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SOLITARIO: UN UOMO IN MEZZO A NIENTE. SOLO

Post n°594 pubblicato il 30 Giugno 2020 da ilcorrierediroma
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SOLITARIO: UN UOMO IN MEZZO A NIENTE. SOLO:

 

 

UN UOMO IN MEZZO A TUTTI (M. S.)

La solitudine è un malessere o un benessere,

a seconda del nostro modo di relazionarci con noi stessi e con gli altri.

 

Quante volte ci sentiamo soli pur essendo attorniati da folle di persone?

Il paradosso dell'essere un volto della massa,

un individuo che si sente come una bolla chiusa in se stessa

ed incapace di comunicare con altrettante bolle, inesplorabili,

impenetrabili che galleggiano in uno sterile liquido amniotico

di una società fredda, egoistica.

Non pochi anni addietro l'immagine con la quale veniva

rappresentata la nostra epoca era di una società di individui,

di monoliti a sè, privi di legami o di alcun tipo

di comunicazione vibrante, emozionale, empatica.

Essere soli implica sentirsi soli ed è, paradossalmente,

più facile vivere una simile esperienza

quando si è attorniati da altre, da molte persone

che quando non si ha nessuno.

Ci rendiamo conto di essere soli quando ci sentiamo isolati,

trascurati, fuori dal gruppo, fuori dalla rete di qualunque

tipo essa sia emozionale, cognitiva, sensoriale, informatica, economica...

Proviamo il desolante senso della solitudine

quando vorremmo poter comunicare con gli altri,

desidereremmo condividere con il prossimo,

le nostre emozioni, i nostri pensieri, i nostri interessi,

le nostre passioni, ma per un qualche motivo

non riusciamo a portare a realizzare la nostra aspettativa.

Solitario è, invece, chi crea il vuoto attorno a sé.

Non è detto che essendo solitari si sia o ci si senta anche soli.

Spesso la nostra società ci induce a crederlo ma, invero, non è così.

C'è una forma di isolamento fisico che è indispensabile

e può avere anche molte valenze positive.

Pensiamo agli eremiti, agli anacoreti,

ma anche a noi quando abbiamo bisogno di staccarci

fisicamente dal mondo, di tagliare per un determinato

periodo i legami con tutto il resto per riflettere,

per incontrare il nostro io, per esplorare

la nostra essenza più profonda e vera.

Essere solitari non vuol dire essere soli.

Quando fuggo nel mio pensatoio in montagna,

in un magico luogo fuori dallo spazio e dal tempo,

non mi pesa la mia condizione di eremitaggio

fin tanto che non la vivo e la percepisco come una forzatura,

una segregazione dai legami affettivi o lavorativi.

La condizione di solitario può essere una scelta,

un'opportunità, un'occasione con una connotazione

estremamente positiva ed avvincente.

Ma quando siamo solitari non vuol dire che siamo anche soli:

i fili che ci collegano alla società, alla rete,

ai nostri simili continuano ad esserci ed, in ogni momento,

possiamo riattivarli: dipende da noi

Diverso è, invece, quando, mancano del tutto i legami

e non siamo in grado, per vari motivi, di istaurarli malgrado

le centinaia di persone che potrebbero intersecare la nostra orbita.

Si tratta, dunque, di due realtà molto diverse tra loro

e che spesso vengono confuse.

L'essere solitario non genera necessariamente stati di malessere,

di depressione, di tristezza. Si tratta perlopiù di una condizione fisica.

Invece, la solitudine ha una valenza prima di tutto emozionale,

sociale, relazionale, psicologica che ci porta alla depressione,

alla mestizia, al senso di abbandono...

 

 

 

 

 

 

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