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DECRESCITA

Post n°7 pubblicato il 12 Agosto 2006 da lade.blog
 

Come sopravvivere allo sviluppo
INTERVISTA DI DAVIDE TURRINI A SERGE LATOUCHE
(Da Liberazione del 9 maggio 2006)

Bastone sottile che non serve nemmeno da appoggio, viso canuto alla Burt Reynolds, cravatta leopardata sopra una camicia bianca con righine azzurre e viola, Serge Latouche, 66 anni portati meravigliosamente, professore emerito di scienze economiche all’università Paris Sud, esperto di rapporti economici e culturali tra Nord e Sud del mondo, fa la sua comparsa in Italia, a Bologna. La facoltà di Scienze Politiche, materialmente a pochi passi dell’ex dimora del nuovo premier Prodi, è lo sfondo architettonico per l’incontro del professore che prende a prestito il titolo del suo nuovo volume, Come sopravvivere allo sviluppo (Bollati Boringhieri), per argomentare l’utopia del nuovo secolo: la decrescita economica.

Ed è proprio il quesito di partenza, lontano da Giddens come dal socialismo reale e che piuttosto richiama a una resistenza alla Davide contro Golia, a essere rivolto immediatamente a Latouche.
«Alcuni anni fa, sopravvivere allo sviluppo era un problema che interessava solo il Sud del mondo», spiega il professore francese, «il Nord voleva sviluppare il Sud e occidentalizzarlo, ma altro non era che il proseguimento della colonizzazione con altri mezzi a cui va aggiunta la relativa distruzione delle identità culturali e del tradizionale saper fare. Oggi, invece, tocca a noi occidentali: la distruzione della biosfera, la globalizzazione che altro non è che la mercatizzazione del mondo (e non la globalizzazione del mercato), quel gioco al massacro che porta ad abbassare i salari degli operai del Nord per renderli concorrenziali con quelli cinesi, altro non sono che elementi che compongono, paradossalmente, l’impossibile concetto di sviluppo sostenibile. Mentre io ritengo che l’unica soluzione stia nella società della decrescita economica».

Ma che cos’è esattamente la decrescita economica?

Non è un concetto, non è l’elemento simmetrico della crescita, nemmeno una teoria economica. E’ una parola d’ordine, è uno slogan per gridare un forte “basta” al discorso dell’ideologia economicista. Dobbiamo abbandonare il credo insensato del crescere per crescere che ha come solo obiettivo il profitto per i detentori del capitale. La crescita ha materialmente un limite. Vi faccio un esempio: a un litro di petrolio corrispondono 5 metri cubi di foresta. A questo ritmo i 12 miliardi di ettari ancora utilizzabili nel giro di ben poco tempo si esauriranno; per non dire che le riserve di petrolio potranno bastare soltanto per altri trent’anni. Allo stesso tempo, però, basta un semplice rallentamento nel tasso di crescita per far cadere la società nello sconforto, con relativo abbandono dello stato assistenziale. Ecco perché suggerisco di uscire da questo circolo vizioso della crescita che è destinata a esaurirsi molto presto e perché condanno anche tutta la sinistra istituzionale, oramai diventata socialiberista, che non osa uscire dal paradigma tradizionale della società della crescita.

Il problema a questo punto è come attuare i buoni propositi…

Questa sorta di ateismo contro la religione dell’economia e dello sviluppismo (straordinario vocabolo italianizzato dal francese, n. d. r.) prende le mosse dallo scollegamento del benessere dalla crescita economica, cioè far crescere il benessere diminuendo progressivamente il pil e drasticamente i costi negativi dei corollari della crescita, o ancor meglio: far decrescere il Ben-Avere statistico per migliorare il Benesssere vissuto. La base di questo percorso sarebbe internalizzare gli effetti esterni, ovvero far pagare alle imprese i costi che fanno sopportare ai clienti, agli operai e alle generazione future: dalle spese per la pubblicità (le spese pubblicitarie con 500 miliardi di dollari all’anno sono al secondo posto dei bilanci mondiali dopo i costi per gli armamenti), ai costi di spostamento di uomini e merci per il commercio che provoca insensato inquinamento.

E dopo questa sorta di umanesimo di fondo da cui partire, quali sono le altre tappe da seguire?

In primo luogo dobbiamo deeconomicizzare il nostro immaginario, che oggi ha assimilato come unici valori della vita il denaro e il guadagno; riconcettualizzare il valore di povertà, un elemento dignitoso che abbiamo trasformato in qualcosa di vergognoso; rilocalizzare le attività produttive e ritrovare la saggezza del senso del luogo e del vivere localmente; ridurre l’orario di lavoro per tutti, creando meno disoccupazione e un cambiamento di valori che ci porta a rivalutare, come gli antichi, l’ozio; infine smetterla con l’assistenzialismo delle ong, reintroducendo i valori propri alle popolazioni del Sud del mondo.

Non le sembra di perseguire una sorta di mondo utopico?

Tutti, dai politici agli economisti, sanno del rischio che stiamo correndo. Basta vedere gli effetti di quella che io definisco la pedagogia delle catastrofi (guardate il comportamento degli acquisti nel post “mucca pazza”). E poi abbiamo bisogno di utopia, nel senso forte della parola, perché questi cambiamenti sono assolutamente possibili se solo lo vogliamo. Se, per esempio, prendiamo il treno da Reggio Emilia per Roma e scopriamo dopo la partenza di essere quasi arrivati a Torino, ci fermiamo, scendiamo e prendiamo il treno che porta dalla parte opposta, o no? Ecco, allora credo che la decrescita economica sia una scommessa dove la ragione, assieme alla necessità umana, porterà a democrazie locali ed ecologiche, piuttosto che al suicidio.

*** Inviato via e-mail da Baba il 08/08/2006 ***

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 12/08/06 alle 22:16 via WEB
ritengo che la "decrescita" (al quale termine alcuni associano, chissà per quali motivi l'aggettivo "felice"), sia effettivamente e soltanto un modo o un concetto per avere un minimo di riscontro sulla stampa internazionale e uscire dall'anonimato (e tirar su due soldi, tanto per cambiare!). basterebbe molto meno per regolare lo sfruttamento delle risorse del nostro pianeta. crescere vuol dire anche e soprattutto migliorarsi. senza mezzi termini o compartimenti stagni, quindi, dico io, migliorarsi in senso completo, ovvero non solo a livello di portafogli. questo vuol dire che chi cresce deve farlo anche in virtù morale e consapevolezza sociale. e a queste crescite non voglio personalmente rinunciare a favore, men che meno, di una decrescita. sono un convinto sostenitore che crescere (anche economicamente) si può, ribadisco, associando una crescita che coinvolga tutta la persona nella sua multiforme completezza e pienezza. se a mio figlio quattordicenne metto in mano 50 euro, è chiaro che se li spenderà tutti in videogame (o simili, per fare un esempio), come facevo io con le ventimila lire a quell'età. Se gli euro sono 5, paradossalmente, vengono gestiti con più criterio. Allora c'è qualcosa da correggere, ma non nella gestione del mezzo di scambio (il denaro), ma nelle logiche di approccio al problema e nella capacità di realizzare degli obiettivi validi e dignitosi che, chissà perchè, rischiano sempre di soccombere al cospetto di altri che invece risultano alquanto deplorevoli, ma spesso più facilmente raggiungibili. come dicevo qualche mese fa parafrasando Totò (e commentando una frase ormai nota del nostro ex-presidente del consiglio), "siamo uomini o genitali?" visto che mi sento ancora uomo, cercherò di vivere da tale, anche (ma assolutamente non solo) l'aspetto economico del mio essere. perchè se l'economia girasse per davvero (ovvero se tutto fosse pagato per quello che costa senza costi aggiuntivi o sconti ingiustificati...), lascio a voi la conclusione... perdonate le mie idee. Massimo
(Rispondi)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 12/08/06 alle 22:16 via WEB
Leggendo la tua risposta mi sembra di capire che tu abbia frainteso le motivazioni del movimento legato alla decrescita. Prima di tutto cerco di spiegare con parole mie (chi mi conosce sa quanto sia faticoso per me) e non riportando articoli di terzi. Innanzi tutto cercherò di spiegare cosa si intende per crescita intesa come esatto contrario della decrescita di cui vorrei chiarire il senso. Nell'ultimo secolo è andata affermandosi l'idea che l'aumento della capacità di produzione e la crescita economica potessero non arrestarsi mai, cioè che fossero infinite, e attualmente è l'idea che impera in tutti i mercati planetari. Ma una crescita infinita si basa quindi su un aumento dei consumi illimitato, presume quindi che la gente consumi sempre di più, che si dia in pasto alle mode del momento create appunto col fine di far "girare" l'economia. Io come persona non ho bisogno di consumare di più di quello che stò già facendo, anzi spesso consumo più del necessario e pensando ad un aumento spropositato dei consumi mi sento come una di quelle oche allevate per farci il patè; sai di quelle a cui tagliano il becco e ci infilano un imbuto per ingozzarle e farle ingrassare in modo spropositato. In questo ambito l'indice questa crescita è il PIL che è diventato il vero e proprio padrone di tutti governi occidentali, i quali tutto fanno in base a questo numero che, fra le altre cose, viene utilizzato per indicare lo stato di benessere di un paese, ma il PIL si basa solo sugli scambi commerciali!! Se tira un terremoto e la mia casa va giù, mi toccherà comperarne una nuova e questo fà crescere il PIL e per le statistiche il benessere del paese aumenta. Ma io non mi sento molto felice considerando il fatto che magari uno dei miei famigliari è rimasto fra le macerie, ma che cavolo state allegri il PIL è aumentato, stiamo crescendo!! Volendo fare un esempio meno drastico se io, potendo e avendone il tempo, coltivassi l'orto, non dovrei acquistare tutto al supermercato, ma il PIL non crescerebbe, perchè in questo non c'è stato uno scambio commerciale, o meglio ce n'è stato uno molto più ridotto (magari ho dovuto comperare le sementi e qualche attrezzo), e quindi Prodi o chi per lui andrebbe in allarme, e al ministero dell'economia si strapperebbero i capelli lanciando manovre, manovrine, trik e tracche e castagnole (sempre per citare Totò) ma io sarei contento di poter mangiare i miei pomodori. Fra l'altro ho inquinato meno, perchè queste verdure hanno percorso un tragitto più breve. Questo per darti un esempio di quello che si intende per crescita e decrescita. Infine la decrescita è solo un voler ritornare al buon senso, liberarsi dal giogo dell'economia che troppo spesso viene considerata più importante delle persone. Un voler crescere come persone e non come consumatori. Inoltre mi sembra ingiusta la tua classificazione della decrescita come fenomeno per tirare su due soldi, chi scrive di decrescita difficilmente viene ascoltato, e difficilmente fà più soldi di quelli che faccio io. E' giusto il discorso che fai sui prezzi che dovrebbero essere più equi, ma anche quello rientra nella decrescita.. Il denaro deve tornare un mezzo non il fine, non mi sembra una cosa molto lontana da quello che tu hai affermato. Spero di non aver fatto troppa confusione. Ciao, Baba.
(Rispondi)
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 21/08/06 alle 09:37 via WEB
continuo con una piccola risposta, cogliendo l'occasione di provare il nuovo blog dell'Accademia. non ho ovviamente frainteso le motivazioni della decrescita, ma critico profondamente la scelta del sostantivo che già di per sè ne sminuisce gli intenti. infatti credo si tratti di una "crescita" a tutti gli effetti, per lo meno a livello morale, sociale, ecc... quindi perchè chiamarla decrescita? ciao, massimo
(Rispondi)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 11/02/07 alle 11:32 via WEB
No, no,i migliori in decrescita sono gli Italiani, a questo ritmo tra un po' si estingueranno, solo grazie al massiccio import di stranieri si riesce a tenere una popolazione stabile. Meno persone ,meno consumi e meno problemi per l'ambiente. Basta solo esportare le nostre tecniche di estinzione
(Rispondi)
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 28/05/07 alle 11:29 via WEB
Mi pare di vedere, invece, che nessuno abbia centrato l'essenza del problema: neppure l'intervistato e l'autore del problema. La "decrescita" non è un problema "morale" e non è un problema "economico": tutte giuste le critiche che fate, ma ancora troppo lontane dal nocciolo del problema. Quello che è limitato sono le risorse del pianeta, questo rende limitate le capacità di sviluppo e crescita, soprattutto visto che tutta l'economia mondiale è principalmente basata su risorse non rinnovabili (e prossime all'esaurimento)... se volete veramente essere informati sullo stato attuale delle cose e farvi un'idea basata non su questioni morali/soggettive ma su dati oggettivi, da cui trarre poi considerazioni sensate, consultate il sito www.aspoitalia.org e link correlati. Ciao, SenzaBinariDeraglioMeglio
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