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GISORS e i Templari

Post n°179 pubblicato il 27 Novembre 2008 da higjlander
 

 

Cos’accadde dei beni dei Cavalieri TEMPlARI quando, nel 1314, l’ordine venne definitivamente distrutto da Filippo il Bello? Furono tutti ridistribuiti tra altri Ordini cavallereschi e tra la nobiltà francese, come tramanda la storia, o il grosso dei loro TESORI si salvò e giace tuttora nascosto da qualche parte? E, in questo caso, dove?
La risposta la diede nel 1962 l’esoterista e storico Gérard De Sède, nel volume Les Templiers sont parmi nous (“I Templari tra noi”), divenuto rapidamente un best-seller e l’oggetto di una controversia che non si è ancora spenta. Il tesoro dell’Ordine del Tempio si troverebbe nel castello di Gisors, ed è facilmente recuperabile; a seguito di un misterioso complotto, tuttavia, le autorità hanno vietato di svolgervi scavi o ricerche di qualunque genere.

Trenta cofani di metallo. Il castello di Gisors, nella valle dell’Epte, è un tipico edificio templare a pianta rotonda; ne sono rimasti in piedi i muri perimetrali e la torre. Già nel 1857 l’archeologo Gèdèon Dubruil asseriva che, da esso, si diramavano vasti sotterranei, ma solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, dopo che un bombardamento nelle vicinanze ebbe scoperchiato parte di un cimitero sotterraneo merovingio, le sue affermazioni trovarono ufficialmente qualche credito.
A Dubruil, invece, credeva ciecamente Roger Lhomoy, appassionato cercatore di TESORI e giardiniere a Gisors dal 1929. Nascostamente, fin dai primi tempi della sua presenza al castello, aveva iniziato la sua ricerca personale, che non aveva interrotto nemmeno quando, nel 1944, l’edificio venne occupato dai tedeschi.
Nel 1946 Lhomoy si presentò al consiglio municipale di Gisors affermando di aver scoperto sotto il dongione della torre una cappella sotterranea “lunga trenta metri, larga nove, alta circa quattro metri e cinquanta”. Lungo le sue mura, sostenute da corvi di pietra, si trovavano “la statua di Cristo e dei dodici apostoli”; a terra c’erano “diciannove sarcofagi di pietra lunghi due metri e larghi sessanta centimetri”; inoltre nella cripta erano custoditi “trenta cofani di metallo”. Una simile descrizione avrebbe suscitato l’interessamento di chiunque, ma dopo aver dato un’occhiata distratta all’imboccatura della stretta galleria attraverso cui Lhomoy era disceso nel sotterraneo, gli uomini del consiglio municipale se ne andarono senza neppure aver provato a penetrarvi. Pur se trattato come un mitomane, l’ostinato giardiniere non si diede per vinto, e, nel 1952, riuscì di nuovo a convincere l’amministrazione a permettergli di proseguire gli scavi. L’autorizzazione fu concessa, ma solo dietro il versamento di una cauzione talmente alta che Lhomoy fu costretto a rinunciare. Grazie ai buoni uffici di Gèrard De Séde, il giardiniere riuscì a esporre il suo caso in televisione, ma, nuovamente, i responsabili di Gisors rifiutarono ogni autorizzazione, e, nel 1962, per ordine del Ministro della Cultura André Malraux, apposero i sigilli al dongione, ove gli scavi avrebbero dovuto aver luogo. Nel 1964, dopo l’uscita di Les Templiers sont parmi nous, Lhomoy ritentò il colpo; alcuni giornalisti discesero lungo il passaggio e lo trovarono chiuso. Lhomoy spiegò che, dopo tutti quegli anni, era necessario ripristinarlo, ma la sua richiesta non fu accolta. Lo scavo fu ricoperto, e il caso definitivamente chiuso.

La cripta dimenticata. Lhomoy (morto in miseria nel 1974) aveva visto davvero la cripta, o si era inventato tutta la faccenda? Per Jean Markale, autore di Gisors et l’Enigme des Templiers, si trattava di un povero mentecatto affetto da manie, e le autorità locali avevano agito correttamente impedendo scavi che avrebbero inutilmente rischiato di compromettere la struttura e la stabilità stessa del castello. Per Gèrard De Séde, invece, il giardiniere era vittima di una cospirazione, il cui obiettivo era quello di tener nascosto agli occhi del mondo un oggetto preziosissimo e sacro: nella cripta di Gisors si sarebbe trovato, infatti, anche il sacro GRAAL..

 
 
 
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FEDERICA..

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

(P. Neruda)

 

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