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attualità, politica, cultura

 

 
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La vera storia di come il catto-socialismo intende l'economia

Post n°1550 pubblicato il 05 Aprile 2017 da r.capodimonte2009
 

La maggior parte della gente, ma soprattutto dei piccoli e medi imprenditori, anche quelli che, ad ogni gara d’appalto a cui decidono di partecipare, sono certi poi di doversi accontentare dei sub-appalti-trappola, e parliamo qui di persone “oneste”, ovviamente (ma ce ne sono sempre meno, ma non perché lo si è di natura, corrotti o corruttibili, ma per necessità vitale!), ignora  concretamente quale sia il meccanismo “politico-finanziario” che la sinistra, in genere, in particolare DC e PCI, fondarono dal Dopoguerra in poi, spartendosi il potere economico del Paese, in tre grandi livelli: A) le Cooperative bianche e rosse; B) la grande imprenditoria; C) la piccola e media imprenditoria. Logicamente la vera emanazione politica divenne il punto A), perché si resuscitò un settore, inventato dal fascismo, per facilitare proprio la piccola e piccolissima imprenditoria, con regole aperte anche all’aiuto di Stato, per trasformare lavoratori anche disoccupati, o giovani in cerca di affermazione sociale, in imprese. Questo, stabilendo innanzi tutto una regola ferrea: quella di non trasformare mai il socio-cooperatore in dipendente, e di non allargare mai, perciò, il giro del capitale dell’impresa, da partecipativo a cumulativo, e quindi, speculativo.

PCI e DC, con la scusa di cancellare ogni residua regola, soprattutto valida, dell’organizzazione fascista, ribaltarono le regole; non solo, crearono tutta una serie di leggi e leggine che prevedevano grandi aiuti di Stato alle cooperative, ma soprattutto, e questo fu il grande dono che il legislatore “anti-fascista” fece ai corrotti “democratici”, determinarono il non-obbligo di rendere pubblici i bilanci di queste strutture, e di non farle fallire, con le stesse regole di tutte le altre imprese, ma semplicemente di “metterle sotto tutela liquidatoria”. Insomma una vera e propria “anarchia sociale, contabile e finanziaria”, che ci ha portato, alla situazione attuale.

Immediatamente dopo che la politica si fu ricoperta anche imprenditorialmente, con questi colpi di mano, la grande industria privata pretese anch’essa le sue brave leggi che aprissero il vaso di pandora dell’assistenza pubblica, visto che il comparto “pubblico” era già sostenuto con il denaro dei cittadini, e arrivarono i vasti privilegi della Cassa del Mezzogiorno, i contributi a fondo perduto che per cinquant’anni il Commercio Estero , l’ICE, e la sua pupilla assicurativa, la SACE, distribuirono a pioggia “esclusivamente” in cambio di mediazioni partitiche, e un’altra serie di leggi e leggine per agevolare il meno possibile gli investimenti delle grandi imprese, in modo che i loro profitti finissero all’estero, e non nel circuito sociale ed economico.

Avrete già capito che il settore C) restò con il cerino in mano, a parte la Legge Sabatini (per i prestiti su tecnologie) e altre minuzie, che però venivano brutalmente annullate dall’incremento del cuneo-fiscale, e dalla progressiva occupazione monopolistica del mercato da parte di A) e B).

Saltiamo a man bassa Tangentopoli, dove questo meccanismo criminale spuntò fuori come funghi velenosi, ma si preferì colpire, da parte dei magistrati “politici”, alcuni “capri espiatori” scelti a caso e sacrificabili, beccati tra i privati (Gardini) o i pubblici (Calabria), seguiti da presso da Tanzi e da Cragnotti, ma si lasciò nel limbo i potentati, come le grandi aziende del Norditalia, la Fiat o la Pirelli, i grandi “commis” pubblici, ripieni di corruzione, come la Stet o le FF.SS.; ma soprattutto le due Leghe Coop, quella bianca e quella rossa, che si stavano ingrassando, costituendosi in mega-imprese, e dotandosi, ognuna, di società finanziarie, simili a veri istituti di credito, in grado di gestire non solo la liquidità resa loro dallo Stato, ma anche quella dei soci. Quest’ultima, al pari di quella depositata nelle banche ordinarie, scomparsa dalla faccia della terra (dispersa in investimenti sbagliati, in corruttele, in finanziamenti ai partiti e ai sindacati, in mala gestione). Ovviamente nulla avevano più di “società cooperative”, in quanto i soci altro non erano diventati che altre società “cooperative”, a loro volta partecipate ad altre, con decine di migliaia di lavoratori dipendenti, per lo più pagati con sistemi illegali. In questo modo, e con “grande maestria criminale” si perdeva di vista l’originale fondazione, e si immetteva il “moloch” sul mercato libero, con gli stessi privilegi, però, che possedeva all’inizio, e quindi creando posizioni di monopolio, ad esempio nelle gare d’appalto: il tutto finanziato da strutture “fasulle”, ripetiamo, simili a banche, ma decisamente vietate dalla legge bancaria, che riciclavano carta straccia, buoni-merce o titoli di debito, al posto dei capitali liquidi un tempo posseduti, come la Fincooper.

La catastrofe cominciò quando, passate indenni da Tangentopoli, nel 2007-8 arrivò la grande crisi, e lo Stato dovette scegliere tra il salvare le banche o le cooperative, entrambe con i bilanci falsi e con baratri di liquidità. Quello che oggi lascia tutti basiti, ma chiedere a chi “osannò” il “berlusconismo e il finismo” se si accorse del “misfatto” è una pura opzione, è che vent’anni di governi di centro-destra, non solo evitarono di mettere all’angolo le cooperative, che pure rappresentavano un “modello tossico” di concorrenza sleale con l’impresa privata, ma scelsero il compromesso. Berlusconi e Fini “negoziarono” l’opposizione tiepida del PCI (poi PDS-DS e PD), lasciando in pace la Lega Coop, ma in cambio profusero altri migliaia di miliardi alla grande industria privata, lasciando da parte, ancora una volta, la pmi, che pure correva ad “adorarli”, sperando nel “cambiamento”. Nel frattempo, istituti di credito, come il MPS, o Unicredit, dopo aver inglobato i grandi debiti delle Leghe, crollavano in default, trascinati dal “fallimento” di interi comparti cooperativi.

Così si concluse un nuovo patto, tra “galantuomini”, il “Nazareno”, che tutti sono convinti fosse un accordo politico: in realtà fu un accordo economico, che stabiliva, segretamente, che le aziende di Berlusconi sarebbero state salvate, esattamente come le grandi cooperative (sempre divise in bianche e rosse, anzi in bianco-rosse e rosse), cui sarebbero stati affidati, senza intoppi, le principali gare d’appalto italiane, tipo quelle Consip, la Tav, il Mose, l’Expo, ecc. Firmatario del patto, l’ex-deus ex-machina di Lega Coop, Giuliano Poletti!

Ma poi qualcosa andò storto: non certo l’elezione di Mattarella (che conta come il due a briscola!), ma piuttosto che le banche che dovevano reggere l’impero di Arcore, come MPS, dissero di no (per costrizione), e l’ex-cavaliere fu costretto a vendere, una dopo l’altra, le sue “scartine” ridotte tali, dall’esproprio dei profitti (finiti all’estero nei paradisi fiscali!), come Mediaset, ai francesi, e il Milan, ai cinesi.

Da qui, ad arrivare al più grande scandalo della storia, quello della CONSIP, la strada è breve...  (ITALIADOC)

FINE PRIMA PUNTATA

 

 

 
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