"Solo due cose contano: l'amore, in tutte le sue forme, con ragazze carine, e la musica di New Orleans o di Duke Ellington. Il resto sarebbe meglio che sparisse, perché il resto è brutto.." (Boris Vian, L'écume des jours)
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Se cerchiamo di interpretare la funzione della matematica all’interno della metodologia galileiana sembra esistano due tendenze complementari: (1) da un lato, la matematica garantisce la coerenza tra le proposizioni scientifiche connettendo le proposizioni empiriche, trasformando quindi i dati dell'osservazione in autentica conoscenza. Più la teoria assumerà l'aspetto di un edificio unitario, più la verifica di una sua parte potrà valere a sostegno di tutte le altre; (2) infine, la matematica modifica lo status delle proposizioni qualitative, presenti nella fisica aristotelica, in proposizione quantitative. Se, ammettiamo, devo determinare qual è la traiettoria di un proiettile, dovrò codificare le proposizioni del mio linguaggio in numeri; in altri termini avrò bisogno di linguaggio che sia rigoroso e controllabile.
Esiste però un’altra faccia della rivoluzione scientifica: l’alleanza tra scienza e tecnica, perfettamente esemplificata nell'uso che Galileo fa del cannocchiale. Tale uso non è affatto scontato. Galileo, infatti, deve credere che il cannocchiale non sia una illusione ma un prolungamento dei nostri occhi. La tradizione aristotelica non concepiva l’uso di simili strumenti per potenziare gli organi di senso: ci troviamo quindi in presenza di una ragione libera dalla tradizione metafisica che si contrappone all’apriorismo aristotelico. Si pensi al capitolo nel “Nome della Rosa” dove frate Guglielmo cerca di spiegare, con enorme difficoltà, le potenzialità del cannocchiale ai suoi confratelli. Se l'invenzione del cannocchiale rappresenta qualcosa di più che un utile strumento di verificazione, la metodologia di Galileo si distacca profondamente dal senso comune: è l'inizio di un nuovo modo di fare scienza che continua ancora oggi, dal microscopio fino ai moderni acceleratori di particelle.
La rivoluzione metodologica di Galileo, prendendo le distanze dal senso comune, implica allo stesso tempo una nuova idea di razionalità. Solo partendo da questo punto è possibile comprendere la profonda discontinuità tra la nascita della scienza moderna e il Rinascimento. Ludovico Geymonat sostiene che muta al contempo lo stesso concetto di verità: si passerebbe, secondo lo studioso, dalla “verità assoluta” e immutabile dell'aristotelismo (la quale si declina nella ricerca di princìpi stabili e incontrovertibili) a una “verità dialettica” capace di mediare tra i concetti di verificabilità e falsificabilità. In quest’ottica lo scienziato deve essere pronto a eliminare una teoria una volta che questa sia stata falsificata, come sembra affermare lo stesso Galileo: “se Aristotele tornasse al mondo […] (e) vedesse le novità scoperte novamente in cielo, dove egli affermò essere inalterabile ed immutabile […] perché non vi si era veduta alterazione, direbbe ora essere alterabile, perché alterazioni vi si scorgono”.
Personalmente credo che Geymonat esageri quando attribuisce a Galileo la stessa consapevolezza degli epistemologi contemporanei. Piuttosto preferisco allinearmi all'opinione di Cassirer, secondo cui nel pensiero di Galileo “in luogo della rivelazione attraverso la “parola di Dio” subentra quella attraverso l'opera di Dio”, la quale può essere compresa ed interpretata solo attraverso la matematizzazione della natura.
In ogni caso, anche se Galileo non aveva compreso fino a fondo la portata rivoluzionaria delle sue affermazioni, lo capirono certamente i suoi avversari condannando le sue scoperte.
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"Noi crediamo forse di vedere come il chiaro di luna fosse già in do minore, prima che Beethoven lo scrivesse, come tutte le sinfonie europee fossero già state scritte dal vento sulle pagine degli alberi e i pentagrammi delle foglie, prima che i nostri padri le scoprissero nell’aria. Crediamo nella scoperta della bellezza.."
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