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Post n°161 pubblicato il 12 Settembre 2005 da john.keating
Ogniqualvolta sento dire - e lo sento dire sempre - che la filosofia non serve a nulla, ho una duplice reazione. Perché questo è l’atto pratico di cui consiste la metafisica: l'incapacità di riconoscere i suoi presupposti nelle convinzioni correnti; e massimamente, nella convinzione di vivere in una epoca antimetafisica per definizione, fondata com'è sugli indiscutibili successi della conoscenza scientifica - vero paradigma della conoscenza tout court. Una convinzione frutto di una dimenticanza: la differenza, la SACRA differenza, che corre tra l’ente e l’essere. L’idea che la scienza sia lo strumento per indagare le cose, perciò l’essere, è degna naturalmente di miglior studio, perché si fonda sul presupposto (metafisico) dell’entità del mondo. Indagare le cose significa conoscere la verità: ma solo a patto di considerare il mondo come un ente, oltre al quale nulla esiste, e nulla è possibile. Perché quel che resta da spiegare, in questa ottica, è ovviamente l’origine di tutte le cose. La nostra concezione del mondo è nichilista, perché abbiamo da molto tempo smarrito il senso delle cose. Che non è senso ultimo, ma senso altro. E ogniqualvolta chiediamo “il perché” di esse, o quale senso sia mai riposto nell’essere, nella Differenza che dovrebbe preservare le cose dal loro oblìo, chiedendo cioè una garanzia concreta, fattuale, pratica, ricadiamo nella logica materialistica, oggettivistica, nichilistica di cui avvertiamo i limiti. Ed ecco “l’invenzione” – o se preferiamo, l’istituzione, di un super-ente, origine e ragione di tutti gli enti. Un super-ente che possiede tutte le qualità degli enti, e che è, nella sua essenza, interrogabile e conoscibile. Corredato di una “scienza” – la teologia – atta alla conoscenza di Dio: una conoscenza che segue la via logica della scienza, la quale prima istituisce il suo oggetto, e poi dichiara i suoi enunciati su di esso oggettivi, dunque veri. Come qualcuno che si richiuda in una casa, muri porte e finestre, e poi dichiari che la luce non esiste perché oggettivamente di luce non c’è traccia. Ma l’angoscia verso la mancanza di senso del tutto, cacciata dalla porta rientra dalla finestra. Perché questo Dio-ente, questo Dio-cosa non ha, non può avere nulla di “divino”: limitandosi al ruolo di garante delle cose, esso è la definitiva certificazione della sparizione della sacra, divina differenza tra essere ed ente. Ed è per questo che parlar dell’essere, è come parlar di nulla, risulta alle nostre orecchie vuota chiacchiera, fumisteria, vaghezza linguistica. E quel che resta, è l’infelicità dell’Occidente, la Terra della Sera, all’estremo declinare del Sole. Lotus, “Air and Angels” (Lotus, 1999)
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