Creato da le_vide il 18/04/2010

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il “secondo volto” di galileo - scienza e filosofia

Post n°14 pubblicato il 01 Giugno 2010 da le_vide
 


Nella “Vita di Galileo” Brecht fa riferimento allo scienziato pisano come il “più grande fisico dei nostri tempi, il luminare d'Italia”. A quale Galileo si riferisce questo giudizio? Al Galileo inventore o al Galileo metodologo? L’opinione più diffusa riguardo l’opera galileiana consiste nell'ipotesi sperimentalista (a cui tra l’altro Brecht sembra aderire), secondo cui Galileo sarebbe l'inventore del metodo sperimentale. Se ciò fosse corretto, tale tesi comporterebbe la collocazione della fisica pre-galileiana nella non-scienza, come se questa fosse una sorta di protofisica. Qualcuno potrebbe sostenere che solo con Galileo nasce la radicale consapevolezza della funzione sperimentale della scienza. Questo però, a mio avviso, non basterebbe a fornire una impronta decisiva e rivoluzionaria all'opera di Galileo; anche Bacone, infatti, contemporaneo di Galileo, ha questa esplicita consapevolezza, resa esplicita all’interno del Novum Organum. La vera novità approntata da Galileo rispetto ai suoi predecessori consiste nell'applicazione sistematica e consapevole della matematica allo studio della natura: ciò significa che la scienza moderna, per come oggi la intendiamo, sorge con la nascita della fisica matematica. Che tipo di matematica? Certo non quella legata al neoplatonismo a cui fa riferimento Keplero, quanto piuttosto alle opere di Archimede.
Se cerchiamo di interpretare la funzione della matematica all’interno della metodologia galileiana sembra esistano due tendenze complementari: (1) da un lato, la matematica garantisce la coerenza tra le proposizioni scientifiche connettendo le proposizioni empiriche, trasformando quindi i dati dell'osservazione in autentica conoscenza. Più la teoria assumerà l'aspetto di un edificio unitario, più la verifica di una sua parte potrà valere a sostegno di tutte le altre; (2) infine, la matematica modifica lo status delle proposizioni qualitative, presenti nella fisica aristotelica, in proposizione quantitative. Se, ammettiamo, devo determinare qual è la traiettoria di un proiettile, dovrò codificare le proposizioni del mio linguaggio in numeri; in altri termini avrò bisogno di linguaggio che sia rigoroso e controllabile.
Esiste però un’altra faccia della rivoluzione scientifica: l’alleanza tra scienza e tecnica, perfettamente esemplificata nell'uso che Galileo fa del cannocchiale. Tale uso non è affatto scontato. Galileo, infatti, deve credere che il cannocchiale non sia una illusione ma un prolungamento dei nostri occhi. La tradizione aristotelica non concepiva l’uso di simili strumenti per potenziare gli organi di senso: ci troviamo quindi in presenza di una ragione libera dalla tradizione metafisica che si contrappone all’apriorismo aristotelico. Si pensi al capitolo nel “Nome della Rosa” dove frate Guglielmo cerca di spiegare, con enorme difficoltà, le potenzialità del cannocchiale ai suoi confratelli. Se l'invenzione del cannocchiale rappresenta qualcosa di più che un utile strumento di verificazione, la metodologia di Galileo si distacca profondamente dal senso comune: è l'inizio di un nuovo modo di fare scienza che continua ancora oggi, dal microscopio fino ai moderni acceleratori di particelle.
La rivoluzione metodologica di Galileo, prendendo le distanze dal senso comune, implica allo stesso tempo una nuova idea di razionalità. Solo partendo da questo punto è possibile comprendere la profonda discontinuità tra la nascita della scienza moderna e il Rinascimento. Ludovico Geymonat sostiene che muta al contempo lo stesso concetto di verità: si passerebbe, secondo lo studioso, dalla “verità assoluta” e immutabile dell'aristotelismo (la quale si declina nella ricerca di princìpi stabili e incontrovertibili) a una “verità dialettica” capace di mediare tra i concetti di verificabilità e falsificabilità. In quest’ottica lo scienziato deve essere pronto a eliminare una teoria una volta che questa sia stata falsificata, come sembra affermare lo stesso Galileo: “se Aristotele tornasse al mondo […] (e) vedesse le novità scoperte novamente in cielo, dove egli affermò essere inalterabile ed immutabile […] perché non vi si era veduta alterazione, direbbe ora essere alterabile, perché alterazioni vi si scorgono”.
Personalmente credo che Geymonat esageri quando attribuisce a Galileo la stessa consapevolezza degli epistemologi contemporanei. Piuttosto preferisco allinearmi all'opinione di Cassirer, secondo cui nel pensiero di Galileo “in luogo della rivelazione attraverso la “parola di Dio” subentra quella attraverso l'opera di Dio”, la quale può essere compresa ed interpretata solo attraverso la matematizzazione della natura.
In ogni caso, anche se Galileo non aveva compreso fino a fondo la portata rivoluzionaria delle sue affermazioni, lo capirono certamente i suoi avversari condannando le sue scoperte.
il Boscolo

 
 
 
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