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sei graspi di frasi, in forma di versi

Post n°78 pubblicato il 24 Luglio 2011 da imagomentis

 

Uno: tracce di muschio sulla pelle



gocce amare e dolci su foglie d’eucalipto
al centro di una quadruplice lanterna accesa
lasciano scuri segni di pece sulle labbra
che si tingono inalterate nel mio precipizio

la mia foce antica d’espedienti
s’avvinghia forte e si disseta chiara
tra capezzoli rosa di bruni pigmenti
sazia nel delta d’orizzonti opachi

poi mite solo al binomio del muschio
si espone ai raggi di una luna assolata
e si acconsente mistica ed attenta
multipla e difforme e infine oscena


 

Due: pulviscoli circolari



le immagini si frantumano ambigue
tra le gabbie fitte degli occhi incerti

ultimi gli occhi raccolgono in fretta
suoni leggeri di tocchi acquosi
che si distillano lentamente
in canestri violacei di varie forme
e le possibili atmosfere apparenti
tra neri assiomi e bianche assonometrie
si dileguano languide senza armonia

vorrei sfiorare il perimetro del tuo profilo reciso
non raggiunto in tempo dal senso tattile
dei miei polpastrelli adagiati

rosso purpureo e bianco appiccicoso
intatte tracce dei colori obliqui
sulle strisce arrossate della tua pelle

 


Tre: tu



tu rimbalzi e zampilli
e sei la mia memoria
io sono il tuo ricordo estremo
che si frantuma tra lame di fumo

 


Quattro: quasi come sfiorarsi



caffè ristretto nella tazzina stinta
piena di panna bianca fino all’orlo
stamani tra le dita appisolate
tenevo in bilico sulle labbra umide
per cancellare il sonno alla finestra
col vetro acceso da un cielo vicino

ho visto un uomo con le mani attente
sopra una scala a pioli e sopra un filo
i panni stesi che una donna incisa
nel cortiletto povero di pietra
in un catino di plastica azzurrina
toccava appena con le mani rosa

e poi sul vetro ho rivisto il mio viso
appiccicato lì sulla finestra



Cinque: ruvido al tocco



in calce all’angolo di un marciapiede
di terra smossa e nero asfalto grattato
per caso un foglio accartocciato giace
e sfiora il piede e la mia attenzione
si ferma pallida tra l’immondizia

con mano incerta colgo quelle frasi
che leggo appena come tra le dita
il fumo grigio di una sigaretta
fruga in volute l’aria della sera
che mi ricorda l’anima assediata
nel corpo arso di sudore e di sete



Sei: il segno del sottinteso



reso opaco il sogno succoso
millimetrico gioco al rialzo
tra l’ostilità di derma e di grano
si scioglie e suscita sopita alla base
la piega mistica del ginocchio
nel suo incavo inalterato ascesa
in forma geometrica impazzita
nei bassifondi noti di un orgasmo


 

 
 
 

daimon xenos fragmenta eidos

Post n°77 pubblicato il 20 Luglio 2011 da imagomentis


 

 


I A fragmenta

Le scaglie d’immaginario si frantumano se cozzano indecise su una realtà che affiora solo a brandelli, se a pezzi sparsi s’impone, questo reale fasullo, fatto da alambicchi impeciati che stillano vermi in fossati di terra nera. La bellezza in idea è lampo breve di luce intensa che un nugolo di demiurghi accecati scaglia a caso da iperuranio lontano. Occhi veloci nel raccoglierlo e attenti al suo variare, o torna tremulo lume del reale.


I B eidos

L’allegoria leggera
di un demone sorpreso
da una dea che s’incurva
per poggiare le labbra
sulla linea dell’acqua,
dona una forza lieve
nel crocicchio di cose
alle tue forme sciolte
in cristalli di segni.

 

 

 

II A fragmenta

Non esiste in estetica un’unica forma essenziale che include la sostanza dell’essere tra le cose per descriverle, è il terzo volto della medaglia quello che bisogna cogliere mentre la moneta gira nell’aria, non è testa né croce: l’esistenza in parole è la semantica inefficace del divenire.


II B eidos

E t’immagino in bilico
nel vertice del capo
reclinato su un ponte
di luce e d’ombra mite
solo se suddivisa
nella tua gerla fertile
senza frasi di pace
unta d’ipocrisia.



III A fragmenta

Poi s’incontra qualcuno per caso e il caso diventa necessità, e il miele d’api diventa sostanza appiccicosa di fico acerbo. Il discorrere s’inquieta e non si trovano più le parole: è lo scontro inutile con se stessi, il bisogno di ritrovare negli altri la parte estranea di sé dispersa in un gorgo molteplice di frasi.

 


III B eidos


Tu sei guerra feroce
e mite calura eburnea,
sei il demone e la dea
che sfidano nell’aura
il principio e la fine
e si cingono chiusi
nel margine ideale
della materia uccisa.

 

 

 


IV A fragmenta

Eppure bisogna cercarsi l’anima, in questa caotica rimembranza di follia che brucia il tempo e che veloce s’insabbia come quegli scorpioni del deserto, resistenti al sole e alla sete, e l’anima passa attraverso i pori di un corpo mai stanco, quel corpo che è la somma delle apparenze possibili e immaginabili.


IV B eidos


Sento stringere avido
tra paludi di fumo
il penetrare lento
del desiderio confuso
e deciso m’inoltro
col mio passo di cuoio
nelle foschie del vespro
sparso nell’arenile.

 

V A fragmenta

Ed è guerra di posizione, scontro di trincea mimetizzata e mobile, nella terra arida di nessuno dove è possibile muoversi senza le ali della maschera, abbandonando ipocrisia e pudore, lasciandosi alle spalle le certezze e i dubbi: si tratta di camminare senza voltarsi indietro, come Orfeo nei meandri infernali, e alla fine si rischia di spingere il masso da soli, inutilmente e per un’eternità provvisoria. Vale la pena di correre il rischio di Sisifo.


V B eidos

Per domare gli specchi
nella mia mano stringo
un’antica arma bianca
e per te porto in dono
nella bocca una rosa
che con la lingua imperlo
se tra i denti una spina
punge le labbra chiuse.




VI A fragmenta



L’alchimia dell’intelletto, la magia bianca della parola, senza la forza di un demone straniero, è sterile sopravvalutazione d’istinto e di ragione, che soccombe incapace di mutarsi in creazione reale, di conservare e togliere l’immediatezza, e mostrare di sé solo la parte minima. Il resto è gioco fittizio d’apparenze e d’intrichi tra le figure retoriche più o meno efficaci, che alla fine si mostra per quello che è: falso disastro e cortigiana devastazione. Di fronte a se stessi, nel laboratorio interrato della scrittura, non si discute volentieri del proprio disintegrarsi un pezzo alla volta, tra le facezie incerate del quotidiano coesistere. Non è mai evidente la lenta macerazione della fusione poetica d’eros e di psiche: è scandalo scritto sui carri dell’uragano, è nascondiglio da scovare tra le apparenze fugaci della scrittura.


VI B eidos

A me stesso straniero
presso il tuo nascondiglio
cerco di decifrare
ombre di segni incisi
nel tuo istinto scarlatto
intrecciato di cose
fatte da un furibondo
demone meridiano.




 

Chiusa imprecisa e chiosa

Sono frasi scavate per offrire una dedica imprudente in punta di labbra impulsive, sono un gesto furtivo nel margine dell’esistere in forma di parole. E dietro questo scrivere c’è stata una mano che si è mossa, sospinta, con leggerezza o brutalità, da un’entità immateriale che ha mostrato, tra le cose, un volto di demone e un viso angelico. In ogni caso entità portatrice di luce. In ogni caso entità portatrice di tenebre.


 

 
 
 

e sono sobrio in un’alba

Post n°76 pubblicato il 17 Luglio 2011 da imagomentis

 

 

e credo che sia stato

walter benjamin

nel suo angel novus

o forse adorno

in minima moralia

ad affermare che il vuoto

a volte è colmo

di cattivo pieno

 

poi si lasciava andare

in altre frasi

che non rammento

ma che potrei cercare

tra le mensole

 

te le risparmio

perché da sobrio

al mattino

non capirei il motivo

della faccenda

 

la luce bianca è sparsa

nel cortiletto in coccio

 

forse sono le nuvole

che impallidiscono

 

oppure è davvero l’autunno

che ritorna

 

questo però

non è importante

 

non è il momento

di fare arcadia

da circo equestre

 

perché voglio far cenni

disimpegnati

con minimi aggettivi

di quel vuoto

che ci separa e unisce

in quel pieno ammassato

dal tempo osceno

del disincanto incanto

nell’esistere monco

di aggiustamenti e sconti

sentimentali

 

c’è chi nel vuoto

mette persino un figlio

 

come se fosse facile

prendersi cura

di un’altra essenza

 

sarà perché l’allegoria

del rispecchiarsi

mi annoia

io nel mio vuoto

non ho messo un figlio

 

c’è chi ci mette il dovere

e chi un consorte

oppure un gesto

di preghiera infinita

di bestemmia o di sesso

e chissà cosa ancora

a riversare

 

ho fin troppa ironia

disincantata

per prendere sul serio

gli uni e gli altri

 

e infatti

non ce li ho messi

 

certo ti piacerebbe

che ti narrassi

un po’ di più di me

per darmi il benvenuto

nel tuo vuoto

 

dovresti cogliermi ebbro

di chiaroscuri

così potrei riempire

quello spazio

 

sarebbe divertente

per una volta

mettermi in mostra e fare

puleggia di pavone

 

ma tu non reggeresti all’urto

del quotidiano mio

 

quest’estate ad esempio

vennero le formiche

giù in cucina

a spingersi

sul pavimento e sul muro

in fila indiana

per scompigliare

la zuccheriera

e raccogliere

le mollichine sparse

sui ripiani

 

ci crederesti

se ti dicessi

che le ho lasciate libere

di muoversi

senza schiacciarne alcuna

che non si fosse

per caso

trovata sotto il mio piede

scalzo sul pavimento?

 

era felice il geco

che scorrazzava

nella sera sul muro

a rimpinzarsi

 

ed erano felici

le formichine

 

ed io mi divertivo

a spifferare

sulla mia pelle

quando con le zampette

mi stuzzicavano

 

tu le avresti ammazzate

tutte quante

 

e questo cosa c’entra

con il cattivo pieno?

 

se vuoi puoi ridere

ma nel tuo vuoto

ci sguazzerei come un luccio

tra i gorghi di un torrente

o dove il fiume sfocia

e mischia schiuma

dolce e salata

in mulinelli sul mare

 

quando però il sole

si accinge alla caduta

e si scompone

nella luce impalpabile del balzo

sull’emisfero

concede un vuoto

per un istante al cielo

in una foggia riflessa

messa a rovescio ai bordi

di un confine scarlatto

all’orizzonte

 

perché direbbe un altro

tra gli scaffali

 

ciò che conta di un vaso

è il vuoto che esso contiene

 

e sono sobrio in un’alba

che ricomincia

dall’incavo dei sensi

a raccontare

 

 

 
 
 

dietro il sipario una soglia di terra e di salgemma

Post n°75 pubblicato il 11 Luglio 2011 da imagomentis

 

 

 

 

anche  stamani il mio saluto al sole lo scaravento sui muri

e la vacanza si rinnova in un vuoto da grattare per scelta

 

saranno giorni di carestia e di abbondanza

e ogni mattina lo so mi sveglierò sorpreso

nel mio letto disfatto dall’immaginazione

in bilico strapazzato da chiarori già vecchi

 

eppure qualcuno aspetta un mio gesto accarezzato

ma non so più come condurre la mano e il viso

diventa ogni notte un coccio estirpato di terra e di salgemma

 

se non fosse per il mio sguardo chiaro con riflessi d’azzurro

lo si direbbe un infuso di pietra lavica e alghe ingiallite

messo nel ghiaccio spezzettato ad indurirsi un poco

 

e saranno giorni di menzogne e schiamazzi

ad impilarsi osceni in commerci e consumi

senza penuria o pena e accatastati in mostra

da mani biforcute in stretto accordo rapace

 

ed alla fine accetterò il tuo invito alla bonaccia

per rassettarci tra due lenzuola il corpo scaglioso

e so in premessa che sarà un’apoteosi rimossa

ai vertici del ripulirci ciò che chiamiamo anima

 

ma per tre giorni voglio restare chiuso

a ruminare sul vuoto e le bottiglie copiose

saranno emblema del disastro annunciato

tra fuochi gelidi in un ossimoro goffo

 

poi ti darò semenza per placarti

la sete d’infinito ed il terrore aggraziato

di essere ancora viva tra due fiumi in piena

e resterò appiccicato al tuo delta prolifico

come in un’isola greca pitturata di rosso

 

rimasticando il tempo in strappi sincopati

avrai persino una ciocca spezzata in furto

di un nume smaliziato dal corpo infruttuoso

e ci sarà baldoria di vino e canti e danze

per festeggiare tra di noi l’incoscienza

di un infante cresciuto in un’alcova mistica

forse chiamato unto da dio per un’assenza

che non mi commuove e le mie idee brumose

saranno l’architrave imperfetta al centro esatto

del silenzio chiassoso tra quei muri inclinati di stoltezza

che ripetono il mio buongiorno accecato e ossuto al mondo

 

il saluto però si ostina a rimbombare staccato

tra le esibizioni avverbiali di cosce nude sul tessuto

e bocche portentose nel suggellare segreti vischiosi

 

e se qualcuno m’avesse detto in un giorno alticcio

scriverai una poesia d’amore trafelata di rosso

gli avrei riso in faccia rumoroso di schizzi di jd

 

tra un po’ di giorni anche quest’anno incavato da orme

di macellai e impostori impalerà la storia nella sua replica

e le mie pagine bianche diminuiranno dilapidate e prive

ormai di coscienza illuminata o di religio strappata a morsi

 

ma devo festeggiare nel mio bastione ebbro e disancorato

le nozze pagane e barbare d’argento col mio occhio che scrive

 

(lemmi sparsi si forgiano nell’intimità disabitata di un flashback farinoso

qui e ora e diventano ormeggi disimparati che si allontanano silenziosi)

 

quando mi dissi guerriero di utopie rapinate in pasto crudo

ciò che mi accade sotto lo sguardo non può finire a marcire

nel nulla forte e feroce di transumanza e oblio perciò veloce

misi la mano indelebile nei cinque sensi senza guinzaglio

e incominciai a versare inchiostro nelle risme cintate e vuote

dell’esistenza per fottere la morte che scoppiettava allegra

sui libri letti come in un nubifragio di sublimazioni interrotte

 

e forse per una catarsi priva di senso scrissi parole e scrivo

ancora spesso contratto sui margini incompleti della memoria

l’urlo e il silenzio nel mio tao esagerato di penurie e abbondanze

 

devo cercarmi una dea oscena che rappresenti l’illusione avvolta

da troppi anni di frasi sciolte in suoni e segni accagliati nel vino

in questi giorni di rifiuto innegabile e nel contempo in feticcio

incollare frammenti per farne simulacro e covo sulla tua schiena annunciata

dopo il tramonto del terzo giorno impigliato per rannicchiarti in chiosa  

 

eppure a ben guardare tra lo spazio abbagliante delle righe incagliate

ci sono i sogni inalterati e irrequieti dei miei venti anni a picco inattuale

 
 
 

di luci e corpi, di mani porose e bocca docile

Post n°74 pubblicato il 09 Luglio 2011 da imagomentis

 

 

 

e dal crepuscolo giunge un’ombra vermiglia con la consistenza
e la fragranza cedevole di nervi nudi al tatto disadorno
nello specchio dell’anima assidua a spiegazzare
corpi su corpi e mani porose a conca a titillare abissi

femmina coscia inquieta dal profondo dei mari cupido antro
e bocca docile al tocco che trabocca di ghiaccio e magma

sangue pulsante fiotti in vasi sanguigni vino in fermento
rosso scarlatto lingua di fiamma rosso d’essenza ad irrorare
corpi dolci di furia e d’incoscienza e membra appiccicate
nel bianco opaco stropicciato obliquo a pelle sconcia e vorace

gesti imperfetti d’eros perfetto folti di thanatos tolti al tutto
ed ancorati al nulla di carne e d’anima e di rimandi al sole sfilacciato

rosso incerto pensiero incerto gesto che s’inarca propizio
nella memoria a tessere giochi flessibili di chiaroscuri friabili
e corpi e maschere d’inconsistenza ombre persone volti
fulve trame di luci all’alba che s’insinua a districare il kaos



***

 


Divertissement sbozzato a ciglio di penombra, quasi soffiato all’alba, di variazioni e lessico in transumanza, sopra una cosa poetica, a vagolare da qualche parte, in un altrove a rileggersi, a ridondare, forse per altri occhi, forse per nessun occhio, a ripetersi, per ricominciare.

 

 
 
 

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