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La rivincita dello Stato in economia: ma stavolta potrebbe non essere sufficiente

Post n°2089 pubblicato il 08 Maggio 2020 da massimocoppa
 

 

LA RIVINCITA DELLO STATO IN ECONOMIA: MA STAVOLTA POTREBBE NON ESSERE SUFFICIENTE

La crisi economica mondiale causata dal Coronavirus è di proporzioni epocali: tutte le analisi convergono su questo. Siamo a livelli ormai paragonabili alla tremenda Grande Depressione del 1929 e forse siamo già oltre quella situazione: con l’aggravante dovuta al fatto di essere in un mondo interconnesso, circostanza che amplifica tutto enormemente. Davvero, ormai, possiamo dire che il battito delle ali di una farfalla in Europa scatena un ciclone ai Tropici.

Anche se quasi nessuno lo dice apertamente, stiamo però assistendo alla grande rivincita delle politiche keynesiane: gli Stati intervengono in economia massicciamente ed apertamente, con poderose iniezioni di liquidità e politiche di sostegno alla domanda. Gli Stati Uniti per primi hanno impegnato migliaia di miliardi di dollari, il doppio della gravissima crisi del 2008: pensavamo di aver visto il peggio con quest’ultima, ma non avevamo capito niente.

Il peggio è adesso, e per un semplice motivo: l’economia è ferma.

Per questo concordo con la Confindustria e con gli imprenditori di Lombardia e Veneto (e di tutta Italia), i quali chiedono di riaprire TUTTO e SUBITO, prima che sia troppo tardi. Ogni giorno che passa perdiamo clienti stranieri (perché all’estero è già ripartito tutto), che si dirottano verso altri fornitori (Cina, Turchia…) e che non torneranno mai più da noi.

Dopo decenni di politiche liberiste, di diktat sui bilanci in pareggio, il concetto di spesa pubblica, anche in deficit, e di intervento dello Stato in economia stanno tornando prepotentemente d’attualità. Ne sono ben contento, perché credo nelle indicazioni con le quali il grande economista Keynes fece sconfiggere al mondo occidentale la crisi del 1929, regalandoci decenni di stabilità e di crescita economica.

Il concetto è che è giusto che uno Stato si indebiti, pur di sostenere la domanda aggregata (per consumi ed investimenti) e dare forza ad un’economia in difficoltà, puntando specialmente alla piena occupazione.

Spero che tutto ciò sia la premessa per abbandonare la follia dei bilanci in pareggio ad ogni costo (in Italia abbiamo dovuto addirittura introdurre il concetto nella Costituzione!), e mi riferisco non solo al Fondo Monetario Internazionale ed alla Banca Mondiale, i cui aiuti sono mortali per chi li riceve, ma anche all’Unione Europea.

Tuttavia, stavolta, anche le manovre keynesiane potrebbero fallire ed è anche per questo motivo che la crisi attuale è senza precedenti.

Mi spiego meglio. Quando si erogano sovvenzioni, sussidi, aiuti e via discorrendo, si punta a far sì che le persone usino quei soldi per comprare beni e servizi; nel contempo, si spera che gli imprenditori li utilizzino per investire e per continuare a pagare gli stipendi e non licenziare. Così si rimette in moto tutta la macchina economica e la circolazione del denaro. Ma se le aspettative (ed anche di questo si occupò Keynes a suo tempo) sono negative, se cioè consumatori ed imprenditori sono sfiduciati, non servirà, perché i consumatori metteranno i sussidi ricevuti sotto il materasso per paura del futuro e gli imprenditori, giustamente, diranno che vorrebbero vendere la merce accatastata nei magazzini, prima di pensare a creare nuove unità industriali, acquistare macchinari e fare assunzioni. Per questo l’ottimismo ed il dinamismo sono atteggiamenti mentali e comportamentali essenziali, in economia. Anche perché il pessimismo non solo fa restare fermi, cioè non fa spendere ed investire, ed è un male, ma è anche un boomerang: basti pensare al disastro delle Borse, che avviene perché in troppi diventano improvvisamente paurosi e vendono, così contribuendo alla propria distruzione.

La mia paura, dicevo, è che, stavolta le politiche di intervento dello Stato potrebbero fallire: perché l’economia è ferma FISICAMENTE. Esempio banale: se voglio acquistare un prodotto, potrebbe succedere che l’azienda che lo produce sia ferma e quindi non lo fabbrichi. Potrebbe essercene qualche residuo in magazzino: ma non c’è nessuno che lo andrà a recuperare, anche perché potrebbe accadere che nessun vettore se lo prenderà in carico per portarlo fino al negozio o fino a casa mia. Insomma, se l’operaio è a casa, e l’imprenditore pure, la fabbrica è chiusa, il furgone dello spedizioniere è in garage e lo stesso spedizioniere se ne sta pure lui a casa, mi dite come può mai ripartire un’economia?! È inutile che lo Stato mi dia dei soldi, perché non li posso spendere!

Tutto questo si può evitare, ma bisogna assolutamente RIPARTIRE, RIPARTIRE e RIPARTIRE. Non il 18 maggio, non il primo di giugno, non a luglio, ma ORA. Altrimenti corriamo il rischio che nemmeno un capitalismo temperato ed aiutato dallo Stato possa risollevarsi. Io sono anticapitalista e non mi dispiacerebbe che morisse un sistema per cui una persona A vale più di quella B perché ha più denaro: ma sono processi che necessitano di tempi lunghi e di ammortizzatori. Distruggere il capitalismo di botto, senza aver chiara un’alternativa percorribile, significa una carestia senza uscita.

 
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