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QUATTRO RISCHI CAPITALI PER L'ITALIA: LA GUERRA, IL TTIP, IL MES, LE TRIVELLE

Post n°1304 pubblicato il 31 Marzo 2016 da r.capodimonte2009
 

Sono quattro i grandi rischi in cui il Governo Renzi, improvvido e inaffidabile, ha gettato l’Italia, e che in un prossimo futuro potrebbero innescare il default finale del nostro Paese.

Il primo è il frutto avvelenato di una stolida politica estera, sempre a cavallo del servaggio filo-americano, condito, di quando in quando, di rare prese di coscienza di orgoglio nazionale, molto simili alle “finte” diatribe con il Commissario dell’UE, Junker. Quel che sta accadendo, ad esempio, con la vicenda dei due marò, o quella, più recente, dell’assassinio di Giulio Regeni: un topo, Renzi, che “ruggisce” contro la Nato e la politica imperialista della Casa Bianca.

Se si conosce il significato della parola “quisling” (*), allora ieri è sbarcato al porto di Abusetta, in Libia, il “capo dello stato” scelto dal duo Nato-Onu, appunto, un “quisling”, cioè un “fantoccio politico” al servizio delle strategie altrui, Fayez Al Serraj, premier designato del “governo di unità nazionale”, giunto a Tripoli “dal mare”, scortato dalle navi da guerra europee. Una forzatura voluta da Washington, per preparare una guerra di plastica: ora “è urgente un pacifico e ordinato passaggio dei poteri”, ha detto l’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler, sottintendendo che adesso non ci sono più alibi, neppure per Roma, di scongiurare un intervento armato. Ma le premesse sembrano non esserci: più volte negli ultimi giorni le autorità  politiche di Tobruk, tanto più gli islamisti della stessa Isis, si sono dette contrarie ad ogni riconoscimento. Ancona una volta, le strategie militari vengono anteposte alla soluzione dei veri problemi legati all’immigrazione; la quale sta riprendendo quota, nello stretto di Sicilia, dopo la chiusura delle rotte balcaniche (e il blocco anglo-ispanico occidentale), a scapito del nostro Paese!

Il secondo e il terzo rischio sono relativi ad un altro servaggio, più desolante del primo, perché costruito attorno all’economia statunitense, che dal 2001 l’Europa si è impegnata a sostenere, con lacrime e sangue, grazie alla creazione dell’euro, e alla interdipendenza dall’immane indebitamento Usa della maggior parte delle altre economie mondiali, compresa quella cinese, che se n’è assunta il compito di “forziere”. Ora questo vero e proprio “assaggio globalista”, che prevede la schiavitù dei popoli e dei loro diritti al lavoro, al cibo e alla felicità, si sta mostrando in tutte le sue terrificanti conseguenze: con la firma del TTIP, l’accordo commerciale di tipo “leonino”, cioè più sfavorevole ad uno dei firmatari che all’altro, che eliminerà praticamente ogni difesa doganale verso le merci americane, soprattutto quelle destinate all’alimentazione umana, e che, notoriamente, sono trattate con innesti chimici e mutageni dannosissimi per la salute. Nessuno praticamente, in nome della solita democrazia”, è riuscito finora a rompere il segreto di questo “patto satanico”, se non aver captato che non sarà permessa alcuna contestazione di carattere merceologico, su tali derrate da parte europea, che sotto giudizio delle stesse autorità americane: in nome della nuova teoria “pan-giustizialista” inaugurata da Obama, e che vede la giustizia americana uscire dai propri confini ed intromettersi, dal punto di vista formale e sostanziale, con quella delle singole nazioni o dei singoli enti internazionali. Immaginarsi la fine che sarà destinata alle derrate qualitative e salutistiche del made in Italy, ai prodotti genuini e di alta qualità, agli stessi allevamenti e all’industria alimentare, invasa da OGM, estrogeni, disinfestanti cancerogeni e sostante anabolizzanti! Non contenti di questo, e spinti più che altro, dai motivati scrolloni finanziari dell’economia cinese, che si sta liberando di gran parte dei suoi depositi in dollari, determinando una paurosa discesa del valore cartaceo di questa moneta “fasulla”, per riassumere le antiche connotazioni di concorrente spietata delle economie mondiali, gli Usa stanno spingendo l’Europa a concedere a Pechino lo “status di economia di mercato(Market Economy Status), una ipotesi che farebbe cadere automaticamente tutti gli strumenti di difesa che l’UE oggi utilizza per contrastare il sistema concorrenziale selvaggio dei cinesi.. Mentre le imprese europee devono rispettare rigidissimi protocolli e vincoli, quelle cinesi sono dopate grazie agli aiuti di Stato, i costi dell'energia bassissimi e lo sfruttamento della manodopera, anche quella minorile. Se la Cina sarà riconosciuta come economia di mercato, verranno meno le difese anti-dumping. Le imprese europee perderanno 3 milioni di posti di lavoro, 500.000 nel nostro Paese.

Lo scorso 15 febbraio migliaia di imprenditori e lavoratori sono scesi in piazza a Bruxelles per dire no a questa eventualità. La Commissione europea ha risposto aprendo una consultazione pubblica sul tema, ma è un imbroglio: non è preclusa ai cinesi, non è multilingue, non c’è la domanda fondamentale (volete voi che alla Cina venga riconosciuto lo status di economia di mercato?), insomma il solito imbroglio alla “TTIP”! Comunque, entro l’11 dicembre 2016 la Commissione europea dovrà decidere sul MES. Il Movimento 5 Stelle ha riunito attorno allo stesso tavolo 69 parlamentari europei che hanno aderito all’Intergruppo Mes Cina. Prima iniziativa di questo gruppo è stato il lancio di un sito web: www.meschinawhynot.eu, una contro-consultazione democratica e imparziale, per bloccare quest’altra mina vagante nel futuro del Vecchio Continente.

Conosciamo la vera faccia delle “finte” proteste da parte delle varie “confindustrie” europee, a cominciare dalla nostra, e sappiamo dove alla fine il Governo dei “traditori” farà pendere il piatto della bilancia: mentre la Russia se la ride, in quanto da anni ha regolato ogni rapporto commerciale con la Cina, stabilendo “quote fisse all’importazione”, noi siamo sotto “attacco globale”, perché Obama vuole che facciamo la stessa fine del suo Paese intossicato dai prodotti cinesi!

Ultimo rischio, ma per questo, non meno grave, è quello ambientale, che il referendum “sulle trivelle” tenterà di arginare. La domanda è: perché un Governo deve appoggiare lo sfruttamento di impianti petroliferi “senza alcun limite”, consapevole dei danni ambientali sui suoi mari,  dello scarsissimo impatto economico di queste estrazioni, e, soprattutto, in presenza di un calo significativo dei prezzi petroliferi? Cosa lo spinge a tifare per il fallimento del referendum, quando l’inezia del consumo nazionale di questi impianti (9,9% del totale!), e i loro costi terrificanti li hanno drasticamente ridotti da 80 nel 1991 a 18 nel 2014? E perché questo tipo di Governo, che predica per la realizzazione dei vari “Kyoto”, poi blocca gli investimenti sulle energie rinnovabili, consegnandosi mani e piedi ai petrolieri?

Andiamo per ordine.

VANTAGGI PER LE SOCIETA’ PETROLIFERE

In Italia, verso i petrolieri ci sono sempre stati, da che mondo e mondo, attenzioni politiche particolari: fin dai tempi di Enrico Mattei, che impregnò con la sua personalità la vita politica del Paese, fino ad oggi quando, per estrarre petrolio dai nostri siti, si pagano allo Stato royalties ridicole: sul valore del prodotto estratto, gas il 10%, petrolio, il 7, contro il 50 e 10 della Croazia, il 25 della Guinea, l’80% della Norvegia e della Russia! A questi dati si affiancano le “franchigie” al di sotto delle 20.000 tonnellate (in terra) e 50.000 tonnellate (in mare), ma con opportune detrazioni, ad esempio, di 40 € a tonnellata entro le 40.000 tonnellate. In questo modo riescono a campare anche piccoli impianti, che lavorano pressocchè gratis, ma l’Italia perde in media (rispetto alla Croazia) 1,5 miliardi all’anno! In questo modo, la Basilicata, la regione con la più alta concentrazione di giacimenti, si ritrova ad “incassare” l’inezia di 142 milioni, le altre, solo bazzecole, fino alle Marche (64.000 €!) e la Lombardia (0 €!).

SVANTAGGI PER L’ECONOMIA ITALIANA

Negli ultimi 15 anni, facciano l’esempio della Basilicata perché è macroscopico, la Regione ha incassato dai petrolieri, 1,3 miliardi. Con questi la regione avrebbe dovuto lasciare le sue condizioni di “cenerentola” e assurgere, come minimo, alle intese che la Sinistra, da sempre padrona politica dei territori, aveva garantito: dalla piena occupazione , ad un reddito minimo per i disoccupati, allo sviluppo dell’università, con la nascita del Centro Studi Oli, in collaborazione con ENI. Al contrario, da queste premesse è scaturita la maxi-inchiesta penale che ha visto coinvolti 37 personaggi, tra tecnici e politici, per traffico illecito di rifiuti, disastro ambientale, interesse privato, corruzione; seguita da vari interventi della Corte dei Conti, che ha messo in evidenza sperperi pubblici da capogiro. Cioè tutti i soldi delle royalties, e non solo, sono spariti, e i giovani lucani emigrano. D’altra parte secondo la Federpetroli,  se le perforazioni raddoppiassero, si avrebbero in più 25.000 posti di lavoro: altri 50 pozzi in Adriatico, e l’Italia produrrebbe il 47% del fabbisogno! Da Harvard gli rispondono (il prof. Maugeri, ex-manager Eni), che neppure l’Arabia Saudita è riuscita ad impiegare tante maestranze, con la capacità produttiva che sappiamo! In quanto ai 50 pozzi nel Mare Adriatico, significherebbe trasformarlo in una palude salmastra!

GRAVI PERICOLI PER L’AMBIENTE

I giacimenti italiani sono tutti a grandi profondità e ricchi di zolfo: si va dai 1.500 ai 4.000 metri, e le tecniche di trivellazione sono basate sul fracking o fratturazione idraulica, con proiettili detonanti a carica cava; i quali possono influire indirettamente sulle crepe tettoniche di superficie e determinare anche terremoti. Lo zolfo va decantato sulla stessa piattaforma, utilizzando una desolforazione invasiva, a base di acqua, che, in parte, va dispersa (come nel caso dei gassificatori) I fanghi di risulta altamente corrosivi, vanno immessi in depositi destinati alle discariche, ma disperdono nell’acqua e nell’aria, in queste fasi di trasporto, sostanze altamente nocive e cancerogene. L’inquinamento dei mari avviene anche per il fatto che, al momento del cambio o manutenzione delle pompe di aspirazione, il condotto va riempito di fanghiglie chimiche ad alta resistenza (MUD), per impedire che la pressione sotterranea si scarichi all’esterno, che, poi, si disperdono in mare, una volta reinserito il pompaggio. Questi sversamenti vanno ad intossicare i molluschi eduli, ma anche i pesci. Per quanto riguarda, invece, l’impatto sonoro, le mine causano, oltre i rischi di cui sopra, anche lo stordimento dei grandi cetacei, con il loro conseguente spiaggiamento. Il tutto si aggrava in presenza di un mare chiuso. Se poi si passa al tema dei rischi di incidenti che tali procedure possono causare, è inutile dire che si tratta di disastri inconcepibili, già vissuti; per non parlare dell’impatto sul turismo, che viene spazzato via da una prolungata attività di questi impianti.

Concludendo, il nostro Governo non solo si inchina pedissequamente ai desiderata dell’alleato strategico più predatorio che esiste, ma rende favori estremamente golosi ai petrolieri, i quali, non contenti di papparsi già utili da capogiro sul commercio dei prodotti petroliferi, a discapito degli automobilisti, ricevono privilegi e denaro, probabilmente in cambio di favori che apportano a fondazioni e partiti congeniali.

Sarebbe arrivato il momento che la gente, anche la più solidale a costoro, si strappasse le fette di prosciutto dagli occhi, e cominciasse a guardare in faccia alla realtà! (R.S.)

(*) Il sostantivo fa riferimento al primo ministro norvegese V.Quisiling che, durante l’occupazione nazista, guidò un governo fantoccio collaborazionista dei tedeschi.

(*) Il sostantivo fa riferimento al primo ministro norvegese V.Quisiling che, durante l’occupazione nazista, guidò un governo fantoccio collaborazionista dei tedeschi.

 
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