Creato da: MICHELEALESSANDRO il 15/07/2012
PREISTORIA UMANA E TRADIZIONALISMO INTEGRALE

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LA DISCONTINUITA' DELL'ETA' DELL'ORO

Post n°18 pubblicato il 16 Settembre 2012 da MICHELEALESSANDRO
 

 

Nei post precedenti abbiamo accennato al fatto, segnalato da Renè Guenon e confermato da alcune interpretazioni dei Purana, che l’Età dell’Oro si sarebbe protratta per circa 25-26.000 anni. Tale periodo, che nella tradizione indù viene chiamato anche Satya (o Krita) Yuga, ebbe quindi una durata molto lunga, ma non rappresentò necessariamente una parentesi statica nella storia umana; il metafisico francese, infatti, in varie occasioni ebbe modo di sottolineare come, in ciascuna delle quattro età del Manvantara, vi è la possibilità di operare ulteriori significative suddivisioni interne, a partire da quella nelle due relative metà. Il Satya Yuga, quindi, non sfugge a questa regola ed anzi è rimarchevole il fatto che risulti composto esattamente da due “Grandi Anni” di quasi 13.000 anni ciascuno.

E’ stato inoltre rilevato che il transito da un Grande Anno a quello successivo è sempre contraddistinto da un violento cataclisma che quindi, per l’Età dell’Oro, deve aver avuto luogo in corrispondenza della sua metà, attorno a 52.000 anni fa. Anche da considerazioni legate al “ciclo avatarico” di Vishnu (ciclo che suddivide il Manvantara totale in dieci parti uguali di 6.500 anni, ciascuna collegata ad una particolare “discesa” sulla terra del Principio per il ristabilimento della legge divina) lo stesso evento traumatico viene ricordato nel momento del passaggio dal secondo Avatara (Kurma), al terzo (Varahi), quando dovettero verificarsi importanti modificazioni della geografia boreale, un movimento dal polo artico ad una zona più nord-orientale (la già incontrata Beringia ?) e, come ipotizza anche Gaston Georgel, una primissima ondata migratoria verso zone meno settentrionali del pianeta.

Ciò che ne seguì, originò quella che per Guenon fu la sede del centro spirituale primordiale di questo Manvantara, la citata Varahi o “Terra del Cinghiale”, dalle marcate caratteristiche solari: il fatto però che fosse collegata non al primo ma al terzo Avatara di Vishnu, ci fa ritenere più corretto collocare Varahi non nella fase aurorale ed indistinta, veramente iniziale, del nostro ciclo umano, ma invece nel secondo Grande Anno, ovvero tra 52.000 e 39.000 anni fa.

Di conseguenza, riteniamo che ciò ponga il tema di una certa discontinuità interna dell’Età dell’Oro, in coerenza con il fatto che, come detto sopra, essa appare chiaramente divisibile in due parti uguali; e l’ambito dal quale, a nostro avviso, si può iniziare a svolgere qualche considerazione in tal senso, è quello della “condizione iniziale” dei tempi primordiali, genericamente da tutti i popoli ricordata con rimpianto (la cosiddetta “nostalgia delle origini” rilevata da Mircea Eliade), che però è opportuno suddividere in due ben distinte situazioni esistenziali, spesso invece confuse tra loro.  

Una fase è quella nella quale si ha memoria di una relativa facilità nei contatti tra l’uomo e le forze divine, con le quali, da un lato, si comunicava ad esempio scalando una montagna, salendo su un albero o su una liana per recarsi negli spazi celesti, mentre dall’altro, erano gli stessi numi che frequentemente scendevano sulla terra ed incontravano gli uomini; tale situazione ad un certo punto dovette però interrompersi, generalmente per quella che Mircea Eliade definisce come “pecca rituale”. A nostro avviso, tale fase suggerisce che, anche quando i collegamenti con il sovra-mondo erano integri, esistevano comunque riti ed azioni volte “tecnicamente” a mantenerli; quindi uomini e dei che, pur in contatto, erano per certi versi già divisi – costituendo due diverse entità – dalla necessità dell’azione rituale che, contemporaneamente, statuiva anche una reciproca alterità. Questa è la fase nella quale presumibilmente regna Kronos, reggente aureo, diurno ed “incivilitore” per eccellenza, che secondo noi dovrebbe riguardare la seconda metà del Satya Yuga (cioè il secondo Grande Anno).

Un’altra fase, anteriore a quella di Kronos, talora invece affiora nel ricordo indistinto e confuso di un momento di innocenza, di felicità ma anche di libertà e di potenza, uno stato primordiale paragonabile, da un lato, ad una pienezza irradiante, da un altro, paradossalmente, a quello del “vuoto” che occupa il Centro della Ruota, “motore immobile” aristotelico, Polo spirituale ed impassibile non coinvolto nel movimento periferico, ma purtuttavia ad esso necessario. O affiora in miti nei quali il limite tra umano e divino sembra ancora non essere ben marcato, o magari la convivenza è stretta, costante, fino quasi all’identificazione reciproca. E’, questa, la prima fase, aurorale ed indifferenziata del nostro Manvantara – e quindi, a nostro avviso, relativa al primo Grande Anno – che oltretutto, dal punto di vista della Tradizione Romana, sembrerebbe essere simboleggiata dal dio Giano, il dio degli inizi, entità per certi versi notturna, enigmatica.

Inizieremo quindi, da qui e per i prossimi post, ad esporre alcune considerazioni attorno al primo Grande Anno del nostro Manvantara, relativo all’arco di tempo che all’incirca intercorse tra 65.000 e 52.000 anni fa.

 

 
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