essere un cuore che batte: sono quello che nessuno vorrebbe lasciare per il fatto che non so odiare. Sono stanco di dovermi scusare, di essere calamita nel sole, e non posso certo sperare di cambiare del cuore il colore. Sono stanco di dover pensare di nascondermi dietro ai sipari della semplice voglia di partecipare a quanto il mondo mi vuole parare davanti per farmi sognare. E cercar quegli istanti che, solo per poco, vorrei rimanere a guardare, solo, dipingere in cielo coi colori coperti da un velo che piano si possa alzare, ogni volta che il sole appare nel cielo. Sono stanco di confondere l’alba con i tramonto e di scoprir che l’aurora è qualcosa di nuovo. Sono stanco di dover soffrire per il fatto di non capire che io non posso essere un altro diverso da quello che sono, e di voler dare ed essere felice di poterlo fare; quel dare che certo non posso negare di avere dato davvero, anche se poi mi dovrei pentire perché di nuovo lo devo trovare nel cuore di chi l’ha accettato. E non voglio sentire nemmeno un pianto di commozione, perché poi mi commuovo e mi unisco a quel pianto. Sono stanco di sentirmi costretto dalle circostanze, non poter liberare il mio ricordo più bello per ricordare agli altri che io non sono quello che si deve sforzare per essere aperto ad ogni pensiero. E, certo mi costa, saper accettare anche l’invidia se occorre, e provar delusione per aver dato troppo a chi vorrebbe sempre di più. Sono stanco di dovermi guardare dentro e scoprire che ho troppo da dire, troppo da fare, sono stanco di essere stanco! Davvero deluso da quanti parlano e riempiono il mondo, illudendoti che sono cambiati, o son diventati migliori a tutti gli effetti, ma sono come l’aceto, aspri ed amari, e, appena loro volti le spalle, ti accorgi che vuote parole soltanto hanno saputo dare, ma di fatto, son come palloni d’aria riempiti che scoppiano al primo contatto con un piccolo spicchio di luna appuntito. Sono stanco di me, sono stanco di essere io, niente di più, ma è già abbastanza. E mentre il peso di queste parole già dette, mi opprime, la mia fantasia varca il confine dell’essere niente per poter capire che non si nasce per caso, che dal niente non viene che il nulla e, il nulla, trascina a sua volta nel nulla, solo se manca la voglia di respirare con gli occhi la luce del sole. E finché mi leggo nel cuore, non provo risentimento e mi pento di aver finto di non avere capito, quando invece davvero sapevo che non era vero, ma non avrei altrimenti potuto trovare una scusa per dire che così non m’andava di aver inteso, perché il mio intento era proprio l’opposto. Sono stanco davvero, per tutto il grigio che vedo, per quanti ogni giorno mi fanno capire che a volte soffrire, è una cosa banale solo per chi quella mestizia e quel patire, da dietro le spalle lo sa solo guardare. E io mi confondo, non saprei pensare ad altro che a un mero egoismo, quello che mette radici profonde ovunque io lo voglia stracciare. Ma non ci riesco, e mi fa male non poterlo schiacciare: è talmente grande il suo impero, che, se solo lo voglio scrutare per trovarne il confine, mai ne trovo la fine. E certamente, si legge nei visi di troppi la sua presenza, e le lacrime son come pioggia e scendono piano, poi si confondono con le gocce delle onde nel mare, e dalle stelle s’alza un sospiro profondo, nel quieto vagar dell’umana natura; piccola cosa in un mondo fatto di nulla, piccolo io, nella mia stanchezza profonda. Quella che un giorno mi è stata impressa, quando, nel mare oscuro della mia ragione, ho sentito che in fondo, non ero io ad essere stanco di me ma io del mondo fatto di fango, e per farlo tacere, quest’animo inquieto, ho pensato che senza tante pretese, mi basta un abbraccio, un grazie soltanto, sì, mi basta un sorriso, un bimbo che corre contento, una stella lì appesa nel firmamento, una voce, un bisbiglio come un soffio di vento; e poi strappare al silenzio il suo raggio di sole e trafigger con questo il nero degli angoli acuti, che nel cuore han trovato dimora, quando il tempo non voleva passare e le sfere s’eran fermate per riposare: una porta che sbatte, sui cardini vecchi ormai arrugginiti, un piccolo suono, come un battito d’ali, poi tutto tace, e si sente pulsare un piccolo cuore: un ticchettio di istanti uguali e ritmati, orologio del tempo che scandisce emozioni e sospiri, e lui batte, l’accompagna il silenzio col suo suono più dolce; così, solo un piccolo cuore, briciole intorno sparse qua e là, come petali rosa di un fiore che mi è nato dentro fuori dal tempo, fuori dal tutto di sempre, briciole di sentimento, e il vento le porta lontano, là, dove non una mano ma tante son strette alla mia, dove io sono solo quello che sono, quello di sempre e nient’altro!

Giov@nni