Teatro Regio, concerto di San Silvestro. In programma suites di Sergej Prokof'ev e Igor' Stravinskij. Pellicce e nasi congestionati dal freddo. Non scivolare sui marciapiedi gelati con i tacchi a stiletto è una bella impresa. Un educato applauso accoglie gli orchestrali e il direttore d'orchestra. La meravigliosa cacofonia della ricerca della tonalità perfetta è sottolineata da asmatici colpi di tosse. Finalmente il tanto atteso assolo di arpa. Le dita affusolate della donna in abito da sera danzano in complicati arpeggi. Il suo viso si contrae. Le sue dita iniziano a sanguinare. Ostinata continua a pizzicare le corde. Il direttore la incalza con gesti meccanici. Nessuno sembra essersi accorto di nulla. Il sangue cola copioso lungo i polsi. L'ultimo accordo si disperde nell'aria. La donna in abito da sera guarda sgomenta i moncherini. Scroscio di applausi.
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I piccoli spettatori spalancano gli occhi divorati dall'ansia. Dall'alto della scena Sabius fa calare con maestria i pupi. E cominciano le gesta di Rolando. Le spade cozzano furiose, per i mori non vi è scampo. Sabius gronda sudore. Le sue non sono più marionette, ma esseri umani. Ad ogni sospiro di sollievo, ad ogni urlo di paura sorride soddisfatto. Anche stasera è stato un successo. Il cielo è terso e le stello sembrano accarezzare i crinali di Monte Pellegrino. Sabius cammina con passo veloce tra i vicoli. Serra la porta del piccolo basso alle sue spalle. Lei è lì. Sdraiata sul letto d'ottone. Un ricco vestito damascato mette in risalto la luminosità del suo volto. - Eccomi, finalmente amore mio. Con mani sapienti si dedica a lei. La loro danza d'amore ha inizio. Il respiro affannato a poco a poco si placa. Con cura la sistema sul letto d'ottone. Ha cura di nascondere il bilancino e i lunghi fili di refe. |
E' una macchina svuota coglioni. Ha una clientela molto varia. Giovani alle prime esperienze che si fanno travolgere dall'ardore e immediatamente dopo inseriscono un altro gettone e poi magari anche il terzo. Ah beata gioventù. Uomini vecchi, che hanno come unica compagnia la loro fossa solitaria. Che prima di svuotarsi parlano, parlano persi nelle loro memorie. Cercano di farlo durare il più possibile il gettone, perchè i soldi della pensione sono pochi e le medicine sempre più care. Ogni volta che se ne vanno non sa se li rivedrà. Uomini sposati, pieni di sensi di colpa, imprigionati in gabbie infernali. Che dividono letti gelidi con ancora più gelide spose. Cammuffano la cosa con belle parole. Fanno i simpatici. Ma vogliono solo quello: svuotarseli. Per lei sono tutti uguali. Una lunga sequenza di sperma. Cambia la consistenza e il quantitativo. Anni fa, quando era giovane ed inesperta, scattava l'empatia con qualcuno di loro. Poi ha capito che una macchina non deve avere l'anima. Fa quello per cui è programmata e avanti il prossimo. - Ciao, lo sai che hai delle belle tette, veramente erotiche? - Si lo so, inserisca il gettone, per favore. |
Osserva impietrito per qualche secondo la radura, poi di botto chiude la porta dello sgabuzzino. Ci si addossa contro non vuole più vedere quella luce viola. Si risiede davanti alla tastiera, la storia di Silver deve andare avanti. E' come se un buco nero lo inghiottisse. Unico aggancio alla realtà il cursore sulla pagina di Word che lampeggia. Lo fissa ipnotizzato. - Sono solo stanco, dice ad alta voce. La luce violetta ha la forza di un canto di sirene, lui si sforza di ignorarla. afsggklegldnfpogkgòsoznefgh - Ma che diavolo scrivo! DELETE Silver Union con una luce folle negli occhi - No, non va bene. DELETE Corre verso lo stanzino, spalanca la porta, tutto è come prima. La luce più intensa. Sbatte la porta, ansimando corre alla scrivania. Silver si bagna il viso e il seno inesistente con l'acqua ed inizia una danza sensuale muovendosi verso l'unicorno. - No, No,No!! DELETE Silver cerca disperata le sue gallerie DELETE La luce violetta è diventata più cupa, più densa. Andrea è sfinito con gambe tremanti si avvicina alla porta. Serra gli occhi e si addentra nella radura. Nella stanza di Jane il cursore lampeggia ostinato. Nella radura la donna e l'unicorno sono carezzati da una lieve brezza. The End |
Fuori la pioggia lava le strade e le persone. Nella stanza si ode soltanto il ticchettio della tastiera. Silver Unicorn cammina rasente il muro della galleria con passo spedito. Conosce meglio delle sue tasche le viscere della Grande Mela: tutte le gallerie secondarie, ormai in disuso da anni, in cui si aggirano le talpe. Sono avvolte in numerosi strati di vestiti, moderne corazze contro la vita e i suoi tormenti. Fa caldo là sotto, tutto trema in continuazione e il rumore assorda. Rivoli d'acqua ruscellano ovunque. Silver si insinua in stretti passaggi, tra muri squarciati. Non degna di uno sguardo chi incontra sul suo cammino. Anche i grossi ratti sembrano temerla. Un piccolo riparo fatto di cartoni delimita il suo regno. Nessuno viola mai il confine. A terra le sue poche cose: le bombolette spray, un quadernetto sdrucito e una piccola ciotola di peltro. Al riparo di un cartone vi è una porticina di legno scheggiato. Silver raccoglie la ciotola e apre, senza far rumore, l'annoso uscio. L'unicorno è là, sdraiato, al limite della radura. Sembra aspettarla. La luce ha un colore violaceo. Il mormorio di una piccola polla sorgiva è l'unico rumore. Silver riempie la ciotola d'acqua e la porge all'animale. Andrea, con un sobbalzo, esce dall'estasi creativa. Qualcosa è cambiato nella stanza. Fuori ha smesso di piovere, ma non è quello. Vi è uno strano riverbero violaceo. Proviene dallo stanzino. In due passi raggiunge la porta e l'apre di scatto. Jane è accovacciata vicino ad una polla, in una vuota radura. Continua |
Capelli corti sparati alle stelle con il gel, jeans a brandelli su anfibi paramilitari, una canotta striminzita a coprire un seno inesistente. La bomboletta spray è un'estensione della sua mano e con un unico movimento fluido impregna il muro annerito della galleria della linea Lenox-Staten Island. Ad intervalli regolari si accovaccia in una nicchia antincendio e lascia sfrecciare il treno. Lo spostamento d'aria la fa tremare ogni volta, poi riprende la sua opera silenziosa. Gli occhi socchiusi, persa in se stessa, in un mondo fatto di solo colori. La trance dura per ore, tra un passaggio e l'altro dei convogli. Finalmente l'ultima bomboletta, quella che non ha ancora usato: l'argento. La sua firma: un unicorno sdraiato. Lei è Silver Unicorn. Andrea smette di scrivere, appoggia la schiena e si rilassa. Sembra soddisfatto. Nell'aria del misero appartamentino di Jane un odore pungente da far lacrimare gli occhi. Andrea fa ruotare lentamente la sedia. In quell'istante Jane lascia cadere la bomboletta spray ai suoi piedi, ha un'aria trasognata. Sul muro verdognolo di fronte a lei un unicorno argentato la fissa con sguardo mansueto. Andrea sorride beato e ricomincia a scrivere. Continua |
Si butta sul divano malandato e piomba in un sonno inquieto. Passano lenti i minuti. La luce azzurrina del monitor proietta un'ombra sulla donna. Una figura maschile si accovaccia ai piedi del divano e fissa, con occhi ombrosi, il volto contratto di Jane. - Chi sei? - Ma come non mi riconosci? Sono Andrea. - Sto sognando. - La vida es sueño. - Conosci Calderon? - Si certo. Che ti credevi? - Che diavolo ci fai qui? - Niente, ti osservo. E mi chiedevo perchè in questi lunghi anni mi hai sempre affidato la parte dell'angelo. Hai solo cambiato i nomi: Sean, Erik, Frank e le ambientazioni: New York, il Kansas, Seattle. Ero sempre io. Sono stanco di essere un angelo. Mi annoio. - Non posso cambiare. Come farei senza questo lavoro? - Vorrà dire che ci penso io. Da questo momento sono l'Autore. Si solleva da terra e si sistema davanti al computer. Un colpo deciso su DELETE e la pagina di word torna immacolata. Comincia a scrivere in maniera forsennata. - No! Cos'hai fatto! - Vedrai, la tua vita sta per cambiare. Continua |
- Glieli taglierei con un rasoio da barbiere quegli occhi diffidenti!!! L’urlo disperato echeggia nella stanza illuminata dal riverbero azzurrino del monitor del pc. Con violenza la donna scaglia a terra il posacenere che si sbriciola, inondando il linoleum di ceramica e cenere. Si alza, incurante dei minuscoli tagli che si procura sulla pianta dei piedi nuda e ricomincia a percorrere, quattro passi in ogni direzione, la stanza. E’ inchiodata a quegli occhi ombrosi da dieci giorni. E venerdì deve consegnare il romanzo. E’ una ghost writer, scodella, uno al mese, romanzetti rosa per una nota collana: Love and passion. Lettore medio: casalinghe annoiate e anziane ricoverate in cronicari. Sono cinque anni che si rivolta in mezzo a situazioni sempre uguali. Un lui, una lei, l’altro, un imprevisto, il dramma, un po’ di sesso – ma senza scadere nella volgarità – e l’ immancabile lieto fine in cui tutti si amano. - Andrea perché hai quegli occhi cauti? Urla di nuovo rivolta alla pagina di Word. L’ha creato lei Andrea. Stavolta il direttore editoriale le aveva detto: - Jane, il prossimo lo voglio ambientato in Italia: magari una musicista, là sono tutti artisti vero? Ed ecco, prendere vita nei bytes di un hard disk: Sara, la sognatrice, Luca lo stronzo e Andrea l’angelo. E sugli occhi guardinghi si era accanita la maledizione degli scrittori: non riuscire nemmeno a scrivere una sillaba. Aveva pensato ad un'altra trama, ma i suoi personaggi non ne avevano voluto sapere di farsi cancellare. Si erano cristallizzati in quella posa: lei che suona rapita, lui commosso e l’altro a rodersi il fegato. - Che mi hai fatto Andrea? Singhiozza disperata. Continua IMG Deviantart |
CINQUE PEZZI FACILI
PRIMAVERA
Virginia Wolf