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Il comunista, "rivoluzionario mancato"

Post n°1468 pubblicato il 28 Novembre 2016 da r.capodimonte2009
 

Che sia stato un uomo senza pietà, un dittatore a tutti gli effetti, un uomo che ha voluto rappresentare un’ideologia totalitaria che pure cozzava con i suoi ideali rivoluzionari, non c’è alcun dubbio; e chi lo difende, da questo punto di vista, lo fa perché si illude di poter assolvere in qualche modo il comunismo, come i nord-coreani, ormai loro tragica pantomima, o i cinesi, che furbescamente il comunismo l’hanno mistificato nel peggior capitalismo; o alcuni presidenti “bolivariani” del Sud America, che hanno tentato di imitarlo, ma non erano rivoluzionari, ma burocrati. Chi lo condanna troppo frettolosamente (esclusi naturalmente gli esuli cubani, che ne hanno assaggiato le ferocia), riducendo la sua storia solo e soltanto a mera crudeltà, proprio dalla storia non hanno imparato nulla, e continuano a sbugiardarla, perché Fidel Castro è stato, volenti o nolenti, un frutto drammatico del Dopoguerra, e dell’imperialismo che da allora gli Stati Uniti hanno rappresentato, per il mondo, mistificando la democrazia con le peggiori performance di potere, da quello militare, a quello finanziario.

E Castro non è altro che una delle spore emerse da un conflitto tutto “imperiale” tra l’Unione Sovietica e gli Usa, che stava disgregando giustizia sociale e libertà, indipendenza e monete, riducendo i popoli alla schiavitù, dopo aver combattuto duramente le dittature fasciste, che, secondo loro, ne erano le promotrici! Appena pochi anni dopo la fine della guerra, e l’appropriazione indebita dell’ordigno nucleare da parte americana (seguito, di lì a poco da quella russa), già in Corea ci si misurava, lacrime e sangue, per il dominio del mondo, in nome di ideologie, di diritto, agli antipodi, ma di fatto, impegnate entrambe a sottomettere i popoli.

Nell’insignificante isola di Cuba, strappata con una guerra già imperialista, assieme alle Filippine, alla decadente dominazione spagnola, gli americani esportarono subito il loro modello di vita, fatto di libertà, s’intende, nella stampa, nella politica, nel lavoro, ma anche di rattrappimento delle stesse, da parte delle lobby affaristiche e criminali, gestenti l’alta finanza, il gioco d’azzardo, droga e prostituzione, tutti figli e figliastri della democrazia massonica di Washington, che a suo tempo aveva abiurato al modello democratico che si era scelto l’Europa. Questa vera e propria plaga, tra libertà e abominio, invase Cuba, la colonia che la Florida si era praticamente annessa, umiliando un popolo che, dopo la cupa parentesi spagnola, era stato illuso dai nuovi conquistatori.

La rivoluzione di Castro non fu comunista, tutt’altro, al punto da attirare su di sé un campionario di sponsor che oggi definiremmo “progressisti”, dagli attori di Hollywood, agli studenti delle Università, fino alle Chiese, da quella cattolica a quelle evangeliche meno conservatrici: ma fu come se un gigantesco tsunami si sollevasse su un mare calmo di bigottismo, militarismo ed economicismo reazionari, ormai piegati dal dollaro, da pochi anni instauratosi, con prepotenza, a dominare tutte le altre valute mondiali (dopo che gli Usa si erano spesi a depredare le riserve auree degli sconfitti, ricambiandole con il “Piano Marshall”), e con Francia e Inghilterra ancora troppo indebolite per poter reagire, convinte che la Russia fosse ormai il vero, nuovo nemico da temere.

E nacque così l’effetto calamita: i comunisti, maestri dell’opportunismo, nel momento stesso in cui Eisenhower, fanatico testimone di Geova, poi presbiteriano, quindi accecato dall’odio contro ogni concetto rivoluzionario, si dichiarò contro la cacciata di Fulgenzio Batista, che era una creatura dell’establishment americano, fedele custode dei capitali miliardari trasferiti sull’isola dai grandi evasori e dalla malavita organizzata, si presentarono al giovane Fidel, porgendogli non solo aiuti militari, ma soprattutto l’avallo dell’ideologia più odiata dagli Usa. Castro, non fu mai come il suo braccio destro, il Che. Costui, non a caso abbandonò Cuba dopo essere stato forse il vero protagonista militare della rivoluzione: Castro fu lentamente inghiottito da sovietismo, che stava lottando, allora contro la rivoluzione cinese di Mao, e quindi contro un modello comunista ultra popolare e populista, specie dopo che il braccio di ferro con Kennedy aveva dimostrato che Krushev aveva a cuore Cuba solo dal punto di vista strategico. Il grande, fatale errore di Fidel fu di non abbandonare la Russia, al momento più opportuno, quando era stato abbandonato dall’alleato, e di agganciarsi al maoismo, o ad altri modelli socialisti alternativi, che Guevara gli andava prospettando, come quello dell’autogestione jugoslava.

Ormai il potere lo aveva ubriacato, e il Che lo comprese, dopo che per anni, da puro trotzkjsta, aveva tentato di esportare la rivoluzione in mezzo mondo, anche con l’impegno personale, ed essersi attirato un odio inveterato della Cia, che alla fine lo uccise a tradimento. Castro, invece, non fu mai a rischio: il suo “comunismo”, agganciato a cinquant’anni di sanzioni che mettevano a dormire gli incubi del progressismo mondiale (a cui basta poco per passare dalla difesa dei più deboli alla crudeltà dei più forti!), ad uno status quo territoriale che lasciava intatta la vergogna di Guantanamo, ad un “internamento di fatto” degli esuli cubani da parte americana (dopo il fallimento della Baia dei Porci!), e ad una “benevolenza” costante da parte europea, anche cattolica, divenne, prima, giustificabile, poi accettabile.

E mentre Guevara moriva, dimostrando che il vero comunismo, anche a Cuba, era diventato cieca burocrazia di partito, e che non era il modello adatto per sollevare il mondo contro il globalismo delle caste, Fidel Castro restava più che altro l’emblema della resistenza agli Usa, cioè ad un modello di democrazia tutt’altro che esportabile, a cui la dittatura cubana si era adeguata, accettandone il dominio, più che ribellandovisi!

E questo bisogna almeno riconoscerglielo, oggi, alla sua morte, dopo che, facendo finta di esaltarlo, siamo stati trascinati, perfino noi europei, nelle mascelle voraci dello Zio Sam, dimenticando che il nemico più tremendo cui ci troviamo di fronte non è più il comunismo, ma il neo-liberismo massonico e lobbistico, che ha trasformato l’uomo in mercanzia. E questo proprio contro le peggiori premonizioni di Karl Marx. (R.S.)

 

 
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