Hillary Clinton
Per Hillary Clinton combattere per portare avanti la causa delle donne è strettamente legato alla lotta per la democrazia, come lei stessa ha affermato. Perché secondo il nuovo Segretario di Stato degli Usa, braccio destro di Barack Obama nella politica estera, non ci può essere vera democrazia finché le voci delle donne non verranno ascoltate. Impegno, determinazione e coinvolgimento sono le tre parole d'ordine del passato politico di questa donna d’acciaio. Un matrimonio, quello con la politica, iniziato tra i banchi di scuola. Fin da ragazza infatti, Hillary si è distinta non solo nelle competizioni sportive, ma ha ricoperto anche il ruolo di presidente di classe, membro del consiglio degli studenti e membro della National Honor Society. Negli anni '60 ha iniziato a lavorare come volontaria per un candidato repubblicano nella campagna presidenziale. Ma dopo aver seguito il programma "Wellesley in Washington", toccata profondamente dalla morte di Martin Luther King, ha scelto un orientamento molto più liberale, passando nelle file del partito democratico. Mamma di Chelsea, negli anni Ottanta, compare sempre più decisa al fianco del marito, diventando per tutti la signora Clinton e spalancando le porte alla sua corsa verso la Casa Bianca, dove ha combattuto come una leonessa contro un avversario imprendibile, Barack Obama.
La testimonianza: Benazir Bhutto
Figlia d'arte, con un nonno protagonista indiscusso del movimento indipendentista pakistano, Benazir Bhutto è stata primo ministro del suo paese dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996. Statista carismatica e intellettuale di grande spessore, ha conseguito la laurea in scienze politiche nell'università di Harvard. Ha deciso quindi di approfondire la sua formazione politica, filosofica ed economica ad Oxford. Una volta tornata in Pakistan, ha seguito suo padre, fino alla deposizione e all'uccisione di questo per volere del dittatore. Nel 1984 va nel Regno Unito e durante l'esilio europeo si afferma leader del Partito del Popolo Pakistano, accogliendo l'eredità del padre. La sua compagine politica ottiene la maggioranza in parlamento 4 anni dopo. È la consacrazione, l'apice della carriera. Benazir Bhutto è la persona più giovane nonché la prima donna a diventare primo ministro in un paese musulmano. Una posizione di prestigio e scomoda allo stesso tempo. Ma lei è forte e di fronte a mille difficoltà, resiste. Milita nell'opposizione, non si stanca di testimoniare il suo rifiuto per la dittatura e per i talebani, dall'esilio sostiene il partito popolare. Poi la decisione di rientrare in patria per dare credibilità, sostanza e forza alla sua testimonianza. Il rientro in Pakistan però, nel dicembre del 2007, le costa la vita, muore infatti in un attentato il 27 dicembre, durante un comizio pubblico.
La resistenza: Miriam Mafai
Figlia non tanto d'arte quanto dell'arte, con un padre pittore e una mamma pittrice e scultrice, Miriam Mafai decide di dedicare la sua vita al giornalismo. Tutti oggi la stimano come scrittrice ed editorialista. Tra i fondatori di Repubblica ha saputo far convergere l'amore per la cronaca e l'osservazione critica della realtà, con la passione politica. Miriam Mafai ha sempre vissuto in prima linea. Nata nel 1926 a Firenze, ha aderito fin da giovanissima, sui banchi del liceo, al partito comunista, ritagliandosi un posto d'onore nella resistenza antifascista. Il partito l'ha voluta come funzionario per 12 anni, dal 1994 al 1956. In seguito ha lavorato per l'Unità, ha diretto Noi Donne ed è stata inviata speciale per Paese Sera. Eletta parlamentare nelle file del PdS, non ha mai smesso di scuotere gli animi con i suoi saggi politici, raccontando la vita quotidiana delle donne della sua epoca, riflettendo sulle vicende del partito comunista. Dai suoi scritti trasmette una sensibilità profonda per l'universo femminile e una chiara dedizione al bene comune, imprimendosi nelle coscienze di tutti come esempio di tenacia e brillante intelligenza
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Donne vittime di violenze: stalking e legge antistupri
Marzo 2009 – Pene più severe per chi molesta e minaccia ripetutamente una persona. È la risposta che le istituzioni hanno dato ai nuovi casi di violenza e maltrattamenti contro le donne, promulgando il decreto legge antistupri numero 11 del 23 febbraio 2009. Nel codice penale e nell’ordinamento giudiziario è stato così inserito il reato di stalking da tempo nell’agenda del Ministro delle pari opportunità. Oltre ai violentatori, salgono sul banco d’accusa i maniaci, coloro che molestano e minacciano ripetutamente gli altri anche senza fare violenza fisica, ma scatenando nella vittima un senso di ansia e paura. Per i cosiddetti stalker è prevista una pena che varia da sei mesi a quattro anni ma se il molestatore è l’ex partner o marito, allora la pena aumenta.
Purtroppo non è sempre facile reagire. Il primo passo che le vittime possono compiere per contrastare molestie e minacce è rivolgersi direttamente al questore che invia un ammonimento a chi le perseguita. Se però la violenza è già stata subita, ci sono altri tipi di sostegni per le vittime. A livello nazionale è attivo il numero 1522 Antiviolenza Donna dedicato al supporto, alla protezione e all’assistenza delle persone che hanno subito maltrattamenti e violenze. Il servizio è gestito esclusivamente da donne, funziona 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. Antiviolenza donna è anche multilingue, risponde in italiano, inglese, francese, spagnolo, russo; è gratuito e anonimo per chi chiama dall'Italia.
Nel corso degli anni, a spezzare la catena del silenzio sono state tante associazioni e istituzioni a disposizione delle donne. Come il Telefono Rosa che dal 1988 offre un sostegno, anche legale, a tutte coloro che subiscono una violenza. Le operatrici rispondono al numero 06 37 51 82 61, dal lunedì al venerdì, dalle ore 10 alle 13 e dalle 16 alle 19. Ascoltano le donne in difficoltà e consigliano a ciascuna la consulenza più adatta per risolvere il problema.
Le operatrici sono disponibili e comprensive di fronte alla difficoltà di reagire. Spesso infatti il carnefice è il partner e di lui, nonostante tutto, si può essere ancora innamorate. Capita che la vittima creda ancora di cambiarlo, o peggio ancora si blocchi, vinta dall’idea che non ci sia più rimedio alla violenza. Invece reagire, denunciare, informarsi sui rimedi possibili o anche solo parlare con qualcuno all’altro capo del telefono è utile per se stesse e per la propria vita: quindi è importante alzare la cornetta, parlarne anche in anonimato e convincersi che nessun maltrattamento si merita, la violenza si subisce solamente.
Perché la violenza purtroppo è ancora molto diffusa. Gli ultimi dati disponibili, resi noti dall’Istat relativi all’anno 2006 dicono infatti che nel nostro paese sono più di 6 milioni le donne tra i 16 e i 70 che sono state vittime di una violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. Nella quasi totalità dei casi, i maltrattamenti, consumati tra le mura domestiche, non sono stati denunciati.
L’indagine multiscopo sul territorio italiano ha consentito ai ricercatori di tracciare anche un identikit delle vittime e dei carnefici. Nel 2006 sono state le giovani dai 16 ai 25 anni, il 24,2% del totale delle donne intervistate, a presentare i più alti tassi di violenza. 96 volte su 100 però, non c’è stata alcuna denuncia. Il carnefice spesso è il partner, o un membro della famiglia, il padre, lo zio, il fratello. Un uomo violento anche all’esterno delle mura domestiche. Una persona che tende all’alcoolismo e che ha subito o assistito a violenze nella sua famiglia d’origine. I maltrattamenti all’interno delle mura domestiche sono per lo più gravi. Molte donne, pur avendo difficoltà a denunciare l’accaduto, durante la violenza, dichiarano di aver temuto che la propria vita fosse in pericolo. In seguito hanno perso l’autostima e la fiducia in se stesse, ingredienti utili per reagire.
L’Istat nella sua indagine si sofferma anche sui diversi tipi di violenza contro le donne: fisica, sessuale e psicologica, dentro e fuori dalla famiglia. Le minacce di colpire fisicamente una donna, le spinte, gli strattoni, le botte, i calci e i pugni fino ai tentativi di strangolamento, ustione e soffocamento, rientrano nei casi di violenza fisica. Si parla invece di violenze sessuali se la donna è costretta a fare o subire atti sessuali contro la propria volontà. La violenza psicologica infine si riferisce a denigrazioni, controllo dei comportamenti, strategie di isolamento, intimidazioni e limitazioni economiche subite da parte del partner.
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