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Metà dell’arte della diplomazia consiste nel non dire nulla, specialmente quando stiamo parlando. - Will Durant.

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Joachim.

Post n°74 pubblicato il 05 Maggio 2008 da elio763

L'otto ottobre 1815 cadeva di domenica, alcuni pescatori sulla spiaggia di Pizzo Calabro scorsero tre navi che dopo aver avuto un attimo di indecisione sulla rotta da seguire si diressero improvvisamente verso la riva. Trentuno persone raggiunsero la costa a bordo di una scialuppa. Tra loro vi erano Gioacchino Murat, il generale Franceschetti e l'aiuto di campo Campana. Alla vista di quella piccola truppa i pescatori si erano ritirati. Murat e i suoi salirono le scale che dalla spiaggia portavano in paese, quando arrivarono alla piazza, suonavano le dieci. Era l'ora in cui stava per cominciare la messa e la piazza era colma di gente. Nessuno li riconobbe eppure Murat era venuto a pizzo cinque anni prima, nell'epoca in cui era re di Napoli. Lui stesso riconobbe tra la folla un ex sergente che aveva servito nella sua guardia a Napoli. Gli mise le mani sulle spalle e gli disse: "Sergente Tavella sono Joachim Murat, a te l'onore di gridare per primo viva Joachim"! A parte la piccola truppa dell'ex re, tutti rimasero zitti. Un tale, di nome Giorgio Pellegrino che aveva assistito alla scena, dopo essersi armato corse da un capitano dei gendarmi chiamato trenta capelli, il quale capi subito i vantaggi che potevano derivargli da un simile servizio reso al governo. Corse in piazza e propose alla popolazione di mettersi alla caccia di Murat.Intanto il re e i suoi amici si erano incamminati verso Monteleone, avevano percorso poche centinaia di metri quando sentirono le grida della gente che li inseguiva. Trenta capelli chiese a Murat di arrendersi, ma questi a sua volta tornò indietro da solo verso di lui e gli disse: “ho qualcosa di meglio da offrirvi, seguitemi; unitevi a noi con tutta la truppa e ci saranno le spalline di generale per voi e cinquanta luigi d'oro per ogni vostro uomo”. “Ciò che mi proponete è impossibile rispose trenta capelli, siamo tutti devoti al re Ferdinando per la vita e per la morte”. Intanto Giorgio Pellegrino prese la mira e fece partire un colpo che mancò il bersaglio. Allora Murat fece un cenno a Franceschetti e Campana, uno dietro l’altro si lanciarono dal ponte da un'altezza considerevole e corsero verso la riva seguiti da trenta capelli e dai suoi uomini. Murat credette di essere salvo perché pensava di ritrovare la scialuppa sulla riva e la flottiglia là dove l'aveva lasciata, ma guardando verso il mare si accorse che la flottiglia lo abbandonava e riprendeva il largo trainando la scialuppa. Al comando della nave c'era un certo Barbara che tradì Murat per impadronirsi dei tre milioni di luigi d’oro presenti a bordo nella stanza del re. Nel frattempo le pallottole di quelli che erano rimasti sul ponte piovevano intorno a lui, una di queste colpi Campana che cadde morto. Murat e i suoi compagni presero una barca che si trovava sulla spiaggia e la spinsero in acqua. Il generale Franceschetti saltò dentro, Murat stava per saltare a sua volta, ma gli speroni dei suoi stivali da cavallerizzo restarono attaccati a una rete da pesca che era distesa sulla spiaggia. Bloccato nel suo slancio, non riuscì a raggiungere la barca e cadde con il viso dentro l'acqua. Nello stesso momento e prima che si potesse rialzare la gente, era già su di lui, fu salvato dal linciaggio da trenta capelli e da Giorgio Pellegrino che lo portarono al castello e lo chiusero in prigione insieme a una ventina di detenuti. Fu giudicato militarmente, così come prevedeva la legge da lui emanata nel 1810 contro qualsiasi bandito trovato nei suoi stati in   possesso di armi. La sera del 13 ottobre 1815 fu fucilato nel cortile del castello. Ai soldati che componevano il plotone disse: "sarò io ad ordinare il fuoco; il cortile è troppo stretto perché possiate mirare giusto, mirate al cuore e salvate il viso".

 

 

 

 
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