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Post N° 136

Post n°136 pubblicato il 14 Febbraio 2005 da john.keating
Foto di john.keating

Proviamo ad immaginare un mondo senza fantasia, senza immaginazione. Ci riusciremmo?
Un mondo privo di parole come forse, chissà, magari, tuttavia, nonostante, però
P
roviamo a immaginare un mondo privo di pensiero astratto. Un mondo privo di concetti, in cui le cose si dànno: semplicemente, nella loro materialità e del tutto scevre e al di qua di interpretazioni possibili.

La foto rappresenta la ricostruzione al computer del volto di un piccolo di Neanderthal, realizzata dagli scienziati dell’Università di Zurigo.
Non è poi molto diverso, all’apparenza, da un fanciullo odierno, da uno dei nostri ragazzi.
Può essere che gli scienziati abbiano esagerato nel dargli una espressione un po’ perplessa, ed un po’ triste, certo dolce: una dolcezza ed un senso dello stupore i quali assai probabilmente erano sentimenti che gli erano largamente sconosciuti, nel mondo duro e concreto, molto più che “primitivo”, dei Neanderthal.
Di certo, a conoscere quel ragazzo – a conoscerlo davvero intendo, se mai è esistito un giovane Neanderthal di quelle fattezze – si resterebbe molto delusi, e molto stupiti, soprattutto.
Sicuramente, non ci intenderemmo con lui, o con i suoi familiari. E non tanto per l’ovvio fatto delle incomprensibilità delle rispettive lingue, no: proprio per l’uso del linguaggio.
Non sapremmo intenderci, con lui, semplicemente.

Nondimeno, quell’immagine emana un fascino, una suggestione tutta particolare.
Ma andando oltre a questa suggestione, che ci riporta ad un mondo in fondo a noi sconosciuto, e riflettendo su ciò che ci separa da quel fanciullo, possiamo trovare motivi di suggestione anche più profonda, che va al di là della distanza temporale che ci separa da essi.
Una distanza di ordine ontologico, che al tempo stesso prescinde e prevede – strano paradosso – la distanza genetica tra noi Crô-Magnon e loro, esseri spariti senza lasciare traccia né eredità alcuna, traditi dalla loro perfezione adatta ad una sola condizione: quella dell’ambiente in cui vivevano. Cambiato il quale…

Una distanza ontologica scavata da una concezione del mondo – la nostra, che già usare il termine concezione per il mondo dei Neanderthal sarebbe fuorviante – del tutto inarrivabile per essi.
Perché a separarci dai Neanderthal è certo la distanza genetica, ma che porta a quella strana capacità tutta umana che si chiama fantasia. E all’invenzione del linguaggio come differenza (Dif-ferenza, per stare al lessico heideggeriano), in cui esso esprime non già le cose stesse – questo albero, quell’animale, la pioggia, il vento – ma il Significato che esse hanno, per noi prima di tutto.
Perché questo era il mondo dei Neanderthal: il mondo del qui ed ora, in cui le cose esistono, e poi non esistono più.

Per noi uomini, tutto ciò è straordinario e quasi inconcepibile. Come non capire che un insieme di alberi forma un bosco, e che un gregge non è che tante e tante pecore tutte insieme?
Eppure, occorre una sopraffina, straordinaria, spaventosa, inaudita e unica capacità di astrazione, per vedere al di là di ciò che gli occhi vedono, che le orecchie odono e il tatto rivela. La eccezionale capacità di vedere al di là di ciò che è. La capacità di vedere ciò che le parole creano, che il Linguaggio istituisce. Sta in questo, nient’altro che in questo, il nostro esser uomini, la nostra umanità.
Se mai vogliamo capire come sia il Linguaggio a creare le cose, un dialogo con un Neanderthal sarebbe una interessante esperienza. Perché tutto ciò che diremmo gli suonerebbe incomprensibile: esso indicherebbe la realtà, mentre noi creiamo significati, incessantemente. Ed il Significato è un qualcosa che andrebbe al di là della sua comprensione.

Proviamo ad immaginare un mondo privo di fantasia, di immaginazione.
Un mondo privo di aggettivi – senza immaginazione come si può discernere le qualità delle cose? Discernere la qualità dalla cosa che la porta, che la regge, che la espone, ma che riusciamo a concepire benissimo al di là della cosa stessa. Vista in questa luce, l’idea kantiana di una mitica “cosa in sé”, il noumeno nascosto e inarrivabile al Linguaggio, risulta in tutta la sua primitiva ingenuità.
Riusciamo noi a pensare un mondo di soli nomi concreti, in cui il linguaggio sia cosa tra cose, in cui non esista la Dif-ferenza tra le cose e il linguaggio che le carica di significati?
Un mondo privo di immagini, ché senza capacità di astrarre forme e colori dalla sostanza delle cose, nessuna raffigurazione è possibile? Sarebbe un mondo privo di rappresentazioni, privo di metafore, quindi privo di riflessioni.
Un mondo privo di pensiero astratto, è un mondo privo di significati. È un non-mondo. È puro ambiente, ed il mondo è un qualcosa di ben altrimenti complesso: è l’insieme delle cose e del significato che esse hanno. E il Linguaggio è questa Dif-ferenza.
Un mondo nell’Ombra; e i Neanderthal, i suoi abitanti, sono esseri dell’Ombra, non-uomini.

Eh sì, il Linguaggio illumina l’Ombra…

 
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