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Messaggi di Febbraio 2015

 

DIO, QUELLO VERO, CI SPIAZZA SEMPRE MA E' PER FARCI GUSTARE L'ALTEZZA DELLE VETTE

Post n°890 pubblicato il 27 Febbraio 2015 da sebregon

SETTIMANA DI QUARESIMA - SABATO

 

 

 

 

 

Mt. 5, 43-48.

 

 

Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

 

 

Un film Disney (che non ho visto nonostante la mia passione per il cinema e per i cartoni in particolare) aveva come sottotitolo nemici-amici. Così, guardando il vangelo di oggi mi è venuto in mente che forse poteva essere il titolo giusto per questa meditazione (e che forse è venuto il momento di vedere il film!). Alcuni amici che lavorano in zone a dir poco calde (per la presenza di organizzazioni  mafiose), mi dicono che i capi-bastone vanno tranquillamente a confessarsi e che la prima cosa che dicono è “Io sono amico di tutti”.

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E la seconda “A tutti faccio del bene”. Qualcuno ha almeno l’onestà di aggiungere “Certo, ai traditori e a chi mi fa del male…”. In questa quaresima non posso non pensare a questo, adesso che il Papa ha parlato invitando i mafiosi a conversione (Discorso alla diocesi di Cassano allo Ionio) e che ha messo più volte in guardia noi cristiani da un cristianesimo di facciata, richiamandoci all’autentico rapporto con Dio.

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Un Dio che forse non sappiamo riconoscere perché sfugge continuamente ai nostri schemi e che nel nostro io più profondo abbiamo snaturato relegandolo o ad un castigamatti (tipo Charles Bronson ne “Il Giustiziere della notte”) o ad una ameba o protozoo che sorride a tutti e che a tutti da una parola buona. No! Dio è il totalmente altro.

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Non sa, non può essere connivente con le nostre divisioni tanto più se portate avanti in nome suo. Però fa piovere sui giusti e sugli ingiusti e fa splendere il sole sui buoni e sui cattivi. Credo che il significato sia che in realtà entra in rapporto con tutti. Un rapporto appunto autentico non fatto di connivenze o complicità e soprattutto che non si riduce a una netta distinzione tra nemici e amici. Ma a tutti dà la possibilità di dialogare e di costruire la propria esistenza in lui. Ci insegna che anche i nemici si devono amare.

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Cioè non bisogna accomodarsi su divisioni e su incomprensioni ma cercare, sempre, la via del dialogo, del rapporto che non si interrompe nonostante tutto. Nemici amici appunto. Non vedo l’ora di vedermi il film! Poi vi dico…

 

 La nostra vita e la Parola

 

Donaci Signore la tua misericordia. Ma non lasciarla su di noi. Fa’ che la sappiamo riversare sulle persone che stanno attorno a noi. Su quelle con cui è più difficile dialogare e che si chiudono in ostilità che ci percuotono il cuore. Donaci di comprendere che in te ogni umanità è benedetta e che ogni uomo può essere protagonista della pace. Amen

 

P. Elia Spezzano, Ocist.

 

 
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PROVIAMO A CHIEDERE MA NON PER VEDERE SE SIAMO ESAUDITI MA SOLO PERCHE' CE LO CHIEDE IL SIGNORE

Post n°889 pubblicato il 25 Febbraio 2015 da sebregon

I SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDÌ


Mt 7, 7-12

 

 

Gesù ci dice di pregare ma noi non lo facciamo perché forse non sappiamo che chiedere. Oppure perché pensiamo che chiedere sia inutile dal momento che, alla fine, le cose vanno per il loro verso e dunque è quasi inutile pregare.

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

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E tutto ciò avviene mentre ci crediamo ferventi cristiani che si confessano e vanno a messa. O anche alla rovescia ci mettiamo a pregare perché tanto non può fare male. E questo succede quando la nostra preghiera è un esercizio fatto al buio  ed imbucato solo nella direzione del cielo. 

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La preghiera fine a se stessa e come modalità umana consapevole dei propri limiti non dico che non possa essere esaudita dal Signore Gesù ma è paragonabile ad una giornata senza sole dove  non è che la vita non vada avanti in ogni caso ma non è benedetta dalla luce del sole che ravviva ogni cosa.

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La preghiera invece che ci chiede Gesù è quella rivolta alla sua persona dove  ci mettiamo in confidenza con Lui e gli affidiamo i nostri problemi e le persone che ci stanno a cuore. E Lui, Gesù, per convincerci alla preghiera, la fa somigliare alla richiesta che un figlio fa al Padre e cioè in un contesto di grande intimità, e non solo, perché con il suo paragone chiama in causa la bontà naturale di un padre che ama il figlio per dirci che quella di Dio e molto di più.

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Sapori d'Autunno

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Dobbiamo allora seguire il suo consiglio e chiedergli e continuare a chiedergli tutto ciò che è buono e luminoso per noi, per i nostri amici e per le tante situazioni della chiesa e del mondo che hanno bisogno della nostra attenzione e del nostro desiderio perché il Signore possa essere chiamato in causa con la sua potenza per risolverle.

 

La nostra vota e la Parola

 

Spirito Santo, patiamo una dimenticanza crassa e colpevole nel non voler presentare al Signore i nostri bisogni in modo che vi possa rispondere nel modo migliore secondo i suoi disegni ed il nostro bene.

 

Michele Sebregondio

 

 
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L'UOMO PUO' VIVERE VERAMENTE SE DISTRIBUISCE ILPANE CHE GLI E' STATO DONATO

Post n°888 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da sebregon

VI SETTIMANA DEL T.O. - MARTEDÌ

 

 

Mc 8, 14-21



In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?».
 

No, Signore,non vogliamo comprendere ecco perché siamo sempre in guerra o dichiarata o serpeggiante. Il nostro problema è che non vogliamo intendere il senso  del Padre nostro in cui troviamo queste parole:” …dacci oggi il nostro pane quotidiano …”.

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Non vogliamo credere al fatto cioè che il pane basta chiederlo e che solo questa umile richiesta al Padre può farcelo ottenere in dono dal Padre. Il pane non possiamo averlo  dagli altri perchè gli altri come noi sono nella penuria. L’abbondanza non può che venire dal donarsela a vicenda. Solo questo circuito può creare quel qualcosa di virtuoso che incrementa l’umano. Dio per i credenti è la cifra più alta di questo scambio tra l’uomo che chiede e Lui che dona. In Gesù abbiamo la massima espressione di questo dono nel momento che  addirittura offre la sua vita per diventare il pane buono che sazia e salva tutti.

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La stessa cosa però vale per chi non ha un riferimento religioso e cioè se declina la sua vita nel senso del dono anch’egli sarà iscritto sul libro della vita, umano o divino che sia, ma se spende il suo essere per incrementarlo e cioè avere per sé solo il suo pane possiamo essere certi che, prima o poi, quando l’avrà in bocca, lo troverà amarissimo. Si potrebbe però osservare che esistono tanti che il pane ce l’hanno in abbondanza e l’avranno sempre di fronte a tanti altri che ce ne avranno poco o quasi niente.

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L’inganno di questa frase è che sembra vera, verissima, ma per esserlo per davvero dovrebbe essere sempre vera. Ora succede che chi ha soldi non sempre ce li ha e chi è povero non sempre lo sarà. Ma si potrebbe ancora obiettare che chi ha difficilmente andrà in penuria perché sarà sempre sostenuto da quelli del suo ceto e che invece chi è povero ha meno condizioni di poter cambiare la sua vita. Tuttavia non sfugge a nessuno che se si procede così  si fa dipendere la riuscita di una vita dal fatto di avere più o meno denari, ma anche qui sappiamo che questo non è vero. Ed infatti non si trova più generosità e più contentezza di vivere tra i poveri?

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E con questo non si vuole fare un elogio della povertà perché tutti hanno il diritto ad una vita dignitosa ed a stare bene, ma si vuole mettere in crisi quel discorso che il benessere personale, sociale e politico dipenda dall’equa distribuzione delle risorse perché prima di distribuirle le risorse occorre averle e come abbiamo detto le risorse vere si creano se alla base di ogni gruppo umano, collettivamente determinato, si è riusciti a mettere al centro una capacità di dono. Insomma non è la distribuzione che crea un buon vivere perché potrebbe diventare, come spesso lo è, fonte di conflitto, ma una distribuzione che ha a monte una esperienza di dono. Questa dipende dall’esistenza o meno di persone capaci di creare una rete che riesca  a metterla  in atto.

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La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, che ci sei stato donato da Gesù, tu sei la prova vera che tutto dipende dal dono in quanto procedi dal dono del Padre che da tutto se stesso al Figlio e dal Figlio che dà tutto se stesso al Padre.

Michele Sebregondio

 
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CHIEDIAMO LA GRAZIA DI SAPER DIRE DI SI' CONFIDANDO CHE COMUNQUE CHE IL SIGNORE NON CI ABBANDONA MAI

Post n°887 pubblicato il 20 Febbraio 2015 da sebregon

TEMPO DI QUARESIMA
SABATO DOPO LE  CENERI

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lc 5, 27-32


In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.
Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».  



Gli ebrei disprezzavano i pubblicani che riscuotevano le tasse per conto dei romani e li ritenevano peccatori. Qui assistiamo alla chiamata di uno di essi: Levi. La sua prontezza nel seguire Gesù ci deve toccare nel profondo tanto da  porci la domanda: “Quando Gesù ci chiama come sono i nostri riflessi? Tardi o pronti come quelli di Levi?”. 




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- forse l'immagine non è proprio adatta, ma rende bene la prontezza-


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Certo Gesù non ci parla direttamente ma attraverso gli stimoli della realtà che  di volta in volta ci interpella. Molte volte in prima istanza siamo sbadati o svogliati, o anche diciamo  a noi stessi la prima cosa che ci viene in mente che il più delle volte è un invito, subito colto, ad evitare ogni compromissione. Nella parabola del padre che invita i figli ad andare a lavorare nella vigna si evidenzia proprio questo atteggiamento di difesa/evitamento: “Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò.” (Mt 21, 28-32). 


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E spesso anche a capita la stessa cosa diciamo subito di ‘no’ ma anche di ripensarci e dire ‘sì’.  Nelle nostre preghiere dobbiamo chiedere al Signore d’essere subito pronti a dire di ‘sì’ perché potrebbe capitare che il ‘no’ detto rimanga tale non per la nostra volontà di non cambiare, ma perché la realtà è andata avanti e non si può più riprenderla. 


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Quanto detto fin qui contempla la risposta alla quasi totalità degli inviti  che ci possono arrivare  tuttavia vi sono delle chiamate particolari che riguardano la direzione stessa della vita di ciascuno, come ad es. la chiamata di Levi. E cosa succede se il Signore ci fa una chiamata simile e noi gli rispondiamo di no? Ecco egli aveva immaginato per noi un certo avvenire e noi abbiamo preferito voltargli le spalle. Allora dobbiamo chiederci se il Signore  ci farà di nuovo delle proposte. 


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Di sicuro ce ne farà, ma il problema a questo punto siamo noi che abbiamo scelto di fare una strada diversa e questa sarà tutto a carico nostro perché non abbiamo voluto coinvolgere il Signore. Una cosa infatti è fare un cammino di discernimento per capire cosa il Signore vuole da noi tenendo conto anche di come siamo fatti, perché il Signore non è un padrone dispotico, un’altra è prendere una decisione solitaria credendo di fare il meglio per noi ma senza avere alcuna attenzione verso il nostro divino interlocutore. Ed allora quando avremo smaltito in tutti i sensi la sbronza delle nostre decisioni solitarie ed avremo pagato tutto il conto ecco che allora il nostro cuore sarà più libero e disposto a fidarsi veramente del primo amore, quello per cui era stato possibile ricevere la prima chiamata.  E vedremo con nostra grande meraviglia che tutto ciò che abbiamo vissuto diventerà  la base di grazia per ciò che vivremo dopo. Nulla andrà perduto  grazie all’amore potente e sanante del nostro Signore Gesù.


 


La nostra vita e la Parola

 

Spirito del Signore, apri la nostra mente e rendi pronto il nostro cuore a dare una risposta piena d’amore alle

sollecitazioni che ci provengono continuamente dalla vita.

 

Michele Sebregondio 

 
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SEGUIRE LA CROCE DI GESU' SIGNIFICA DONARSI COME LUI HA FATTO

Post n°885 pubblicato il 18 Febbraio 2015 da sebregon

 GIOVEDÌ DOPO LE CENERI 




 

 

 

 Lc 9, 22-25

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».

 

Un invito che può essere letto in molti modi. Sento infatti, anche dato il lavoro che faccio, che già lavorare su di sé mirando alla propria crescita personale – quindi non necessariamente facendo una scelta cristiana o cattolica, ma decidendo di seguire un percorso laico di counseling o di meditazione – è un modo per “salvare la propria vita”, rinnegando il proprio ego nevrotico.

 

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Lavorare sul carattere o personalità (l’ego) per far emergere l’essenza è un modo per lavorare sul proprio essere nel mondo e nelle relazioni e per crescere come esseri umani integri, valorizzando olisticamente tutto ciò che siamo sul piano corporeo, emotivo, intellettuale e spirituale.

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In questo senso io interpreto l’invito di Gesù come rivolto a tutti, a prescindere da una scelta religiosa specifica. E in questo invito mi riconosco, sento di averlo accolto e di portarne la testimonianza. E questo brano mi tocca profondamente.

 

Alessandra Callegari

 
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LA FAME FISICA O DELLO SPIRITO PUO' ESSERE L'OCCASIONE PER ACCETTARE IL FALSO LIEVITO CHE CI ROVINA

Post n°884 pubblicato il 16 Febbraio 2015 da sebregon

 

VI SETTIMANA DEL T.O. – MARTEDÌ 

 

 


 


Mc 8, 14-21



In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?». 


Quando ci viene meno qualcosa che riteniamo giusto avere e che per qualche motivo non abbiamo, il nostro animo si rattrista e si dispone al risentimento.  Quante sfuriate e quanto malumore per cose che ci aspettavamo e che non abbiamo ricevuto. Il risentimento muove tante cose contro di noi e verso gli altri, a diversi livelli.

 

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Ci accusiamo  e colpevolizziamo a vicenda come fanno i discepoli. Cosi fanno i farisei nei confronti di Gesù. Il loro lievito fomenta quella cattiva  disposizione d’animo che  spinge all’accusa, alla colpevolizzazione. Ciascuno di noi ne sa qualcosa di questo lievito che ci incattivisce.

 

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Gesù invece ci invita a considerare il lievito buono dell’azione di Dio in noi, la Sua bontà. Questa disposizione d’animo che dà una qualità diversa alla nostra vita, che fa fermentare il pane buono.

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Livio Cailotto

 
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CAMBIAMO PARADIGMA: NON ANDIAMO IN CHIESA, MA CREIAMO COMUNITA' VIVENTI CHE POSSONO ANCHE SERVIRSI DI CHIESE DI PIETRA.

Post n°883 pubblicato il 13 Febbraio 2015 da sebregon

14 FEBBRAIO

SANTI CIRILLO, monaco e METODIO, vescovo

Patroni d'Europa (sec. IX)


  


 

 


 

 

Lc 10,1-9



In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

   

Come mai sono pochi gli operai? Come mai pur avendo un così grande maestro come Gesù sono pochi coloro che vogliono lavorare per Lui? Di chi la colpa? Forse della quantità enorme dei lupi che affliggono l’umanità’?  I lupi come i poveri ci sono sempre e dunque non si può dare la colpa ai lupi se gli operai sono pochi.

 

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Anzi potremmo dire che dove girano lupi feroci è anche più facile che vi siano più santi operai che li contrastano. L’abbiamo visto anche in Sicilia dove si sono affinate le armi contro la mafia e dove abbiamo un’alta sensibilità antimafiosa (Falcone, Borsellino, Puglisi e tanti altri). Gli operai sono pochi forse per la tiepidezza di un certo modo di vivere  il cristianesimo. Si crede che essere cristiani significhi andare a messa la domenica per togliersi il pensiero di un atto dovuto secondo un certo modo d’essere nella nostra società ( anche se ormai dei cristiani se ne sta perdendo il seme).

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Gesù dicendo che gli operai sono pochi sta profetizzando e cioè sta dicendo cosa avverrà nella chiesa dopo la sua dipartita. Ed allora occorre oggi chiedersi sul serio il perché di questa profezia. Ed è la chiesa che deve chiederselo, quella legata ai ministeri, ma anche coloro che sono semplicemente battezzati. Chiediamoci perché la gente viene allontanata piuttosto che cercata, chiediamoci perché la chiesa nelle sue parrocchie è diventata un circuito chiuso a beneficio di coloro che credono di conoscere Gesù perché se lo ripetono in tutte le salse.

 

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Gesù qui ci offre un modello in movimento di persone che vanno, si spostano e portano la pace. Noi invece andiamo a prenderla in chiesa la pace. Per carità va bene anche questo, ma bisognerebbe capovolgere la direzione  della relazione: non noi si va per stare assieme in una chiesa fisica, ma noi ci si disperde per annunciare il vangelo per poi riunirsi con Gesù come facevano i settantadue ed i discepoli dopo i loro invii missionari.

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Bisogna dunque partire da un modello diverso, da una preparazione ad alta forza di donazione: pensiamo agli astronauti. Questi non sono preparati per ciò che è la routine ma per il nuovo che sono chiamati a scoprire grazie alla sensibilità che hanno acquisito dalla loro preparazione. Non si tratta di preparare dei superdotati o delle eccellenze per intelligenza ma, cambiando paradigma, di un nucleo di persone che piuttosto che fare della chiesa fisica il centro del loro operare costruiscano delle comunità viventi come si farebbe, ad es, in una situazione di clandestinità.

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Naturalmente non per essere clandestini ma per avere un modo che sia dinamico, che si serva delle chiese solo in alcune occasioni particolari e che affidi l’essere cristiani più che ai certificati di battesimo alla testimonianza che di loro può dare la comunità d’appartenenza. Gesù parla di case, non di chiese e forse potrebbe essere una buona indicazione per cambiare il modo sul dove cominciare a parlare del Regno di Dio che è davvero vicino, oggi più che mai.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, che guidi la chiesa suscita nei cristiani di oggi un nuovo modo di annunciare il regno di Dio in modo che possano aumentare il numero di coloro che si sentano investiti dalla premura di far conoscere il nostro grande e meraviglioso Gesù.

 

Michele Sebregondio

 
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L'AMORE VERO E' TENACE E NON SI FERMA SE NON QUANDO HA OTTENUTO CIO' CHE AMA

Post n°882 pubblicato il 12 Febbraio 2015 da sebregon

V SETTIMANA DEL T.O.  - GIOVEDÌ

 

 


 


 

 

In quel tempo, Gesù andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

 


Un brano apparentemente difficile, oscuro, ostico. In realtà, il Vangelo di Marco apre l’insegnamento di Gesù all’esterno, ai cosiddetti pagani. Una donna infatti di altra religione avvicina Gesù e gli chiede di salvare la figlia. E Gesù inizialmente risponde di no, con una metafora dura, sgradevole. 


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È come se le dicesse che prima di nutrire i “cani” (i pagani) è bene nutrire i figli (gli ebrei) . E la donna, assecondando la metafora, dice che anche i cani possono nutrirsi delle briciole che cadono dalla tavola dopo che i figli hanno mangiato… Una fede così pura convince Gesù ad accondiscendere alla sua richiesta e salvarle la figlia. Un’ altra occasione dunque per dimostrare che la salvezza è disponibile per chiunque – e non solo per il popolo “eletto” – a condizione di volerla fortemente e di crederci: in altre parole, la fede vera non è data dalla nascita o dalla legge, ma dall’apertura del cuore.

 




 alessandra callegari

 

 
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SE NON DIAMO IL CUORE AL SIGNORE DI SICURO LO DIAMO A CHI O A QUALCOSA CHE E' MOLTO, MOLTO MENO

Post n°881 pubblicato il 09 Febbraio 2015 da sebregon

10 FEBBRAIO
V SETTIMANA DEL T.O. ANNO DISPARI - MARTEDÌ

SANTA SCOLASTICA (m)
vergine

 

 

 

 

Mc 7, 1-13



In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:“Questo popolo mi onora con le labbra,ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto,insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».


 

Sarebbe facile dire: “Noi ne siamo fuori da tutti quei precetti!”...e poi andare in giro con il cuore leggero e giustificato. Il punto però è che, sì è vero siamo liberi da tutta una tradizione che a noi sembra fuori da ogni umana comprensione, ma non siamo però esentati dal chiederci dove alberga davvero il nostro cuore.

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E ciascuno può guardarsi dentro e vedere qual’è la sua passione del momento e se fiorisce aprendosi a qualcosa di nuovo e bello in collegamento sempre con il Signore o se ci getta indietro nelle tenebre di una insoddisfazione poco degna del nostro essere figli di Dio.

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Ad es. coloro che hanno un po’ d’anni potrebbero essere abbattuti da continue malattie e trasferire il malessere del corpo in quello dello spirito per cui, chiuso l’orizzonte d’apertura verso il mondo esterno, diventano solo passivi recettori a beneficio solo  dei propri malanni.

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Ed invece per chi è più giovane è facile che si rimanga preda dai mille impegni della vita d’oggi e dalla continua esposizione a quei giocattoli elettronici che occupano tutto il campo della coscienza: il signore Gesù per costoro è come un postulante che sta fuori della porta, di cui si sa che non andrà via, e che può aspettare: e lo si fa spettare così tanto che poi arriva l’ora di dormire.

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E si può continuare con tanti esempi ma ce n’è uno che prende davvero tutti: siamo convinti  infatti nel segreto del nostro pensare ed operare di potercela fare e di non avere bisogno di questo o di quello  anche se poi ci avvaliamo lo stesso dell’aiuto di  questo o quello ( ma così perché capita).

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Ed ancora,  andando più a fondo, crediamo che i mattoni fondamentali li abbiamo ben piazzati e possiamo andar sicuri nella vita. Mettersi allora di fronte al Signore e confessare i propri peccati di autosufficienza e di esagerata importanza personale non solo è un antidoto ma la vera nostra salvezza.

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 Noi non possiamo fare nessun vero passo sulla via della carità e della giustizia che non sia concesso dal nostro Signore Gesù e da tutto il mondo spirituale che egli ci ha fatto conoscere:   dal Padre che è la fonte dell’amore, dallo Spirito Santo che ci accompagna in questa vita, dagli Angeli e poi da Maria e tutti i santi. Il Signore Gesù vuole il nostro cuore e noi dobbiamo, come fanno gli innamorati, cercare in tutti i modi di darglielo nello stesso tempo che sappiamo di averlo troppo piccolo e piagato per amarlo quanto Lui vorrebbe.

 

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La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, fa che sentiamo sempre più fortemente l’urgenza di dare il nostro cuore intero al Signore Gesù , a voi ed al Padre celeste e se siamo pigri, e tavolta svogliati, riportaci sulla strada di luce del vostro Regno.

 

Michele Sebregondio

 
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TROVAR MOMENTI NELLA GIORNATA DOVE SCENDERE NELLA PROFONDITA' DELLA PREGHIERA PER UN INCONTRO SPECIALE E' LA SALVEZZA

Post n°880 pubblicato il 07 Febbraio 2015 da sebregon

IV SETTIMANA DEL T.O. ANNO DISPARI - SABATO 

 

 

 

 

 

 

 

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Mc 6, 30-34

 



In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

 

Venite in disparte a ricontattare la solitudine necessaria. La solitudine necessaria è il deserto interiore in cui non c'è la supponenza di essere indispensabili e necessari, è il luogo in cui riconosciamo la nostra insufficienza, in cui il riposo dell corpo rinfranca lo Spirito.

 

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La solitudine necessaria è il deserto interiore in cui non c'è la supponenza di essere indispensabili e necessari, è il luogo in cui riconosciamo la La solitudine necessaria è ricontattare il desiderio incarnato di Dio.La gente segue Gesù e suoi amici, perché Gesù ama quelle persone allo sbando che cercano orientamento. Sentirsi amati ci smuove, ci fa allungare l'occhio per capire dove possiamo raggiungere Gesù. perché il nostro desiderio di stargli accanto di ascoltarlo non si è placato. 


 

 

Livio Cailotto

 
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IL SIGNORE GESU' VUOLE CHE LA SUA LUCE LA DONIAMO AGLI ALTRI

Post n°879 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da sebregon

IV SETTIMANA DEL T.O. SANT' AGATA (m) 
vergine e martire

 

 

 

 


                                             

 

 


Mc 6, 7-13

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

 



Gesù non è geloso della sua divinità né dei suoi poteri e ne partecipa i discepoli. Questa meravigliosa generosità di Gesù getta luce sulla sua infinita grandezza perché essendo tutto può dare senza volere ritorni meschini. Gesù abita la regione della sovrabbondanza. Egli è il figlio di quell’Adonai  che così aveva parlato a Mosè: “Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele ” (Es. 3,8).

 

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Se si segue Gesù egli ci fa sempre uscire dal mondo delle nostre ristrettezze mentali per farci percorrere cammini di liberazione verso i nostri fratelli. Gesù non chiude i suoi discepoli all’interno di una sequela dove non si vede la luce del sole. Il piccolo gruppo infatti viene  subito inviato (ed apostolo significa 'inviato') non a predicare una dottrina ma semplicemente a fare del bene.

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don Andrea Santoro

 

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Una condizione è però importante per Gesù ed è che essi non si gravino di pesi, e cioè di tutte quelle preoccupazioni che possono restringere la bellezza e l’entusiasmo dell’essere inviati per far qualcosa di grande. Quando ci si mette alla sequela del Signore Gesù occorre davvero fare attenzione ed essere guardinghi con se stessi per non scambiare semplicemente ciò che sentiamo per ciò che crediamo essere la volontà di Dio.

 

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Abbiamo tutti così tante incrostazioni mentali che è proprio vitale non vivere il proprio cristianesimo da soli dal momento che facilmente possiamo illuderci di seguire la via maestra.

 

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Ed ancora tornando a questo brano notiamo come Gesù attraverso questo dono dei poteri vuole anche dare ai discepoli una diversa percezione della loro stessa vita. Fino ad un momento prima dell’invio essi avevano vissuto 'da se stessi e per stessi' adesso invece gustano un’altra musica e Luca nota:I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli». (Lc 10,17-20).  

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Gesù poi li aiuta a non essere gioiosi solo per le opere compiute ma perché i loro nomi sono scritti in cielo e cioè perché grazie a questo loro darsi, che è la prosecuzione del darsi del Figlio agli uomini, essi possono fare parte di una comunità più vasta che è quella dei cieli dove il Padre regna con tutti i suoi angeli santi.  Così anche per noi   si apre uno scenario di gioia dove è bello specchiarsi ed avere la possibilità di dissetarsi come in una fonte dove ogni tristezza viene cancellata nello stesso tempo che accettiamo dalle mani di Gesù l'apertura verso una nuova vita, quella del dono di sè. 

 

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, che ci vuoi pieni di gioia, fa che non passiamo una vita triste per averla dedicata tutta a noi , ma dacci la forza di spenderla per il bene del nostro prossimo.

 

Michele Sebregondio

 
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AVERE FEDE NON SIGNIFICA FARE UN SALTO NEL BUIO, MA FIDARSI DI QUALCUNO CHE TI PUO' SCALDARE IL CUORE

Post n°878 pubblicato il 03 Febbraio 2015 da sebregon

 IV SETTIMANA DEL T.O. - MARTEDÌ


 

 

Mc 5, 21-43


In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

 

Uno dei più celebri miracoli di Gesù: nello stesso brano viene narrata la guarigione di una donna che, malata da dodici anni, ritrova la salute per il solo fatto di avergli toccato le vesti e la resurrezione di una bambina , dodicenne, appena morta.


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È interessante il fatto che qui Gesù sembri all’inizio stupito lui stesso della “forza che era uscita da lui”, come se non fosse ancora consapevole dei propri poteri. E al tempo stesso è già chiara la sua determinazione nel richiamare i discepoli e la gente che lo segue alla fede, a una fede semplice, quasi infantile, che non dubita di fronte a nulla e che va oltre ogni tipo di struttura e di filtro.


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Come la fede, appunto, della donna che lo segue e con animo scevro da pregiudizi sente la “forza” di Gesù ed è convinta che basti andargli vicino per guarire. Una semplicità, una fiducia, una purezza di cuore che sono, per lui, l’unica cosa che conta davvero e che merita di essere ricompensata.

 Alessandra Callegari

 
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