Creato da fuoriii il 03/02/2007

girovago

Ever tried? Ever failed? No matter. Try again. Fail again. Fail Better! (S. Beckett)

 

 

Intervista a Saramago

Post n°15 pubblicato il 02 Maggio 2008 da fuoriii
 

Sergio Buonadonna


Dalla sua casa di Lanzarote lo scrittore Premio Nobel dice:
«L’Inferno è qui» Colui che con i suoi romanzi ci ha fatto chiedere
perché pensiamo quello che pensiamo, chi sono gli altri, chi siamo noi
stessi.

Saramago ci attende nel grande studio della Biblioteca di ventiduemila
volumi che ha donato a Lanzarote e che è frequentatissima soprattutto
dai giovani e dai bambini delle scuole che ne sono appena usciti
lasciando sui tavoli di vetro una scia di cioccolato.

Il maestro sta lavorando al computer alla sua nuova creazione
letteraria. È reduce da una brutta polmonite, ha dovuto cancellare
inviti per il mondo, ma è concentratissimo e come sempre – anche se
smagrito – elegante e ironico.

Saramago continua a guardare il mondo dal rifugio di Tias: la grande
casa bianca, A Casa, dove vive con Pilar, la figlia Violante, i
cognati, gli amati cani e la Biblioteca distante pochi metri. Tutto
immerso nel bianco e nel verde di questo villaggio che domina dall’alto
Puerto Carmen e le sue spiagge vulcaniche, nel sole e nel silenzio
appena violato dal calima, il vento dell’isola che lo tiene lontano dal
matrigno Portogallo, da cui si autoesiliò quindici anni fa.

Come è cambiata Lanzarote da allora?

«L’isola mantiene il suo incanto e i tratti di un passato rurale e
bucolico, ma il turismo l’ha cambiata molto e con l’avvento dell’euro
si sono concentrati qui molti capitali investiti nella speculazione
edilizia. Le nuove urbanizzazioni hanno avuto uno sviluppo vertiginoso
e dove c’è edilizia c’è corruzione. E le licenze rilasciate sono
davvero troppe. L’isola è mutata straordinariamente soprattutto nel
sud, a Playa Blanca, dove è stato costruito un albergo di dieci piani
assolutamente illegale, e che spero presto venga demolito. Almeno con
le lotte degli ambientalisti, della Fundación Cesar Manrique e nostre
si è ottenuto di non costruire oltre i due piani, gli alberghi e le
abitazioni mantengono le caratteristiche di sempre, e niente cartelloni
pubblicitari nella strade che creano danno al paesaggio e all’ambiente».

Cosa sta scrivendo e qual è il tema del prossimo romanzo?

«È un racconto, si chiama “Il viaggio dell’elefante”, una metafora
naturalmente dove si narra di un elefante che va da una città all’altra
e nel suo viaggio molto lavorerà l’immaginazione ma per ora non posso
dire di più. Lo finirò tra maggio e giugno, uscirà in autunno».

È vero che i suoi romanzi nascono insieme al titolo?

«Bormalmente sì perchè quando mi si presenta yb’idea per un libro ho già in testa il titolo».

E se l’editore volesse cambiarlo?

«Non lo permetterei mai, i titoli li scelgo io».

Lei ha cominciato a scrivere in età avanzata.

«In realtà ho cominciato nel 1947 quando avevo 25 anni, ma fu un
romanzo che non aveva grandissimo interesse. Poi ne avevo scritto un
altro “Claraboya”, una storia molto curiosa che non ho quasi mai
raccontato. Un amico lo aveva dato ad un editore ma non ne seppi più
nulla. Pensavo si fosse perduto».

Invece?

«Invece quando ho vinto il Nobel quell’editore mi chiamò dicendo di
averlo ritrovato rimettendo in ordine gli archivi. Quando si dice il
caso! E mi propose di pubblicarlo. Naturalmente rifiutai dicendogli:
doveva pensarci quarant’anni fa. Me lo feci restituire e lo tengo in
casa. Finché sarò vivo non sarà mai pubblicato. Se dopo la mia morte
Pilar vorrà renderlo noto come testimonianza e per dare una visione
completa della mia opera, faccia pure».

La scrittura nasce sempre su un fondo autobiografico?

«No. La vita di ognuno non riveste così grande interesse, compito
dellac finzione letteraria è aggiungere vita alla vita. Quando Tolstoj
creò la figura di Nataša, ben altro succedeva nel mondo ma è quel
personaggio ad occupare la nostra immaginazione, ed un posto che alla
vita stava mancando, come è stato prima per Don Quijote, poi per Madame
Bovary, per Josef K. di Kafka, al punto che noi non possiamo immaginare
un mondo senza Don Quijote. Se Cervantes non lo avesse scritto».

Ma anche Saramago ha scritto cose che nessun altro mai.

«Può darsi. Nella storia che sto scrivendo, per esempio, introduco idee
e dubbi per aggiungere spero nuovi elementi di conoscenza, creando uno
spazio letterario in cui tutto confluisce, la filosofia, la scienza, i
luoghi della riflessione, i modi in cui stiamo cambiando e come tutto
ciò stia attraversando l’uomo d’oggi».

Come vede lo spettacolo del mondo?

«Stranissimo. Vedo Papa Ratzinger ripristinare l’Inferno che Papa
Wojtyla aveva dichiarato non esistere. Io direi a Ratzinger che non
esiste un Inferno peggiore del mondo, ché è il vero luogo di
sofferenza, di tortura, di fame, un posto orribile. E a nome di milioni
di persone africane, asiatiche e americane che soffrono l’indicibile,
dico che lo spettacolo del mondo è esageratamente deprimente e l’Uomo è
la figura dell’orrore. Nessuno parla più della fame nel mondo. Abbiamo
pastiglie per curare ogni male ma queste medicine non arrivano in
Africa. Io ho reputazione di pessimista scettico ma francamente il
mondo non mi da motivo di essere altro. Anzi credo che se l’Universo
fosse consapevole della nostra esistenza e ricevesse un giorno la
notizia che la Terra si è spenta, ne trarrebbe sollievo. Si sarebbe
liberato da un incubo».

In «Saggio sulla lucidità» lei rivolge uno sguardo critico sulla
apatia, il consumismo, la spersonalizzazione e denuncia la
antidemocraticità della democrazia. Nel frattempo la situazione è
peggiorata?

«Sta peggiorando, l’economia precipita, la gente ha perso il controllo
della finanza, anzi ne è estromessa. Non escluderei una crisi come
quella degli anni Trenta del ‘900, ci stiamo incagliando come allora
prigionieri del dominio del petrolio e del suo prezzo fuori controllo.
Mi preoccupa che nessuno indica una via d’uscita e non è detto che una
futura prosperità debba avvenire nel segno del capitalismo».

La democrazia è irrimediabilmente malata?

«Era già moribonda prima dell’arrivo del capitalismo, da Marx in poi si
può dire che il capitalismo sia anteriore alla formazione di un’idea
democratica coerente. L’Italia sta andando al voto e probabilmente
vincerà Berlusconi. Allora mi domando come potremmo parlare di
democrazia, in Italia o in qualunque altro paese del mondo, se si torna
a premiare chi ha già dato dimostrazione della sua concezione del
potere? Non so se Veltroni ha possibilità di vincere, ma il vero
problema è se vince la democrazia e finora abbiamo visto che non è
stato così. Dentro questa democrazia malata corruzione e mafia,
delinquenza e insicurezza prosperano».

Lei ha detto che nel mondo contemporaneo la coscienza etica è morta, vive soltanto la coscienza cinica?

«Sì, certamente, è la dimostrazione massima dell’egoismo personale di
chi si preoccupa di avere più potere, più influenza e passare con
disinvoltura sopra le ragioni morali e il rispetto dei diritti umani.
Questa è la coscienza cinica. Il nostro è un tempo in cui sembrano
sparite le menti capaci di pensare e produrre grandi idee. Crescono
generazioni colme di indifferenza e di egoismo, prosperano le sette
religiose, non siamo mai stati così distanti da Dio come adesso. La
società globale è come la rappresentazione di un campionato di calcio
dove non ci sono più uomini che stanno praticando uno sport ma uomini
nemici uno all’altro, capaci anche di uccidere. La squadra avversaria è
il nemico così come lo sono il cristianesimo e l’islamismo. La rivalità
in Spagna tra il Real Madrid e il Barça è quasi infantile, e lo stesso
immagino in Italia. Tutto è grottesco, violento, irrazionale».

Chi sono gli autori che più hanno contato per lei?

«Sicuramente Cervantes e Kafka, due scrittori di importanza enorme,
nella mia vita e nella mia opera. Considero Kafka il più grande autore
del Novecento senza ignorare l’eccezionale importanza che ha avuto
Proust. Ma se noi pensiamo alle conseguenze descritte nel mondo di
Kafka ecco che ci troviamo esattamente al giorno d’oggi. Questa è la
sua grandezza».

I libri che meglio hanno rappresentato Saramago?

«I due che considero molto chiari nella loro totalità - “Saggio sulla
lucidità” e “L’intermittenza della morte” - sono questa società, gli
altri credo abbiano contribuito a farla comprendere e a rifletterci su».

E la memoria?

«È la sentinella imprescindibile della storia, il mezzo con cui il
drammaturgo tiene insieme gli uomini. Per non dimenticare Auschwitz, il
Chiapas, Sarajevo, Nagasaki, i troppi equivoci, i troppi massacri».(09
aprile 2008)


http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/Saramago:-l-Italia-una-democrazia-malata/2014650


 
 
 

Grazie a nontentarmitroppo per avermi fatto scoprire questo pezzo di Tondelli.

Post n°14 pubblicato il 13 Marzo 2008 da fuoriii

Vedere il lato bello,accontentarsi del momento migliore,
fidarsi di quest'abbraccio e non chiedere altro perché la sua vita e' solo sua e per quanto tu voglia, per quanto ti faccia impazzire non gliela cambierai in tuo favore.
Fidarsi del suo abbraccio, della sua pelle contro la tua, questo ti deve essere sufficiente, lo vedrai andare via tante altre volte e poi una volta sarà l'ultima, ma tu dici stasera,adesso, non e' già l'ultima volta?
Vedere il lato bello,accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quando ti cerca in mezzo alla folla, fidarsi del suo addio, avere più fiducia nel tuo amore che non gli cambierà la vita, ma che non dannerà la tua perché se tu lo ami,e se soffri e se vai fuori di testa, questi sono problemi solo tuoi;
fidarsi dei suoi baci, della sua pelle quando sta con la tua pelle, l'amore e' niente di più ..sei tu che confondi l'amore con la vita.
Pier Vittorio Tondelli
Da Biglietti agli amici

 
 
 

Alain Robbe-Grillet, il romanziere che ha ucciso i personaggi

Post n°13 pubblicato il 19 Febbraio 2008 da fuoriii
 

E' morto a 85 anni il grande scrittore francese, capostipite del Nouveau roman. Ingegnere agronomo per formazione
aveva dato vita a una tecnica narrativa fredda e distaccata. Dal 1959 si rivolse al cinema con grandi prove d'autore
Renzo Paris
Alain Robbe-Grillet era nato nel 1922 a Brest, nel nord della Francia. Regista, scrittore, sceneggiatore, è morto all'età di ottantasei anni. Considerato una delle personalità di spicco della letteratura contemporanea, esordì nel 1953 con Le gomme . Caposcuola della nuova narrativa francese, quella della scuola dello sguardo o meglio del "nouveau roman", era un ingegnere agronomo.
La sua cultura scientifica meravigliò il lettore francese e soprattutto quell'accanimento nel cancellare l'individuo nel romanzo, l'intreccio, la psicologia e l'ideologia. Fino ad allora Sartre e Camus avevano dominato e tra i due egli fu più vicino al secondo nella riduzione dell'uomo a cosa. Uno stuolo di critici universitari strutturalisti ha versato fiumi d'inchiostro sui suoi primi romanzi, come La jalousie del 1957, Dan le labyrente del 1959. Poi il cinema lo conquistò e approntò la sceneggiatura del film di Resnais L'anno scorso a Marienbad , fu il regista di pellicole come Trans Europe-Express , L'immortelle , La bella prigioniera , ecc. Il romanzo Le voyeur ebbe un enorme successo, divulgando il voyerismo non solo in letteratura. La parola in italiano era intraducibile, se non si voleva ridurla al semplice "guardone" ed è rimasta nella nostra lingua. I romanzi citati rispettavano le regole del "nouveau roman", una scuola dove si ritrovarono personalità molto diverse come la Sarraute e la stessa Duras, oltre a Butor, che forse come romanziere era il maggiore del gruppo. I nuovi scrittori combattevano contro il romanzo ottocentesco, a loro dire composto da autori che si sentivano padroni dei loro personaggi delle loro storie. Dio dei suoi personaggi sembrava ai loro occhi essere Balzac, lo stesso Stendhal, mentre prendevano in considerazione Flaubert per il suo lato sperimentale.
Da ragazzo lessi subito Nel labirinto , uscito da noi da Einaudi dove nell'introduzione Alain Robbe-Grillet scriveva: «Questa è una storia inventata, non una testimonianza. Descrive una realtà che non è necessariamente quella che il lettore conosce per esperienza propria… Si tratta tuttavia di una realtà strettamente materiale, nel senso che non ha pretese allegoriche di sorta. Il lettore è dunque invitato a vedervi soltanto le cose, gesti, parole, avvenimenti, che gli vengono riferiti, senza cercarvi più significato o meno che nella propria vita, o nella propria morte». Lo scrittore era contro il romanzo "testimonianza", contro la possibile identificazione del lettore. Niente bovarysmo nella letteratura del "noveau roman", soltanto cose e le parole stesse usate dovevano provenire dall'esattezza scientifica piuttosto che del marciume della psicologia. Nel labirinto narra di un soldato che cammina sulla neve di una città irriconoscibile. Valevano per i nuovi autori le descrizioni esatte, anche quelle che annoiarono di più i lettori. Rimasi affascinato proprio dal tentativo di non sporcare le immagini con personalismi e proiezioni sulle cose finendo con umanizzarle. L'ideologia del secondo dopoguerra aveva prodotto il romanzo-testimonianza, da cui bisognava liberarsi.
Era proprio il romanzesco, la verità personale, che doveva essere per sempre bandita dalla narrazione. Era, come si vede, una sfida al lettore onnivoro, che consumava romanzi ottocenteschi anche in epoca di industrializzazione nuova. Alain Robbe- Grillet era accompagnato dalla critica strutturalista di Roland Barthes, del primo Barthes e sembrava che una nuova leva di scrittori avessero trovato il loro critico. Quella novità oggi farebbe sorridere il romanziere di consumo, quello che mira al best-seller e sono tutti, come annoierebbe il lettore che ha bisogno del romanzesco come una droga essenziale. Provate a parlare di un romanzo senza "personaggi" in cui il lettore si può identificare a un editore italiano. Ricevereste soltanto sorrisini ipocriti. La "scuola dello sguardo" per la verità morì stancamente alla fine degli anni Sessanta, quando di nuovo gli scrittori, i poeti, vollero basarsi sulla propria biografia per costruire storie, dove la testimonianza era essenziale. Fu il cinema tuttavia ad aprire a Robbe-Grillet strade nuove anche per la sua narrativa, che ebbe diverse fasi negli ultimi trent'anni del Novecento e sembrava proprio che volesse abiurare dai suoi antichi dettami. Nel 1984 il capofila del "noveau roman" scrive un romanzo intitolato Lo specchio che ritorna , che in Italia pubblicò Spirali, un libro insolito e diverso dagli altri, divenuto inaspettatamente un best-seller, racconta dell'uomo Alain che parla di sé romanziere, di sé bambino, affondando a piene mani nella sua biografia.
Il clan famigliare, i piaceri erotici del ragazzino, i frammenti che tornano ritessuti negli anni da uno stile preciso e intrecciato, lo guidano in una direzione che era quella della "autofiction", l'ultima moda del romanzo francese. Nella prefazione Robbe-Grillet metteva le mani avanti: «Il romanzo moderno detto "noveau roman" che cos'è? Di nuovo un racconto e cerca la propria coerenza. Di nuovo è l'impossibile riordino di frammenti, i cui bordi incerti non si adattano gli uni agli altri. E di nuovo è la disperata tentazione di un tessuto solido come il bronzo… Anziché procedere come cieco giudice, come legge divina, in una volontaria ignoranza di tutti i problemi che il vecchio romanzo maschera e nega, si offre invece a una deliberata esposizione in piena luce e a una precisa messinscena delle molteplici impossibilità in cui si dibatte… tale messinscena diverrà il tema del libro». Dalla messinscena al romanzesco autobiografico il passo non è breve, ma quella è la direzione. In Italia il libro non ebbe successo né di pubblico né di critica. Sembrava che avesse compiuto un tradimento, una svolta a trencentosessanta gradi. Ma a ben vedere già in Tipologia di una città fantasma che è del 1976 Alain utilizza temi e fantasmi della cultura popolare, dal poliziesco al porno, smontando certo gli stereotipi, ma lasciandosene affascinare, puntando all'immaginario del lettore. L'aveva già fatto con il suo primo film L'immortale che è del 1963. E' curioso come anche Pasolini passò dal romanzo al cinema negli stessi anni. In fondo Ragazzi di vita si può leggere come un "nouveau roman" che aveva bisogno dell'immagine filmica per esprimersi pienamente. Era il periodo in cui lo sfruttamento aveva dato lustro alla Linguistica , alle lezioni di De Saussure, che molti in Francia e in Italia usavano anche per una nuova critica cinematografica. Ora è chiaro che il poliziesco era già usato nei primi romanzi, ma solo come sfondo. Con il passare degli anni però la purezza della descrizione oggettiva, quella povertà che rendeva icastiche le azioni dei cosiddetti personaggi, si era corrotta.
La moda del ritorno del romanzo, iniziata nei primi anni Settanta con Handke e Duvert e il successo di Tournier, non erano passati invano. Alain Robbe-Grillet è stato un autore prolifico, ha pubblicato l'ultimo suo romanzo "autobiografico" proprio quest'anno e ci ha lasciati. Con lui se ne va più di una stagione letteraria, non solo quella del "noveau roman" che dominò per vent'anni nel mondo. In Italia che rispondesse a quei dettami ricordo soltanto, forse, il romanzo Partita di Antonio Porta e quelli di Lombardi. Fu la critica neoavanguardistica a impossessarsi di certi temi antiromanzo di quella scuola, per criticare la stagione neorealistica nostrana. Se ne va anche un modo sperimentale di considerare la letteratura, ancora vista come il sale della terra; un modo che considerava lo scrittore quasi come un tecnico, ma un tecnico-vate, in cui l'intelligenza doveva venire alla superficie di più del flusso narrativo. Alain Robbe-Grillet tuttavia non fu seppellito tanto dal ritorno al romanzo degli anni Settanta, quanto dalle prove dell'intertestualità che romanzieri più giovani attuavano con successo di critica. Il romanzo era diventato astratto e Robbe-Grillet si sentì sorpassato da quella estrema sperimentazione che si riuniva attorno alla rivista Tel Quel . Oggi che il poliziesco è il pane di ogni giovane romanziere, perché non riscoprire gli innumerevoli delitti, sadici o meno, che sono sullo sfondo della sua narrativa, magari vedendo anche il modo con cui sono stati raccontati, che non è mai piano e facile, come desidera il lettore odierno? Con Robbe-Grillet, il teorico del nuovo romanzo, scompare davvero una intelligenza narrativa di primo ordine, che pallidamente si può ritrovare in Kundera e forse in Houellebecq. Quando Simon, anch'egli della scuola dello sguardo, vinse il nobel, tutti pensarono a Alain, che l'avrebbe meritato di più, alle sue battaglie contro il romanzo tradizionale, per affinare il gusto del pubblico. Oggi che il contesto è caduto, lo scrittore francese può sembrare un grande archeologo del romanzo, sia pure spingendosi da ultimo a tentare di recuperarlo, stando sempre alle altezze della sua variegata intelligenza.


19/02/2008

 
 
 

Post N° 12

Post n°12 pubblicato il 18 Febbraio 2008 da fuoriii
 
Tag: King

Parti e cerca di continuare a sorridere. Trovati un po' di rock and roll alla radio e vai verso tutta la vita che c'è, con tutto il coraggio che riesci a trovare e tutta la fiducia che riesci ad alimentare.

Stephen King

 
 
 

La festa è finita

Post n°11 pubblicato il 03 Gennaio 2008 da fuoriii
 

BARBARA SPINELLI

L’internazionalizzazione dei mercati ci sta accanto come uno spettro cui non sappiamo ancora dare un nome perché il suo volto è ambiguo e le menti non sono esercitate a pensare in grande: la globalizzazione promette ai poveri l’uscita dalla miseria, e ai ricchi promette ottimi affari di alcuni industriali ma un impoverimento generale delle società. Le cose si fanno più chiare quando si guarda al nostro pianeta malato, alla possibile bancarotta dell’abitare umano sulla terra: 2 gradi di riscaldamento in più sono rovinosi, il livello del mare che si alza pure. Se continua lo scioglimento dei ghiacciai antartici e della Groenlandia scompaiono Londra, New York, Miami, Olanda, Bangladesh, Venezia. Qui veramente siamo di fronte a un tutto che rende vana ogni illusione di poter vivere da soli, difendendo il proprio particolare.

Qui i più svariati eventi nazionali e mondiali s’intrecciano come mai in passato, e obsoleta è ogni distinzione tra vicino e lontano.
La Conferenza che si è conclusa a Bali è un piccolo passo avanti, anche se parziale. Prevale la resistenza di dirigenti intrisi d’inerzia, contrari a obiettivi cifrati di riduzione del gas serra, ed è straordinario come gli Stati Uniti, icona del moderno, appaiano la più inerte, retrograda delle potenze. A Bali hanno però suscitato ira, e alle spalle di Bush c’è un’America che vuole agire sul clima (500 sindaci e la metà degli Stati): l’amministrazione può sprezzarla, non ignorarla.

L’Europa non ha strappato obiettivi cifrati ma è percepita come avanguardia e può sperare che la conferenza di Copenaghen nel 2009 riconosca i fallimenti di Kyoto e fissi più severi traguardi. Ha anche ottenuto che i Paesi poveri e in sviluppo partecipino allo sforzo, ma che i ricchi contribuiscano di più e aiutino, avendo ridotto il pianeta a quello che è.
Una cosa comunque è chiara: c’è un legame tra l’evento di Bali e quel che viviamo ogni giorno; non sono sconnessi i negoziati sul clima, la collera dei camionisti per l’aumento del gasolio, gli aumenti di pasta, latte, grano, carne. Siamo assuefatti all’energia a buon prezzo che emette anidride carbonica, e toccherà disintossicarsi. Abbiamo alle spalle un trentennio di cibo poco caro (1974-2005), e anch’esso appartiene al passato, come ha scritto l’Economist. «La festa è finita!», afferma l’accademico Richard Heinberg in un libro omonimo (ed. Fazi, 2004). Secondo alcuni il punto critico, di non ritorno, è imminente e forse già passato. È tempo di cessare le dispute e di agire. È tempo di cambiare parole cui eravamo avvezzi, dottrine che sembravano sicure, abitudini.
Una delle prime conseguenze è il ritorno della politica, dopo anni di perentoria certezza liberista. I governi sono diventati comitati d’affari di lobby industriali, sulla scia di quest’ideologica certezza: ma sono industrie che dovranno trasformarsi, e sono sindacati che non hanno minimamente pensato il clima mutato. Anche la festa liberista è finita, perché le virtù d’un mercato senza regole né interferenze si son rivelate illusorie. Lasciato a se stesso, esso ha generato catastrofi. «Siamo davanti al più grande fallimento del mercato che il mondo abbia mai visto», ha detto in una conferenza a Manchester del 29 novembre l’economista Nicholas Stern, che nel 2006 aveva presentato a Blair un rapporto sul clima. E si è spiegato così: «Coloro che danneggiano gli altri emettendo gas serra generalmente non pagano». Nessuna mano invisibile ha permesso che le condotte irresponsabili, sommandosi, producessero vantaggi. Per questo c’è di nuovo bisogno di Stato, di forza della politica. Solo la politica può frenare il precipizio, perché frenarlo vuol dire pagare prezzi ben salati, tassare la gente in nome del pianeta, spendere meno, consumare diversamente, tener conto del mondo e non solo di se stessi. D’un tratto, alla luce del naufragio terrestre, la politica liberista sembra vecchissima, pre-moderna. È prigioniera di lobby che hanno tuttora un potere soverchiante ma destinato all’anacronismo: lobby petrolifere e di vario tipo. È significativo che Obama, candidato democratico alla presidenza Usa, riscuota sempre più successo con un discorso tutto incentrato sull’autonomia del politico da lobby e sondaggi.
Smarriti davanti a quel che accade, ci mancano le parole e quelle che usiamo sono false e diseducative. Dovranno sparire parole come manovra, perché dire manovra anziché risanamento rimanda a loschi affari di corridoio, che screditano il governante. Sparirà la certezza di poter ridurre le tasse facilmente. Sparirà anche la retorica sulla libertà (del popolo, dell’individuo) contrapposta allo Stato: i margini di libertà si restringono, non è vero che possiamo produrre, consumare come vogliamo. Sparirà, si spera, lo sguardo solo nazionale sulla politica: la fine del cibo a buon mercato è mondiale. I produttori ci guadagneranno, e non bisogna dimenticare che tre quarti dei poveri sulla terra abitano zone rurali; che il nefasto divario cinese tra campagne e città sarà mitigato. I prezzi alti sono per i poveri una dannazione quando consumano, una manna se producono. Anche la fine del petrolio a buon mercato aiuta a cercare fonti alternative. In fondo lo Stato dovrà organizzare un impoverimento costruttivo, mirato. Solo lo Stato può accingersi a sì ciclopica impresa.
Il ritorno della politica è colmo di pericoli autoritari e pur essendo ineluttabile non avverrà senza traumi. Perché sarà difficilissimo per tutti: per gli stati, i sindacati, gli industriali e per ogni cittadino, soprattutto nei Paesi ricchi. È un processo che comporta importanti metamorfosi del modo di pensare la politica.
La prima metamorfosi riguarda il rapporto tra politica, mezzi di comunicazione e scienza: rapporto torbido, distorto. La politica sa che esiste ormai una verità scientifica sul destino terrestre, ma per inerzia continua a disputare come se il clima fosse una discriminante fra destra e sinistra: è una cecità condivisa dalla stampa. Nelle riviste scientifiche esiste oggi un consenso pressoché totale sul clima. Non nei giornali generici, dove contano più le lobby e i politici reticenti che gli scienziati. I politici temono di apparire impotenti, impopolari: per questo si concentrano su fatti contingenti (i camionisti, in Italia) pur di non spiegare come il rincaro degli alimentari sia ormai strutturale e duraturo. Perché non dire il vero? Il cibo costa ovunque di più, per precisi motivi. I raccolti in alcune regioni del mondo sono più vulnerabili al clima (Australia, Africa, Brasile, Kazakistan). C’è poi negli Stati Uniti la spregiudicata corsa all’etanolo, unita al solipsistico sogno d’indipendenza energetica. L’etanolo ha ingigantito i prezzi del mais con cui è prodotto, e spinge al rialzo tutti i cereali. La corsa è spregiudicata perché l’America è intervenuta con sovvenzioni pubbliche per coltivare più mais (7 miliardi di dollari l’anno), e questo ha decurtato le scorte cerealicole mondiali, scoraggiato il più pulito etanolo brasiliano (estratto da zucchero), esteso la deforestazione.
Nel rapporto con la scienza i politici si comportano come il cardinale Bellarmino con Galileo: non vogliono vedere il reale, invitano gli scienziati a parlare ex suppositione, «per ipotesi», purché sia salva la Sacra Scrittura. Per il politico sono sacri i sondaggi, ma il rifiuto di guardare nel cannocchiale di Galileo è lo stesso. Non stupisce la doppia dipendenza di Bush dalle lobby e dai fondamentalisti cristiani.
La seconda metamorfosi, legata alla prima, riguarda i costi di riparazione del pianeta. Anche qui, il politico dovrebbe sapere che essi infinitamente minori rispetto ai benefici futuri. Secondo Stern, urge tagliare l’1 per cento del prodotto lordo nel mondo, ogni anno, per decenni, se si vuol evitare che i costi dell’inazione si quintuplichino. Ma quell’1 per cento resta pur sempre gravoso: 600 miliardi di dollari. Significa più tasse, e posti di lavoro perduti. Le misure dovranno esser «radicali, urgenti e costosissime», scrive John Lanchester sul London Review of Books del 22 marzo scorso. Tutte le invettive contro tasse e stato converrà rimeditarle, davanti all’enormità dei prezzi da pagare per riparare il clima.
La terza metamorfosi riguarda ciascuno di noi: produttori o consumatori. Anche il nostro rapporto con la scienza è religioso: ci crediamo ma senza conoscere, dunque crediamo male. Immaginiamo di poter fare a meno della politica, dello Stato, convinti magari che i forti vinceranno. Non è così. I forti di oggi domani s’indeboliranno. Alcune nostre abitudini diverranno talmente costose, a causa del carbonio emesso, che un giorno saranno proibitive. Avremo case meno scaldate, pagheremo alte imposte, saremo un po’ più poveri. Prima o poi smetteremo la costruzione frenetica di aeroporti, visto che gli aerei emettono quantità gigantesche di anidride carbonica. Verrà il giorno in cui si rinuncerà ai Suv, queste auto assassine del clima. La situazione non cambia se dalla benzina si passa all’etanolo e si garantisce un’«energia più efficiente»: secondo la Banca Mondiale, il mais che serve per un Suv può nutrire una persona per un anno.
I prezzi alimentari sono la cosa che capiamo di meno, perché è colpito il nostro quotidiano, e per questo è essenziale che la pedagogia occupi il centro della politica e estrometta il voler compiacere sempre. Se i prezzi aumentano è perché il mondo, meno iniquo, ha cominciato a divenire più ricco. Un’ingente parte dell’umanità - Cina, India - mangia carne oltre a cereali. Lamentarsene è insensato oltre che scandaloso moralmente. C’è bisogno di molto più grano per alimentare gli animali che per fabbricare pane: ci vogliono tre chili di cereali per un chilo di carne di maiale, 8 per un chilo di carne di bue. Questo è tutto.
La tentazione è grande di parlare di apocalisse. Ma nell’apocalisse sono due le vie. Una è quella del tutto è permesso: festeggiamo, visto che non avremo discendenti. L’altra prepara il futuro, trattiene il disastro con l’azione. Nel secondo capitolo della Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi, si parla del katèchon che trattiene la venuta del Male con mezzi terreni, in attesa di interventi divini. Il katèchon per gli stoici è qualcosa di più semplice: è fare il proprio dovere, rispettando l’altro e la natura anche se la terra viaggia verso la conflagrazione.

 
 
 

Articolo di Luca Mercalli

Post n°10 pubblicato il 07 Novembre 2007 da fuoriii
 

POCHI giorni fa è uscito GEO4, il quarto rapporto dell´United Nations Environment Programme: crisi ambientale a tutto campo. Il petrolio intanto è a 92 dollari al barile. Basterebbero queste due notizie per far pensare a Chiamparino che la Torino del futuro potrebbe essere diversa da come la immagina lui. Dovrà fare i conti con scarsità energetica e alimentare, cambiamenti climatici e sociali, uno scenario diverso da quello "business as usual" a cui guarda ostinatamente con fede incrollabile sognando grattacieli. Io non pretendo di avere la ricetta vincente per il futuro, ma chiedo solo che chi fa strategia politica, ammesso che la voglia fare, tenga presente anche il piano B. Rifletta senza pregiudizi, analizzi i dati e poi prenda le decisioni più sagge per i torinesi di domani senza additare a nemici del progresso coloro che provano a elaborare visioni diverse. Estetica a parte, Torino ha bisogno di un grattacielo o di nuovi spazi? Gli spazi ci sono in aree dimesse? Si possono trovare soluzioni nell´architettura d´avanguardia come le case passive? Un grattacielo sarà sicuro in un mondo a scarsità energetica? Prima si fanno le valutazioni, poi si trova la soluzione più adatta allo scenario più probabile. Il fatto che il coro dei "no" stia aumentando, è sintomo di un disagio derivante dal raggiungimento di alcuni limiti invalicabili nella disponibilità delle risorse. Ovunque è un denso formicolare di persone, di auto, di edifici e di infrastrutture e – rispetto a trent´anni fa – sono caduti alcuni miti del progresso che facevano tollerare qualsiasi operazione infrastrutturale accettandone le ricadute negative pur di creare lavoro.
Oggi il benessere è diffuso – pressoché chiunque abita in una casa dotata di acqua e servizi igienici, elettricità e riscaldamento, quindi è salutare che ci si domandi se i sacrifici irreversibili che vengono continuamente richiesti al territorio abbiano ancora un senso o viceversa minaccino la qualità della vita. Se la politica non vuole sentirsi rispondere continuamente dei "no", credo semplicemente che debba cambiare le domande. Permane l´idea che il buon amministratore sia colui che "costruisce" qualcosa di nuovo, lasciando la propria piramide ai posteri. Manca del tutto l´idea virtuosa della manutenzione e della cura di ciò che già esiste, che versa spesso in condizioni di trascuratezza.
Le ultime generazioni hanno costruito e modificato l´ambiente più di quanto abbiano fatto tutte le precedenti in almeno 7000 anni: è evidente come questo tasso di sfruttamento non possa procedere oltre, proprio per mancanza delle risorse naturali. Perché mai si deve aggiungere sempre qualcosa? Risponderei dunque "sì" a un programma di ristrutturazione a tappeto dei centri storici e di riqualificazione estetica delle brutture, al recupero delle aree industriali dismesse, al prolungamento della metropolitana e al miglioramento delle ferrovie esistenti, al rilancio dell´agricoltura locale, alla fruibilità del patrimonio storico e archeologico, al sostegno di tutte le pratiche di risparmio, efficienza energetica e introduzione massiccia delle energie rinnovabili, alla raccolta differenziata dei rifiuti e a un incisivo programma di riduzione degli stessi, all´utilizzo razionale dell´acqua con raccolta di quella piovana, alla riconquista del senso di appartenenza e di rispetto del luogo in cui si vive. Ovviamente continuerò a rispondere "no" se mi verranno fatte sempre le ormai scontate proposte di "progresso" a suon di tondino e betoniera. Ah, dimenticavo, chi legge questo giornale sa che non faccio previsioni stagionali, e comunque l´estate 2007 a Torino è stata di 1,3 gradi oltre la media. Signor Sindaco, se ha tenuto il maglioncino, forse è perché aveva l´aria condizionata accesa.

 
 
 

Resa dei conti per il petrolio

Post n°9 pubblicato il 13 Luglio 2007 da fuoriii

Francesco Piccioni

La potenza della fisicità fa crollare come un castello di carte
l'ottimismo di chi ha fin qui prosperato sull'illusione
della "crescita infinita". L'ultimo rapporto
dell'International Energy Agency (Iea) - emanazione dell'Ocse -
mette un limite preciso, con minime variazioni, al momento fatidico
in cui la produzione di petrolio non ce la farà più a tener dietro
alla domanda: cinque anni a partire da oggi.

E' il famoso "peak oil" previsto dal geofisico Marion King Hubbert,
capace già nel 1956 di predire il momento in cui la capacità
estrattiva Usa avrebbe cominciato a decrescere (il 1970, come in
effetti avvenne). Centinaia di geofisici - irrisi dalle compagnie
petrolifere e dai media sotto controllo (come questo giornale prova
a raccontare almeno dal 2000) - stanno da anni elaborando i
dati per identificare il "picco globale" entro una forchetta che
oscilla tra il 2006 e il 2013. Insomma, ci siamo.
Le incertezze derivano dal fatto che sulle "riserve accertate" vige
un segreto quasi militare; con compagnie e paesi produttori alleati
nel "gonfiarle". Basti pensare che per oltre 10 anni tutti i paesi
Opec hanno dichiarato riserve stabili nonostante gli aumenti di
produzione e il rarefarsi delle scoperte di nuovi giacimenti. In
Kuwait, due giorni fa, alcuni deputati hanno minacciato di votare
contro la legge finanziaria se il governo non
rivelerà 'ammontare "vero" delle riserve del paese; dove il dato è
un segreto da quando, nel gennaio 2006, il Petroleum Intelligence
Weekly aveva citato documenti interni secondo cui l'emirato potrebbe
contare solo su 48 miliardi di barili di greggio. Meno della metà
dei 99 delle stime ufficiali.

La domanda globale di energia è invece costante. La Iea prevede che
aumenterà del 2,2% annuo, sempre che la crescita economica mondiale
continui al ritmo del 4.5%. In pratica si passerebbe da un consumo
di 86 milioni di barili al giorno a 95. Cina e India, del resto, non
possono più rallentare, visto che sono diventate la manifattura del
mondo. L'unica "speranza" è che la crescita rallenti un poco; ma
servirebbe solo a rimandare di qualche mese il big crunch. Un
elemento fin qui tranquillizzante era la spare capacity (capacità di
supplire ai "buchi" produttivi) dell'Arabia Saudita. Che però,
spiega la Iea, sta passando dal 5% ad appena l'1,6. Anche per questo
i prezzi del greggio sono da giorni in costante rialzo, al punto che
qualche analista "vede" per settembre un record da 83 dollari al
barile.

La seconda notizia è che non ci sono alternative. Il mercato del
metano rischia di fare la stessa fine e con gli stessi tempi.
La "bufala" dei biocombustibili non ha alcuna influenza sul prezzo
del petrolio; ma ne ha una devastante sui prezzi delle derrate
alimentari. L'idrogeno non esiste in forma libera, ma va prodotto
(con spesa energetica) a partire da altre fonti. L'eolico ha una
bassa diffusione potenziale e il solare è già alle prese con la
crisi del silicio per i pannelli. Resta il nucleare, su cui già
montano gli appetiti delle lobby (e la guerriglia in Niger,
primo fornitore di uranio).

La stampa italiana ancora prova a minimizzarne le conseguenze, con
esercizi di stile ("a piedi, al freddo, al buio", conclude un ameno
articolo di Repubblica) e scaramanzie. Ma il tempo di reagire è ora,
anche se è forse già tardi.
Un'occasione per far sentire la voce dei movimenti si presenterà nei
prossimi mesi. Il World Energy Council - organismo privato,
solo "accreditato" all'Onu - terrà a Roma, dall'11 al 15 novembre,
il suo "forum" globale su energia e clima.
Il tam tam del "controvertice" sta già risuonando: ma è il caso di
cominciare a capire che quello energetico-ambienta le non è più
un "tema" su cui far campagna elettorale, ma il problema che aspira
nella stessa voragine l'umanità e il capitalismo che ce l'ha spinta.

Il Manifesto, venerdì, 13 luglio 2007

 
 
 

La Nuova 500 fa schifo - di Wu Ming 5

Post n°8 pubblicato il 13 Luglio 2007 da fuoriii

L’idea del trasporto individuale su ruote spinto da combustibili fossili è - insieme all’idea che sia giusto impiegare percentuali rilevanti delle risorse agricole del pianeta per allevare animali da carne- uno dei vettori principali che condurrà la presente civiltà all’estinzione, e con questa forse anche la Specie, e con lei molte altre specie attualmente viventi. Entità meccaniche dal design zoomorfo che deiettano veleni; capi di bestiame studiati per produrre tagli da carne che deiettano metano e gas serra. Articolazione semovente del concetto di metropoli, articolazione vivente del processo di desertificazione: il Futuro come deserta Metropoli.

La Nuova Fiat 500 è stata dotata di un volto enigmatico, simile a quello di un’entità biomeccanica, vago androide assemblato in milioni di pezzi. E’ in grado di suscitare neutra simpatia, blanda affettività. I suoi quattro occhi sono tranquillizzanti, sembrano guardare lontano a dispetto del vecchio logo al centro del volto e dell’inanità stilistica complessiva. L’incapacità di produrre stile è il sintomo della non-esistenza della contemporaneità, se non come campo d’azione del Tempo Reale. Il carapace simile a quello di un piccolo animale terragno serve a rassicurare un paese in avanzato stato di decomposizione, a suscitare ricordi culturali, ad avvolgere le dinamiche devastanti del paese in una pellicola anti-temporale, quasi che la presenza sulle strade di simili oggetti potesse avere un effetto scaramantico, la Nuova 500 come un paio di corna capace di destreggiarsi nel traffico urbano, di trovare finalmente parcheggio, fosse pure in seconda o quinta fila. Come Saremo identico a Come Eravamo: e questo, in un paese come questo, è davvero agghiacciante.
Il maestro di cerimonie alla presentazione della vetturetta, Luca di Montezemolo, incarna una delle linee di tendenza della post-politica del liberalismo multiculturale globale; un’asse Montezemolo-Veltroni nella post-Italia marcescente le cui esalazioni salgono fino alla stratosfera nel cielo estivo della fine del decennio, oppure le due facce di una stessa medaglia, Giano a guardiano della porta da cui entra sofferenza ed esce sofferenza e profitto-godimento per alcuni. Intanto alla presentazione della macchinetta il Premier Prodi sorrideva aprendo il volto-salvadanaio in un sorriso compiaciuto, nessuna sfida estetica nella Nuova 500, solo l’aria di famiglia, solo noi italiani che certe cose le facciamo proprio bene.
La Nuova 500 incarna il sogno contemporaneo del Capitalismo senza Capitalismo; l’illusione che qualcosa di fondamentale, di decisivo possa sopravvivere al ciclo delle ristrutturazioni, l’idea vana quant’altre mai che il procedere acefalo del Denaro individui una direzione che salvaguardi in qualche modo valori, aspirazioni e speranze. Ora è bene ricordare che questo sogno è lo stesso del fascismo; che la pretesa del Capitalismo senza Capitalismo serve solo a rendere più luttuoso il campo d’azione del Denaro e più feroce il suo braccio armato; che l’ossessione securitaria e la Terrorcrazia odierna sono inscritte nella stessa logica impossibile.
La Nuova 500 fa schifo.

 
 
 

Je suis comme je suis - Jacques Prévert

Post n°7 pubblicato il 13 Febbraio 2007 da fuoriii

Je suis comme je suis
Je suis faite comme ça
Quand j'ai envie de rire
Oui je ris aux éclats
J'aime celui qui m'aime
Est-ce ma faute à moi
Si ce n'est pas le même
Que j'aime chaque fois
Je suis comme je suis
Je suis faite comme ça
Que voulez-vous de plus
Que voulez-vous de moi

Je suis faite pour plaire
Et n'y puis rien changer
Mes talons sont trop hauts
Ma taille trop cambrée
Mes seins beaucoup trop durs
Et mes yeux trop cernés
Et puis après
Qu'est-ce que ça peut vous faire
Je suis comme je suis
Je plais à qui je plais
Qu'st-ce que ça peut vous faire
Ce qui m'est arrivé
Oui j'ai aimé quelqu'un
Oui quelqu'un m'a aimée
Comme les enfants qui s'aiment
Simplement savent aimer
Aimer aimer...
Pourquoi me questionner
Je suis là pour vous plaire
Et n'y puis rien changer.

 
 
 

Che cosa c'è di sbagliato in McDonald's?

Post n°6 pubblicato il 13 Febbraio 2007 da fuoriii

McDonald's spende ogni anno oltre 1,8 miliardi di dollari in tutto il mondo in pubblicità e promozioni provando così a costruirsi l'immagine di una compagnia "verde" e "attenta" che è anche un posto divertente dove mangiare.
I bambini vengono attirati dentro (trascinandosi i genitori dietro di loro) con la promessa di giocattoli ed altri aggeggi. Ma dietro il sorriso sulla faccia di Ronald McDonald (il clown testimonial della McDonald's) si nasconde la verità - l'unico interesse di McDonald's è il denaro, trarre profitto da chiunque e dovunque si riesca a farlo, così come è per tutte le compagnie multinazionali.
Il Rapporto Annuale di McDonald's parla di "Dominazione Globale" - aspirano ad aprire negozi su negozi, sempre di più, in ogni angolo del mondo - ma la loro espansione su tutto il globo significa più uniformità, minore scelta e l'indebolimento delle comunità e delle culture locali.


Reclamizza cibo non salutare
McDonald's reclamizza il proprio cibo come "nutriente", ma la verità è che si tratta di cibo~truffa - ricco di grassi, zuccheri e sale, e povero di fibre e vitamine. Un'alimentazione di questo tipo è legata ad un alto rischio di malattie del cuore, cancro, diabete ed altre malattie. Il loro cibo contiene anche molti adittivi chimici, alcuni dei quali possono causare stati febbrili, ed iperattività nei bambini. Non dimenticare mai che la carne è la causa maggiore di tutti gli avvelenamenti da cibo. Nel 1991 McDonald's è stato responsabile di una serie di avvelenamenti da cibo in Gran Bretagna, nei quali la gente colpita soffrì di gravi insufficienze renali. Con i moderni metodi di allevamento intensivo, altre malattie - legate ai residui chimici o a pratiche non naturali - sono diventati un pericolo per tutti/e (come ad esempio la BSE - la malattia della "mucca pazza").

Sfrutta i lavoratori
I lavoratori dell'industria del fast food hanno paghe molto basse. McDonald's non paga straordinari anche quando i lavoratori ne fanno diverse ore. La pressione per realizzare sempre maggiori profitti fa si che siano assunti meno addetti di quelli necessari cosicchè quelli che ci sono devono lavorare sempe più velocemente e sempre più duramente. Come conseguenza, gli incidenti (particolarmente le ustioni) sono molto comuni. La maggior parte dei lavoratori/trici di McDonald's sono persone che hanno poche possibilità di trovare lavoro e sono costretti ad accettare questo tipo di sfruttamento, e oltretutto sono anche obbligati e obbligate a "sorridere"! Non è quindi una sorpresa che il ricambio del personale da McDonald's sia molto alto, questo fa si che si virtualmente impossibile sindacalizzarsi e lottare per migliori condizioni di lavoro, in più McDonald's si è sempre opposto ovunque alle organizzazioni dei lavoratori.

Deruba i poveri
Grandi aree di terra nei paesi poveri vengono deforestate per vendere il legno o per dare spazio agli allevamenti di bestiame o per coltivare i foraggi per nutrire gli animali che verranno mangiati nell'Occidente. Tutto questo viene fatto a danno delle risorse alimentari di questi paesi, tenuti in ostaggio tramite il debito dalla Banca Mondiale e dalle multinazionali. McDonald's pubblicizza e impone continuamente prodotti a base di carne (manzo, pollo etc.), spingendo la gente a mangiare carne troppo spesso, questo fa si che vengano distrutte enormi risorse per l'alimentazione mondiale. 7 milioni di tonellate di cereali producono solo 1 milione di tonnellate di carne e derivati. Con una alimentazione basata sui vegetali e con razionale utilizzo delle terre, ogni regione potrebbe essere autosufficiente per l'alimentazione.

Danneggia l'ambiente
Le foreste di tutto il mondo - sono vitali per tutte le specie di vita - vengono distrutte ad un ritmo spaventoso dalle società multinazionali. McDonald's alla fine è stato costretto ad ammettere di usare bovini allevati su terre dove erano state disboscate foreste pluviali, compromettendo la rigenerazione di queste. Considera anche che l'utilizzo di allevamenti da parte delle multinazionali spinge gli abitanti di quelle zone ad andarsene in altre aree e a tagliare ulteriori alberi. McDonald's è il più grande consumatore mondiale di carne bovina. Il metano emesso dagli allevamenti bovini per l'industria della carne è una delle maggiori cause del problema del "surriscaldamento della Terra". La moderna agricoltura intensiva si basa su un utilizzo pesante di prodotti chimici che stanno danneggiando l'ambiente.
Ogni anno McDonald's usa una inimmaginabile quantità di inutili confezioni di vari tipi, con un inutile spreco di carta, cartone e palstica che spesso hanno una durata di circa un minuto (dal bancone al tavolino), molte altre finiscono come sporcizia per strada.


Assassina gli animali
Il menù delle catene di rivenditori di hamburger si basa sulla tortura e l'uccisione di milioni di animali. La maggior parte provengono da alllevamenti intensivi, in cui le condizioni sono indescrivibili, il cannibalismo ed il trasformare animali erbivori in carnivori è la regola, gli animali non vanno mai all'aria aperta ed al sole e non hanno libertà di movimento, al contrario sono costretti in box che a malapena li contengono. Le loro morti sono barbare - "la macellazione senza agonie" è un mito. Noi abbiamo la possibilità di sceglier se mangiare o meno carne, ma i miliardi di animali uccisi ogni anno per l'industria del cibo e degli hamburger non hanno alcun tipo di scelta.

Censura e processo McLibel (McQuerela)
Le critiche a McDonald's sono arrivate da un gran numero di persone e di organizzazioni su diverse problematiche. A metà degli anni ottanta, London Greenpeace mise insieme molte di queste questioni e convocò una Giornata Mondiale di Azione contro McDonald's. Questa si tiene ogni 16 ottobre con picchettaggi e dimostrazioni che si tengono in tutto il mondo. McDonald's che spende una fortuna ogni anno in pubblicità, ha provato a zittire le critiche che arrivavano da tutto il mondo minacciando di intraprendere azioni legali contro chi protestava. Molti sono stati costretti a fare retromarcia perchè non avevano i soldi per sostenere una causa legale di questo tipo. Ma Helen Steel e Dave Morris, due militanti di London Greenpeace, hanno sostenuto una causa, il più lungo processo per calunnia mai svoltosi in alta corte in Gran Bretagna, dalla quale la McDonald's ne è uscita con un grande danno a livello di immagine. Non era disponibile la difesa d'ufficio così si sono difesi da soli. McDonald's messo alle corde in corte ha rifiutato di rivelare una grande quantità di documenti. Ai due ecologisti imputati è invece stato negato il diritto ad avere una giuria. A dispetto di tutte le carte accumulate contro di loro, Helen e Dave hanno rovesciato il tavolo esponendo la verità e portando al processo lo sporco business di McDonald's. Intanto continuano a crescere le proteste contro questo gigante del fast-food da 30 miliardi di dollari di fatturato ogni anno. E' importantissimo ribellarsi contro ogni intimidazione e difendere la libertà di parola.

Che cosa puoi fare
Insieme possiamo combattere contro le istituzioni e le persone ai posti di comando che dominano le nostre vite ed il nostro pianeta, e insieme possiamo creare una società senza sfruttati/e e senza sfruttamento. I lavoratori possono e debbono organizzarsi insieme per combattere per i loro diritti e la loro dignità.
La gente pone sempre più attenzione sull'alimentazione, nostra e dei bambini. Le popolazioni dei paesi poveri iniziano ad organizzarsi contro le banche e le multinazionali che dominano l'economia mondiale. Le proteste ambientaliste e le campagne per i diritti degli animali stanno nascendo e sviluppandosi dappertutto. Perchè non partecipare alla lotta per un mondo migliore. Parla con gli amici, le amiche, vicini e compagni di lavoro di questo problema.

Stampa, fotocopia, distribuisci, fa circolare questo volantino il più diffusamente possibile.

 
 
 

La società del situazionismo (I)

Post n°5 pubblicato il 13 Febbraio 2007 da fuoriii

“Il sistema di consumo mercantile, anche se una teoria situazionista costituita non fosse mai esistita come possibile fonte d’ispirazione, contiene implicitamente il suo situazionismo.”

—Daniel Denevert, Teoria della miseria, miseria della teoria

1 Il secondo attacco del proletariato contro la società di classe è entrato nella sua seconda fase.

2 La prima fase, che è cominciata in modo diffuso negli anni ’50 e che ha raggiunto il suo punto culminante con le lotte aperte della fine degli anni ’60, ha trovato la sua espressione teorica la più avanzata nell’Internazionale Situazionista. Il situazionismo è l’ideologizzazione diretta o implicita della teoria situazionista, nel movimento rivoluzionario e nella società nel suo insieme.

3 L’I.S. ha teorizzato tutto il movimento mondiale nel momento stesso in cui partecipava a questo stesso movimento, facendo “passare l’aggressività dei blousons noirs sul piano delle idee”, e dando un’implicazione pratica immediata alle sue posizioni teoriche. Presentava così un modello al movimento rivoluzionario, non soltanto nella forma delle sue conclusioni, ma anche mostrando con l’esempio il metodo della negazione permanente; ed è in questo stesso metodo che si trova la ragione per la quale le sue conclusioni furono quasi sempre giuste.

4 Generando in molti dei suoi partigiani le stesse esigenze che praticava essa stessa, e forzando i meno autonomi a diventare autonomi almeno riguardo ad essa, l’I.S. dimostrò che sapeva educare rivoluzionariamente. Nello spazio di alcuni anni, si è assistito ad una democratizzazione dell’attività teorica, che non era stata raggiunta — ammesso che sia stata ricercata — nel vecchio movimento in un secolo. Marx ed Engels non sono riusciti a suscitare dei rivali; nessuna delle correnti del marxismo ha mantenuto la prospettiva unitaria di Marx. L’osservazione di Lenin nel 1914 che “nessuno dei marxisti dopo mezzo secolo aveva compreso Marx” è in realtà una critica della teoria di Marx, non perché fosse troppo difficile, ma perché non aveva riconosciuto e calcolato la sua relazione con la totalità.

5 La natura stessa degli errori dei situazionisti — esposti e criticati da loro senza alcuna pietà — è una conferma dei loro metodi. I loro fallimenti, come i loro successi, servono a mettere a punto, chiarire e forzare delle decisioni. Nessun’altra corrente radicale nella storia aveva conosciuto un tale grado di dibattito teorico pubblico intenzionale. Nel vecchio movimento proletario, la polarizzazione teorica conseguente costituiva sempre l’eccezione, l’esplosione che seguiva era contraria alle intenzioni dei teorici stessi, e si arrivava a ciò soltanto come ultima risorsa, quando il mantenimento di un’unità fittizia non era ovviamente più possibile. Marx ed Engels hanno lasciato passare l’occasione di dissociarsi pubblicamente dal Programma di Gotha perché “questi asini di giornali borghesi hanno preso questo programma molto seriamente, vi hanno letto ciò che non contiene e lo hanno interpretato come comunista; ed i lavoratori sembrano fare lo stesso” (Engels a Bebel, 12 ottobre 1875). Così, difendendo con il silenzio un programma contro i suoi nemici, lo hanno difeso anche contro i suoi amici. Quando Engels diceva nella stessa lettera “se la stampa borghese avesse contato un solo individuo con spirito critico, avrebbe smontato questo programma frase per frase, avrebbe esaminato il contenuto reale di ogni frase, avrebbe dimostrato il suo non senso con la più grande chiarezza, avrebbe rivelato le sue contraddizioni ed i suoi spropositi economici (...) ed avrebbe reso l’intero nostro partito terribilmente ridicolo”, descriveva come una deficienza della stampa borghese ciò che effettivamente era una deficienza del movimento rivoluzionario del suo tempo.

6 L’espressione concentrata della sovversione storica attuale è diventata decentralizzata. Il mito monolitico dell’I.S. è saltato per sempre. Durante la prima fase, questo mito aveva una certa base oggettiva: al livello in cui operava, l’I.S. non aveva seri rivali. Ora, si assiste ad un confronto pubblico ed internazionale di teorie e di ideologie situazioniste autonome che nessuna tendenza riesce a monopolizzare. Qualsiasi ortodossia situazionista ha perso il suo punto di riferimento centrale. A partire da questa fase, ogni situazionista, o presunto tale, deve seguire la sua strada.

7 Le prime critiche del situazionismo sono rimaste fondamentalmente astoriche. Misuravano la povertà teorica dei pro-situs rispetto alla teoria della prima fase. Vedevano bene la miseria soggettiva e le contraddizioni interne di questo milieu, ma non la sua posizione in relazione alla somma dei vettori teorici e pratici di un momento dato; non hanno colto questa “prima applicazione non dialettica” come la debolezza qualitativa dell’insieme, come un necessario “momento del vero”. Anche Le tesi sull’I.S. ed il suo tempo — che sono per tanti riguardi l’espressione sommaria della prima fase nel suo punto di transizione con la seconda — hanno appena accennato all’aspetto propriamente storico del situazionismo.

8 Ad ogni tappa della lotta, la realizzazione parziale della critica genera un nuovo punto d’equilibrio proprio con la società dominante. La teoria sfuggendo ai suoi formulatori, tende, attraverso la sua autonoma inerzia ideologica, a formularsi in tutte le permutazioni e combinazioni possibili; ma soprattutto in quelle che riflettono gli sviluppi e le illusioni nuove del momento. Presi nella transizione dalla prima alla seconda fase, i pro-situazionisti del “riflusso del dopo-maggio” personificavano l’inerzia di una teoria confermata. Quest’inerzia ideologica — attraverso la quale i partigiani della teoria situazionista hanno affrontato in modo lacunoso i nuovi sviluppi nella loro pratica, in quella del proletariato ed in quella della società nel suo insieme — ha misurato la debolezza del movimento situazionista; mentre la rapidità, senza precedenti nella storia, con la quale si generava la sua negazione interna — sabotandosi da sé stesso per sostenere un’esplosione che gli era già sfuggita e preparare il terreno per una nuova fase — conferma la sua verità fondamentale.

9 I pro-situazionisti hanno visto le questioni della seconda fase nei termini della prima. Trattando le nuove lotte dei lavoratori, diffuse e relativamente coscienti, come atti nichilisti isolati di un’epoca anteriore alla quale sarebbe mancato soprattutto la proverbiale “coscienza di ciò che hanno già fatto”, i pro-situs hanno soltanto mostrato che mancava loro la coscienza di ciò che altri stavano già facendo, e la coscienza di tutto ciò che mancava effettivamente ancora. In ogni lotta, vedevano la stessa semplice conclusione totale ed identificavano il progresso della rivoluzione con l’appropriazione di questa conclusione da parte del proletariato. Così, concentrando astrattamente l’intelligenza della pratica umana al di sopra del processo complesso dello sviluppo della lotta di classe, gli attivisti pro-situs furono i candidati bolscevizzanti di un fantasioso colpo della coscienza di classe; hanno sperato con questa scorciatoia di far passare nella realtà il loro programma consiliarista, di cui hanno trascurato le implicazioni per la loro incomprensione o per la loro impazienza.

10 L’I.S. non si è applicata fino ad applicare la sua teoria nell’attività stessa della formulazione di questa teoria, benché la natura stessa di questa teoria abbia implicato la necessità della sua democratizzazione ed abbia così messo la questione all’ordine del giorno. Nel dopo-maggio, né l’I.S., né la nuova generazione di ribelli che aveva ispirato, non avevano realmente esaminato il processo della produzione teorica, né nei suoi metodi, né nelle sue ramificazioni soggettive, oltre ad alcuni procedimenti vaghi ed empirici. Il contraccolpo della realizzazione parziale della teoria situazionista li ha spinti, senza difese, dal delirio megalomane all’incoerenza, in una serie di reazioni a catena di rotture senza contenuto, nell’impotenza, e finalmente, fino alla rimozione in massa di tutta l’esperienza senza che si siano mai chiesti ciò che gli stava accadendo.

11 Anche se l’I.S. ha attirato molti partigiani poco preparati, il fatto stesso che tanta gente senza esperienza particolare della politica rivoluzionaria, né alcuna attitudine o gusto per essa, abbia pensato di trovare nell’attività situazionista un terreno dove potrebbe impegnarsi in maniera autonoma e conseguente, è una conferma della radicalità della teoria e dell’epoca. Se il milieu situazionista ha manifestato tante pretese ed illusioni, ciò era soltanto il normale effetto collaterale della prima vittoria di una critica che ha fatto esplodere tante pretese della società dominante, e tante illusioni su di essa.

12 Nella misura in cui le ideologie ostili della prima fase hanno deliberatamente mascherato tutto ciò che aveva rapporto con i situazionisti — compresi i concetti più esplicitamente associati a loro — la scoperta ulteriore della critica situazionista aveva quest’effetto inverso ed esagerato di conferire ai situazionisti un monopolio apparente della comprensione radicale della società moderna e della sua opposizione. Di qui il carattere brusco, fanatico, di una improvvisa conversione religiosa che ha rivestito l’adesione alla critica situationniste (che spesso ha dato luogo ulteriormente, con un atteggiamento esattamente simmetrico, ad un rifiuto di questa in toto). Al contrario, il giovane rivoluzionario che ora aderisce alle posizioni situazioniste tende ad essere meno incline a quest’eccesso fanatico, proprio perché le diverse sfumature della lotta situazionista e del suo recupero sono diventate un aspetto familiare del suo mondo.

13 Nel contesto della seconda fase, la rivoluzione non è più un fenomeno apparentemente marginale, ma un fenomeno visibilmente centrale. I paesi sottosviluppati hanno perso il loro apparente monopolio della contestazione; ma le rivoluzioni non si sono fermate, sono semplicemente diventate moderne, e somigliano sempre più alle lotte nei paesi progrediti. La società che proclamava il suo benessere è ora ufficialmente in crisi. I gesti di rivolta un tempo isolati contro una miseria essa stessa apparentemente isolata, ora sanno di essere generali, proliferano, straripano e scoraggiano ogni sforzo per contarli. Il 1968 fu il momento in cui i movimenti rivoluzionari iniziarono a vedersi in compagnia internazionale, ed è questa nuova visibilità mondiale che ha fatto definitivamente volare in pezzi le ideologie che vedevano la rivoluzione ovunque, eccetto nel proletariato. Il 1968 fu anche l’ultimo momento in cui le rivolte importanti potevano sembrare rivolte di studenti.

14 Il proletariato ha iniziato ad agire da sé, ma finora solo appena per sé. Le rivolte continuano, come durante gli ultimi cent’anni, come reazioni soprattutto difensive: appropriazione delle fabbriche abbandonate dai loro proprietari, o appropriazione delle lotte abbandonate dai loro dirigenti (in particolare nei periodi di dopo-guerra). Se dei settori del proletariato hanno iniziato a parlare per sé stessi, devono ancora elaborare un programma internazionalista francamente rivoluzionario, ed esprimere effettivamente i loro scopi e le loro tendenze in modo internazionale. Se questi settori del proletariato fungono già da esempio ai proletari di altri paesi, è ancora attraverso la mediazione de facto dei gruppi radicali, e dell’informazione spettacolare.

15 Quest’ideologia della prima fase che insisteva sulla realizzazione concreta del cambiamento radicale senza cogliere il negativo o la totalità, ha trovato la sua realizzazione nella proliferazione di quelle che sono state chiamate le istituzioni parallele. L’istituzione parallela differisce dal riformismo classico essendo soprattutto un riformismo immediato ed autogestito, che non attende lo Stato. Recupera l’iniziativa e l’energia dei piccoli malcontenti, ed è un indicatore sensibile dei difetti del sistema e delle loro soluzioni possibili. La produzione parallela — il cui sviluppo in margine all’economia ricapitola lo sviluppo storico della produzione mercantile — svolge la funzione di correttivo free-enterprise all’economia burocratizzata. Ma la democratizzazione e la “autogestionarizzazione” delle strutture sociali, benché generarici di illusioni, sono anche un fattore favorevole allo sviluppo della critica rivoluzionaria. Lasciano dietro di sé le questioni superficiali della lotta, mentre preparano un terreno più sicuro e più facile a partire dal quale è possibile volgersi a quelle essenziali. Le contraddizioni nella produzione fondate sulla partecipazione democratica, e nella distribuzione parallela rendono facile il deturnamento dei loro beni e dei loro mezzi, al punto da permettere delle “Strasburgo delle fabbriche” quasi-legali.

16 La nozione hippie di trip esprime il fatto che quando le merci diventano più abbondanti, più adattabili e più disponibili, la merce particolare si svalorizza a favore dell’insieme. Non si trova nel trip una merce o un’idea particolari, ma un principio d’organizzazione che permette di selezionare fra tutte le merci e tutte le idee. Per contrasto con il blocco di tempo in cui “tutto è compreso”, che è ancora venduto come una merce distinta, il carattere di merce del trip che è indefinitamente ampio (arte, artigianato, passatempi, manie, sottoculture, stili di vita, progetti sociali, religioni), e che comporta un complesso più flessibile di merci e di stars, è nascosto dietro l’attività quasi autonoma che l’individuo ha l’impressione di dominare. Il trip esprime il momento in cui lo spettacolo è diventato così sovrasviluppato che diviene partecipativo. Trova l’attività soggettiva che manca allo spettacolo, ma si scontra con i limiti del mondo dominato dallo spettacolo; limiti che sono ancora assenti nello spettacolo finché resta separato dalla vita quotidiana.

17 L’indebolimento dell’impero esclusivo del lavoro, e l’estensione di conseguenza dello svago e della sua frammentazione, danno luogo alla nascita del dilettantismo sempre più esteso della società moderna. Lo spettacolo presenta l’agente segreto che sa a quale preciso grado di temperatura il saké deve essere servito, ed inizia le masse alle tecniche della vita esotica ed ai piaceri sofisticati prima riservati alle classi superiori. Ma il “nuovo uomo del Rinascimento” di cui lo spettacolo celebra l’elogio resta ancora lontano dal controllo della propria vita. Quando lo spettacolo diventa sovrasviluppato e vuole disfarsi della miseria e dell’unilateralità della sua origine, riconosce semplicemente di non essere che un parente povero del progetto rivoluzionario. Può moltiplicare i divertimenti e renderli più partecipativi, ma la loro base mercantile li respinge inevitabilmente nella matrice del consumo. Degli individui isolati possono, in una caricatura di Fourier, riunirsi sulla base di sfumature sempre più precise di gusti spettacolari comuni, ma questi legami li lasceranno nonostante tutto distinti gli uni dagli altri e dalla totalità sociale; e l’attività appassionata ricercata affonderà nella sua trivialità. Il nuovo cosmopolita resta storicamente provinciale.

18 All’insoddisfazione crescente, suscitata dalla sua tendenza verso l’uniformità del minimo comune denominatore, lo spettacolo risponde diversificandosi. Le lotte sono incanalate in lotte per un posto nello spettacolo; ciò conduce allo sviluppo semi-autonomo di diversi spettacoli destinati a gruppi sociali specifici. Ma il potere singolare di uno spettacolo gli viene soltanto dall’essere stato posto per un momento al centro della vita sociale. Così l’incremento delle scelte spettacolari riduce al tempo stesso il potere spettacolare, che dipende dall’importanza e dall’asservimento totalitario della pseudo-comunità che lo spettacolo riunisce. Lo spettacolo deve contraddittoriamente essere tutto per tutti gli uomini individualmente, e riaffermarsi continuamente come loro unico ed esclusivo principio d’unificazione.

19 Lo spettacolo risuscita ciò che è morto, importa ciò che è straniero, reinterpreta ciò che esiste. Il tempo necessario perché una cosa acquisisca il giusto grado di banalità barocca per essere “retro” diminuisce continuamente; l’originale è lanciato sul mercato simultaneamente alla sua caricatura, dalla quale spesso si può appena distinguere; le discussioni sulle opere artistiche si circoscrivono sempre di più intorno ad un’unica questione intesa ad accertare se una certa è una parodia o no. Ciò esprime il disprezzo crescente per lo spettacolo culturale avvertito dai suoi produttori e dai suoi consumatori. La società produce uno smaltimento sempre più rapido di stili e ideologie, pervenendo a un delirio che non sfugge a nessuno. Nella misura in cui tutte le permutazioni e combinazioni possibili sono utilizzate, le miserie e le contraddizioni individuali si fanno conoscere, e la forma comune che soggiace ai diversi contenuti inizia a distinguersi; “cambiare illusione ad un ritmo accelerato dissolve poco a poco l’illusione del cambiamento”. Con l’unificazione mondiale esercitata dallo spettacolo, diventa sempre più difficile idealizzare un sistema perché è in una regione diversa del mondo; ed la circolazione mondiale delle merci e quindi delle persone rende sempre più vicino lo storico incontro dei proletariati dell’Est e dell’Ovest. Il riciclaggio permanente della cultura essicca e dissolve tutte le vecchie tradizioni per lasciare spazio soltanto alla spettacolare “tradizione del nuovo”. Ma il nuovo perde la sua novità, e l’impazienza della novità generata dallo spettacolo può trasformarsi in impazienza di realizzare e distruggere lo spettacolo, la sola idea che resta in permanenza realmente “nuova e diversa”.

 
 
 

La società del situazionismo (II)

Post n°4 pubblicato il 13 Febbraio 2007 da fuoriii

20 Poiché la teoria situazionista è una critica di tutti gli aspetti della vita alienata, le sfumature diverse dei situazionismi devono riflettere, in una forma concentrata, le illusioni generali della società; le difese ideologiche generate dai situazionisti prefigurano le difese ideologiche del sistema.

21 La teoria situazionista ha chiuso il cerchio quando la sua critica della vita quotidiana arriva a fornire il vocabolario sofisticato per una giustificazione dello statu quo. Ad alcuni individui sono state rimproverate la mancanza di “attitudine al godimento”, di “senso del gioco” o anche di “soggettività radicale”, perché hanno espresso la loro insoddisfazione verso gli pseudo-piaceri autocompiacenti nell’ambiente situazionista; inoltre sono stati accusati di “volontarismo” o di “militantismo” per avere proposto concretamente dei progetti radicali o attività più sperimentali del solito.

22 Il vaneigemismo è una forma estrema dell’anti-puritanesimo moderno che deve fingere di prendere piacere da ciò che è supposto darne. Come il cittadino che afferma la sua preferenza per “la vita in campagna” benché, per una ragione o per un’altra, non ci vada mai, e che, quando ci vada, si annoi presto e ritorni in città, il vaneigemista deve fingere il piacere perché la sua attività è per definizione “appassionnante”, anche quando quest’attività è in realtà noiosa o inesistente. Facendo sapere a tutti che “rifiuta il sacrificio” e che egli “chiede tutto”, non differisce dall’uomo delle pubblicità che “esige il meglio”, se non per il grado delle sue pretese e per il suo riconoscimento ideologico — spesso appena più che simbolico — degli ostacoli che incontra sulla via della sua realizzazione totale. Dimenticando l’insoddisfazione e la noia quando sono denunciate in modo noioso, nel momento in cui anche le ideologie più retrograde diventano sinceramente pessimiste ed autocritiche nella loro decomposizione, il vaneigemista presenta un’immagine effettiva di soddisfazione del presente.

23 L’egoismo ideologico vaneigemista considera come essenza radicale dell’umanità la condizione più alienata dell’umanità, che si rimproverava alla borghesia che “non lasciava esistere un altro legame tra l’uomo e l’uomo al di fuori del freddo interesse”; differendo solo casualmente dalla versione borghese che prevede mezzi diversi di realizzazione per questo agglomerato di ego isolati. Questa posizione è smentita dall’esperienza storica reale delle rivoluzioni, e spesso anche dalle azioni di quelli che la invocano.

24 Lo spirito critico dei situazionisti, come pure la loro “arroganza” calcolata ed il loro utilizzo spesso adeguato degli insulti — una volta usciti dal contesto della lotta attiva per cambiare la vita — trovano un posto naturale in un mondo in cui tutti sono presentati con uno spettacolo d’inferiorità, e dove ciascuno è incoraggiato a pensare che sia “diverso”; dove ogni turista cerca di evitare “i turisti” e dove ogni consumatore si vanta di non di credere alle pubblicità (illusione di superiorità spesso intenzionalmente programmata nei messaggi pubblicitari, per facilitare la penetrazione simultanea e subconscia del messaggio principale). L’individuo pseudo critico afferma, attraverso le sue critiche disdegnose e senza conseguenze, la sua superiorità statica sugli altri individui che hanno illusioni più semplici o almeno differenti. Lo humour situazionista — prodotto dalla contraddizione tra le possibilità latenti dell’epoca e la sua assurda realtà — una volta che cessa di essere pratico, si avvicina semplicemente allo humour popolare medio di una società in cui il buon spettatore è largamente soppiantato dallo spettatore cinico.

25 Come reinvestitori delle ricchezze culturali del passato, i situazionisti, una volta che si è perso l’uso di queste ricchezze, si ricongiungono alla società spettacolare come semplici promotori di cultura. Il processo della rivoluzione moderna — la comunicazione che contiene la sua critica, il dominio permanente del presente sul passato — si innesta al processo di una società che dipende dallo smaltimento permanente delle merci, dove ogni nuova menzogna critica le menzogne precedenti. Il fatto che un’opera abbia qualcosa a vedere con la critica dello spettacolo — perché contiene un elemento di “radicalità autentica” o rappresenta un momento della decomposizione dello spettacolo che è stato teoricamente esposto — è appena svantaggioso per essa dal punto di vista dello spettacolo. Sebbene i situazionisti abbiano ragione a segnalare gli elementi deturnabili dei loro predecessori, simultaneamente guadagnano per loro un posto nello spettacolo che, poiché il qualitativo gli manca così crudelmente, fa buona accoglienza all’affermazione che si può trovare qualcosa sul mercato fra le merci culturali. Il frammento deturnato è riscoperto come frammento; quando l’uso sparisce, il consumo rimane; i deturnatori sono deturnati.

26 Un concetto così vitale quanto quello di situazionista conosce necessariamente nello stesso tempo gli usi più veri e più menzogneri, con una moltitudine di confusioni intermedie.

27 Come con altri concetti teorici fondamentali, non si può eliminare la confusione interessata che si applica al concetto di situazionista eliminando l’etichetta di situazionista. Le ambiguità di questo termine riflettono le ambiguità della critica situazionista stessa, al tempo stesso separata della società che combatte e facendone parte, al tempo stesso partito separato e negazione di questa separazione. L’esistenza di un “milieu situazionista” distinto, che è sia concentrazione sociale della coscienza rivoluzionaria avanzata che personificazione sociale del situazionismo concentrato, esprime le contraddizioni dello sviluppo ineguale della lotta cosciente in quest’epoca. Anche se essere esplicitamente situazionista può essere appena la garanzia di una pratica intelligente, non esserlo praticamente è una garanzia di obiettivi di falsificazione, o di un’ignoranza sempre più difficile da mantenere involontariamente. Lo “spettacolo” sarà considerato come un concetto specificamente situazionista, finché sarà considerato soltanto come un elemento periferico tra gli altri della società. Ma quando questa società respinge simultaneamente i suoi aspetti centrali e la teoria che li ha articolati più radicalmente, e pensa così di prendere due piccioni con una fava trattando insieme questi due elementi della realtà che non si lasciano ridurre in categorie, essa conferma la loro reale unità; come quando, ad esempio, la bibliografia di un lavoro associa in una stessa rubrica “vita quotidiana, società di consumo e temi situazionisti”.

28 Per l’I.S., l’etichetta situazionista è servita a decidere tra l’incoerenza dominante ed un’esigenza nuova. L’importanza di questo termine deperisce nella misura in cui le nuove esigenze sono in gran parte conosciute e praticate, nella misura in cui il movimento proletario diventa situazionista. Tale etichetta facilita anche la categorizzazione spettacolare di ciò che rappresenta. Ma questa categorizzazione espone nello stesso tempo la società alla coerenza delle diverse posizioni situazioniste che un’etichetta unica rende possibile; il lato della barricata a favore del quale tenderà questa bilancia dipende dall’insieme dei significati posseduti dal termine in un momento dato. È l’incisività del termine che è in gioco nei diversi confronti per sapere se qualcuno o qualcosa è situazionista; è una vittoria considerevole di questa incisività il fatto che il termine “pro-situazionista” sia stato riconosciuto universalmente come peggiorativo. Benché la loro associazione all’etichetta non possa servire a difendere degli atti, in un certo senso gli atti dei situazionisti difendono il termine “situazionista”, contribuendo a presentarlo come una bomba troppo concentrata e troppo pericolosa perché la società vi giochi. Così, la società che presenta con poche difficoltà alcuni dei suoi settori come “comunisti”, “marxisti” o “libertari” trova ancora impossibile o imprudente presentare uno dei suoi aspetti come “situazionista”, mentre lo avrebbe certamente già fatto se per esempio un senso “nashista” (opportunista e neo-artistico) del termine fosse prevalso.

29 Ai suoi inizi, quando nessun’altra le si avvicinava, la critica situazionista sembra così intrinsecamente anti-ideologica ai suoi difensori, che difficilmente possono immaginare un situazionismo, che non sia un’enorme menzogna o un malinteso. “Non c’è situazionismo”, è una “parola priva di senso” dichiara l’Internazionale Situazionista n. 1. Una semplice distinzione basta a difendere il termine dal cattivo uso. La Quinta conferenza dell’I.S. decide che tutti i lavori artistici prodotti dai suoi membri devono essere esplicitamente definiti “anti-situazionisti”. Ma la critica situazionista, che si oppone per definizione alla sua ideologizzazione, non può definitivamente o assolutamente separarsene. L’I.S. scopre una tendenza “infinitamente più pericolosa della vecchia concezione artistica contro cui abbiamo tanto lottato. Era più moderna quindi meno evidentemente chiara (...) Il nostro progetto si è formato contemporaneamente alle tendenze moderne all’integrazione. Vi è quindi un’opposizione diretta, ed anche una certa somiglianza, in quanto siamo realmente contemporanei (...) noi siamo obbligatoriamente sulla stessa via dei nostri nemici — quasi sempre davanti a loro” (I.S. n. 9).

30 È notorio che l’intelligentsia moderna ha spesso utilizzato alcuni elementi della teoria situazionista; un tempo senza riconoscerlo, più recentemente riconoscendolo spesso (un tale plagio è divenuto molto difficile da mascherare, ma allo stesso tempo l’associazione spettacolare con i situazionisti aumenta il prestigio di questo plagio, più di quanto la rivelazione della sua dipendenza verso di loro non lo diminuisca). Ma ancora più significative sono le molte manifestazioni teoriche ed ideologiche che, senza alcuna influenza diretta dei situazionisti, ed anche senza conoscere la loro esistenza, sono ineluttabilmente condotte verso le stesse questioni e le stesse formulazioni, perché quest’ultime non sono nient’altro che gli aspetti fondamentali intrinseci della società moderna e delle sue contraddizioni.

31 Nella misura in cui la teoria situazionista si sviluppa e si approfondisce, la società moderna deve recuperarne sempre maggiori elementi; semplicemente per comprendere un minimo del suo funzionamento e della sua opposizione, o per costruire lo spettacolo che rifletterà ciò che è più generalmente desiderato; altrimenti, respingendo l’esistenza di questa teoria, si espone ai suoi “angoli ciechi” che crescono di conseguenza.

32 Tutto ciò che l’I.S. ha detto sull’arte, il proletariato, la vita quotidiana, l’urbanismo, lo spettacolo, si trova oggi sparso ovunque, meno l’essenziale. Nell’anarchia del mercato ideologico, le ideologie particolari incorporano elementi della teoria situazionista, separandoli dalla loro totalità concreta; ma se si considerano queste manifestazioni nel loro insieme, esse riuniscono effettivamente questi elementi come una totalità astratta. Tutta l’ideologia modernista, presa in blocco, costituisce il situazionismo.

33 Il situazionismo è il furto dell’iniziativa al movimento rivoluzionario, la critica della vita quotidiana condotta dal potere stesso. Lo spettacolo si presenta, se non come l’iniziatore, almeno come il forum necessario dove si possono discutere le idee della sua distruzione. Le tesi rivoluzionarie non appaiono come le idee dei rivoluzionari, cioè legate ad un’esperienza ed un progetto preciso, ma piuttosto come un accesso improvviso di lucidità dei dirigenti, delle stars e dei mercanti di illusioni. La rivoluzione diventa un momento del situazionismo.

34 La società del situazionismo non sa di esserlo; sarebbe troppo prestarle questa lucidità. Solo il proletariato può comprendere la sua totalità distruggendola. È il campo rivoluzionario soprattutto, che genera le diverse illusioni e le sfumature ideologiche che possono sostenere il sistema e giustificare uno statu quo restaurato. I successi stessi delle rivolte, che sono arrivate ad un punto d’equilibrio ambiguo con il sistema, servono in parte a fare la pubblicità della grandezza di un sistema che può generare ed adattarsi a tali successi radicali.

35 È nell’essenza del situazionismo di non essere realizzabile immediatamente, né completamente. Non vuole essere preso alla lettera, ma seguito ad una minima distanza; se questa distanza è soppressa, la mistificazione appare.

36 Producendo il suo situazionismo, la società fa volare in pezzi la coesione delle altre ideologie, fa piazza pulita delle falsificazioni arcaiche ed accidentali, e riunisce i frammenti che può reintegrare. Ma concentrando così la falsa coscienza sociale, la società prepara la strada all’espropriazione di questa coscienza espropriata. Il carattere sofisticato del recupero costringe i rivoluzionari a disingannarsi, la sua unità spinge il conflitto verso un livello più elevato, e gli elementi di situazionismo diffusi universalmente incitano al loro superamento, in regioni in cui ancora non si erano neppure sviluppati a partire da una base teorica locale.

37 L’I.S. fu esemplare non soltanto per ciò che ha detto, ma soprattutto per tutto ciò che non ha detto. La prolissità diluisce il potere della critica. La discussione sui punti che non fanno la differenza offusca i punti che la fanno. Quando sale sulla tribuna dello pseudo-dialogo dominante, la verità si trasforma in un momento della menzogna. I rivoluzionari devono saper tacere.

KEN KNABB
1976

 

Versione italiana di The Society of Situationism, traduzione dall’inglese di Omar Wisyam.

No copyright.

 
 
 

Post N° 3

Post n°3 pubblicato il 13 Febbraio 2007 da fuoriii

Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.

Perchè l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.

Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.

Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme.

(E.L.Masters, "L'antologia di Spoon River")
Traduzione di F. Pivano, Einaudi Editore

 
 
 

Tratto da Ivan Illich, Per una storia dei bisogni

Post n°2 pubblicato il 13 Febbraio 2007 da fuoriii
 
Tag: ILICH
Foto di fuoriii

I gradi della mobilità autoalimentata.


Un secolo fa venne inventato il cuscinetto a sfere. Grazie a esso, il coefficiente d'attrito si riduceva a un millesimo. Applicando un cuscinetto a sfere ben calibrato tra due pietre da macina dell'età neolitica, un uomo poteva macinare in un giorno quanto ai suoi antenati richiedeva una settimana di lavoro. Il cuscinetto a sfere rese anche possibile la bicicletta, facendo sì che la ruota - forse l'ultima delle grandi invenzioni del Neolitico - fosse finalmente utilizzabile per la mobilità autoalimentata.
L'uomo, senza l'aiuto di alcuno strumento, è capace di spostarsi con piena efficienza. Per trasportare un grammo del proprio peso per un chilometro in dieci minuti, consuma 0,75 calorie. L'uomo a piedi è una macchina termodinamica più efficiente di qualunque veicolo a motore e della maggioranza degli animali; in rapporto al suo peso, nella locomozione presta più lavoro del topo o del bue, meno lavoro del cavallo o dello storione. Con questo tasso di efficienza l'uomo si è insediato nel mondo e ne ha fatto la storia. Procedendo di questo passo le società contadine e quelle nomadi spendono rispettivamente meno del 5 e dell'8 per cento del loro tempo sociale fuori di casa o dell'accampamento.
L'uomo in bicicletta può andare tre o quattro volte più svelto del pedone, consumando però un quinto dell'energia: per portare un grammo del proprio peso per un chilometro di strada piana brucia soltanto 0,15 calorie. La bicicletta è il perfetto traduttore per accordare l'energia metabolica dell'uomo all'impedenza della locomozione. Munito di questo strumento, l'uomo supera in efficienza non solo qualunque macchina, ma anche tutti gli altri animali. Le invenzioni del cuscinetto a sfere, della ruota a raggi tangenti e del pneumatico, messe assieme, si possono paragonare solo a tre altri eventi della storia del trasporto. L'invenzione della ruota, all'alba della civiltà, tolse i pesi dalle spalle dell'uomo e li depose sulla carriola. L'invenzione, e la contemporanea applicazione, durante il Medioevo europeo, della staffa, della bardatura e del ferro di cavallo aumentò sino a cinque volte l'efficienza termodinamica del cavallo e rivoluzionò l'economia dell'Europa medievale: rese possibili arature frequenti, e quindi la rotazione delle colture agricole; mise a portata di mano del contadino campi più lontani, permettendo così ai proprietari di trasferirsi dai casali di sei famiglie ai villaggi di cento, dove potevano vivere intorno alla chiesa, alla piazza, alla prigione e, più tardi, alla scuola; favorì la coltivazione delle terre settentrionali, spostando il centro del potere nei paesi a clima freddo. La costruzione, a opera dei portoghesi del Quattrocento, delle prime navi alturiere, sotto l'egida del nascente capitalismo europeo, gettò le solide basi di una cultura e di un mercato estesi a tutto il globo.
L'invenzione del cuscinetto a sfere avviò una quarta rivoluzione. Questa differiva sia dalla rivoluzione, sostenuta dalla staffa, che aveva messo il cavaliere in groppa al proprio cavallo, sia da quella, sostenuta dal galeone, che aveva ampliato l'orizzonte dei marinai del re. Il cuscinetto a sfere aprì una vera crisi, un'autentica scelta politica: creò la possibilità di optare tra una maggiore libertà nell'equità e una maggiore velocità. Esso è infatti un ingrediente parimenti fondamentale di due nuovi tipi di locomozione, rispettivamente simboleggiati dalla bicicletta e dall'automobile. La bicicletta elevò l'automobilità dell'uomo a un nuovo ordine, oltre il quale è teoricamente impossibile progredire; al contrario, la capsula individuale di accelerazione fece sì che le società si dedicassero a un rituale di velocità progressivamente paralizzante.
L'impiego esclusivamente rituale di un congegno potenzialmente dotato di utilità non è certo un fatto nuovo. Migliaia di anni fa la ruota liberò dal suo fardello lo schiavo portatore, ma solo sul continente euroasiatico; in Messico la ruota si conosceva, ma non veniva mai adibita al trasporto: serviva esclusivamente alla costruzione di carrozze per delle divinità-giocattolo. Il tabù per le carriole vigente nell'America anteriore a Cortés non è più strano del tabù per le biciclette nel traffico d'oggi.
Non è affatto inevitabile che l'invenzione del cuscinetto a sfere continui a servire per accrescere il consumo energetico, e quindi a produrre penuria di tempo, distruzione di spazio e privilegio di classe. Se il nuovo ordine della mobilità autoalimentata reso accessibile dalla bicicletta venisse protetto dalla svalutazione, dalla paralisi e dai rischi per gli arti del ciclista, sarebbe possibile assicurare a tutti una pari mobilità ottimale e metter fine all'imposizione del massimo di privilegio e di sfruttamento. Sarebbe anche possibile controllare le strutture dell'urbanizzazione una volta che l'organizzazione dello spazio avesse come limite il potere che ha l'uomo di spostarsi in esso.
Le biciclette non sono soltanto termodinamicamente efficienti, costano anche poco. Avendo un salario assai inferiore, il cinese per comprarsi un bicicletta che gli durerà a lungo spende una frazione delle ore di lavoro che un americano dedica all'acquisto di un'auto destinata a invecchiare rapidamente. Il rapporto tra il costo dei servizi pubblici richiesti dal traffico ciclistico e il prezzo di un’infrastruttura adatta alle alte velocità, è proporzionalmente ancora minore della differenza di prezzo tra i veicoli usati nei due sistemi. Nel sistema basato sulla bicicletta, occorrono strade apposite solo in certi punti di traffico denso, e le persone che vivono lontano dalle superfici in piano non sono per questo automaticamente isolate come lo sarebbero se dipendessero dagli automezzi o dai treni. La bicicletta ha ampliato il raggio d'azione dell'uomo senza smistarlo su strade non percorribili a piedi. Dove egli non può inforcare la sua bici, può di solito spingerla.
Inoltre la bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un'auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un'unica vettura. Per portare 40.000 persone al di là di un ponte in un'ora, ci vogliono tre corsie di una determinata larghezza se si usano treni automatizzati, quattro se ci si serve di autobus, dodici se si ricorre alle automobili, e solo due corsie se le 40.000 persone vanno da un capo all'altro pedalando in bicicletta. Di tutti questi veicoli, soltanto la bicicletta permette realmente alla gente di andare da porta a porta senza camminare. Il ciclista può raggiungere nuove destinazioni di propria scelta senza che il suo strumento crei nuovi posti a lui preclusi.
Le biciclette permettono di spostarsi più velocemente senza assorbire quantità significative di spazio, energia o tempo scarseggianti. Si può impiegare meno tempo a chilometro e tuttavia percorrere più chilometri ogni anno. Si possono godere i vantaggi delle conquiste tecnologiche senza porre indebite ipoteche sopra gli orari, l'energia e lo spazio altrui. Si diventa padroni dei propri movimenti senza impedire quelli dei propri simili. Si tratta d'uno strumento che crea soltanto domande che è in grado di soddisfare. Ogni incremento di velocità dei veicoli a motore determina nuove esigenze di spazio e di tempo: l'uso della bicicletta ha invece in sé i propri limiti. Essa permette alla gente di creare un nuovo rapporto tra il proprio spazio e il proprio tempo, tra il proprio territorio e le pulsazioni del proprio essere, senza distruggere l'equilibrio ereditario. I vantaggi del traffico moderno autoalimentato sono evidenti, e tuttavia vengono ignorati. Che il traffico migliore sia quello più veloce lo si afferma, ma non lo si è mai dimostrato. Prima di chiedere alla gente di pagare, i fautori dell'accelerazione dovrebbero cercare di esibire le prove a sostegno di quanto pretendono.
Sta ormai per concludersi un orrendo combattimento tra biciclette e motori. Nel Vietnam un esercito superindustrializzato ha cercato di domare, senza riuscire a batterlo, un popolo che si muoveva alla velocità della bicicletta. La lezione dovrebbe esser chiara. Gli eserciti ad alto contenuto di energia possono annientare popolazioni - sia quelle che difendono sia quelle contro cui vengono scatenati - ma non servono granché a un popolo che difende se stesso. Resta da vedere se i vietnamiti applicheranno all'economia di pace ciò che hanno imparato in guerra, se vorranno proteggere quei valori che hanno reso possibile la loro vittoria. E’ ahimè probabile che, in nome ,del progresso e di un maggiore impiego di energia, i vincitori finiscano per sconfiggere se stessi distruggendo quella struttura equa, razionale e autonoma cui i bombardieri americani li avevano costretti privandoli di combustibili, di motori e di strade.

 
 
 

Post N° 1

Post n°1 pubblicato il 03 Febbraio 2007 da fuoriii
Foto di fuoriii

Veramente io vivo in tempi oscuri! La parola sincera è follia. Una fronte distesa vuol dire insensibilità. Chi ride, non ha ancora saputo l’atroce notizia. Che tempi sono questi, quando un discorso sugli alberi è quasi un delitto, perché evita di parlare delle troppe stragi? E l’uomo che attraversa tranquillo la strada potrà mai essere raggiunto dagli amici che vivono nel pericolo? È vero: io mi guadagno da vivere. Ma, credetemi, è solo un caso. Niente di quello che faccio mi autorizza a sfamarmi. Mi risparmiano per caso. (Basta che il vento giri e sono perduto.) “Mangia e bevi” mi dicono “e sii contento di esistere”. Ma come posso mangiare e bere, quando quel che mangio lo strappo a chi ha fame e il mio bicchiere d’acqua manca a chi ha più sete di me? Eppure mangio e bevo.
(da A quelli che verranno di Bertolt Brecht, 1938)

 
 
 

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