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The Black Dahlia contro La Dalia Nera

Post n°139 pubblicato il 06 Ottobre 2006 da maestro.perboni
 
Tag: Cinema
Foto di duffogrup

Premessa: James Ellroy è forse il più grande autore di letteratura nera degli ultimi vent’anni. Ha scritto almeno quattro o cinque capolavori: la ricostruzione romanzata (fino a che punto?) del caso Kennedy e della politica americana degli anni ‘60 (American Tabloid, Sei Pezzi da Mille); un devastante viaggio nella parte oscura della mecca del cinema (L.A. Confidential); una versione definitiva della caccia al serial killer (Le strade dell’innocenza); una discesa allucinante e morbosa nella storia della madre assassinata, sulle tracce di un uomo nero inghiottito nella notte tanti anni prima (I miei luoghi oscuri). E poi c’è la Dalia. La Dalia Nera è il libro che fa esplodere Ellroy proiettandolo sulla ribalta letteraria. La storia di Elizabeth Short è uno dei tanti capitoli dell’immensa distesa di cadaveri della Hollywood Babilonia: un’attricetta di provincia che diventa una delle tante vittime sacrificate sull’altare del miraggio del successo, tra filmetti porno, sbandamenti amorosi, disperazione. Una delle tante che non ce l’hanno fatta e che si sono bruciate le ali in una fiammata sola. Solo che Elizabeth l’hanno fatta a pezzi. L’hanno sventrata e svuotata come una borsa vecchia. Le hanno aperto un sorriso da una parte all’altra della faccia. L’hanno fatta diventare un incubo oscuro nella culla dei sogni. E per Ellroy è la proiezione ossessiva della madre morta: puttana santa che incarna tutta l’innocenza perduta della città degli angeli.
Fine della premessa: Black Dahlia di Brian De Palma è una stronzata di proporzioni notevoli che non ha nulla della discesa agli inferi del vizio e della disperazione di Ellroy. Scarlett Johansonn è in versione patata lessa, con labbra rosso ciliegia ed espressione da oca giuliva. Hillary Swank sembra un pezzo di legno con la parrucca. Il protagonista maschile, Josh Hartnett, si salva grazie a una discreta inespressività da romanzaccio hard-boiled comprato in stazione. Poi c’è De Palma: il regista di Scarface e Gli Intoccabili è solo un ombra pacchiana di se stesso: appena entra in scena una delle presunte dark lady si scatena con un sax telefonato e con effetti video da filmino di bassa lega. L’atmosfera onirica e paludosa del romanzo di Ellroy diventa un esercizio di stile hollywoodiano che non ha nemmeno una briciola del ritmo di, ad esempio, L.A. Confidential di Hanson. C’è persino una penosa scopata sul tavolo del salotto. Insomma, un’occasione sprecata: penso solo a che razza di delirante inferno allucinatorio sarebbe venuto fuori se il film lo avesse fatto un tipo come David Lynch (e l’unica scena decente, verso la fine, è lynchiana, con Scarlett circonfusa di luce bianca e il flash del cadavere putrescente della Dalia che appare all’improvviso in mezzo al giardino). Si salva l’atmosfera anni ‘40, con una bella scena in un locale per lesbiche con k.d. lang che canta. Solo per Ellroyani ortodossi e nostalgici della giacche a spalle larghe e vita stretta.

 
 
 
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