Creato da puntiddu il 24/09/2008

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la pietra nella storia dell'arte

 

 

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Le 'maschere' dei Santi-Criminali

Post n°9 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da puntiddu
 
Foto di puntiddu

L'opera dello scultore sciclitano Bartolo Iurato ha esercitato in questi anni e continua ad esercitare un fascino irresistibile. Un articolo apparso sul quotidiano 'La Sicilia' nell'ottobre del 2004 titolava "Bartolo, l'uomo che parla con le pietre". Ma la sua consacrazione risale allo spettacolo 'La pietra scritta' prodotto nel 2002 dall'associazione culturale 'ex-tempora' di Ragusa.

Personalmente incontrai Bartolo nel marzo del 2006 a Scicli, nella sua bottega di fronte al Palazzo Beneventano. Un luogo angusto, antiquato a prima vista, ma stracarico di energia. In un angolo erano ammassate decine di sculture di piccole dimensioni, le pareti erano ricoperte da numerose maschere litiche.

L'intera produzione di questo artista sui generis ha come soggetto privilegiato quello della maschera. Si possono agevolmente distinguere due tipi principali: il tipo 'trapezoidale', caratterizzato da linee rigorose e da una maggiore compattezza, e quello leggermente 'oblungo', dalle linee più morbide.

A quest'ultimo sono da ascrivere le maschere 'poliedriche', quelle cioè modellate rispettivamente sulle diverse 'facce' del pezzo (vedi foto). Al tipo trapezoidale si riferiscono invece le maschere 'complesse', che uniscono nella medesima 'faccia' il ritratto frontale e il profilo.

Le maschere sono modellate generalmente su una superficie piana, talvolta sulla superficie convessa. In questo caso la protuberanza del naso viene a coincidere con lo spigolo del pezzo, mentre sui rispettivi lati è plasmata una maschera 'quasi' tridimensionale.

Caratteristica precipua di queste maschere è nondimeno la 'bidimensionalità'. A questa norma non sfuggono neanche le maschere del tipo 'poliedrico', in quanto la terza dimensione non è prodotta qui dalla volumetria del cranio, ma dall'accostamento di due o più volti al postutto bidimensionali.

Il 'volto' non è mai rappresentato in maniera naturalistica, ma secondo un forte schematismo, quasi astratto. Al centro è sovente una 'T' che in alcuni esemplari assume il carattere spiccato di una croce. Gli occhi posssono essere rilevati o no, la bocca è per lo più incavata, un rilievo anulare talora ne designa le labbra.

Ora, l'indicazione del volto secondo lo schema a 'T', con l'arco sopracciliare e il naso in rilievo, è caratteristica delle statue-stele dell'età del rame ritrovate a Pontevecchio e conservate presso il Museo Civico della Spezia. Lo stesso schema è presente nei 'Palindu' megalitici della Bada Valley (Indonesia).

Gli uomini delle statue di Pontevecchio impugnano un'arma, simbolo indubbiamente di morte, laddove i loro cugini indonesiani brandiscono l'organo sessuale, senz'altro un simbolo di vita. Le maschere di Bartolo complicano questa simbologia sintetizzandola e spiritualizzandola a un tempo nell'elemento centrale della croce.

La maschera, si sa, esclude per sua stessa natura la figura, ma ne accoglie qui i simboli sovrapponendoli al 'volto'. Al culto primitivo degli eroi, ai culti di divinità legate alla fecondazione, si sostituisce quindi il culto dei 'Santi'. La centralità della croce ha infatti un suo significato nella ricerca di un intimo dialogo con la divinità.

Il rifiuto della forma naturalistica è all'origine di una certa rozzezza. Le immagini sono 'rivelate' con mezzi stilistici incolti. I limiti di questo genere di rappresentazione non ostacolano però l'esecuzione di opere di effetto immediato, che dimostrano se non altro il genio dell'artista.

Il materiale impiegato è nella quasi totalità dei casi la pietra-fossile, una pietra di difficile lavorazione a causa della sua natura sedimentaria. Bartolo la 'coltiva' direttamente nei tantissimi canyons che solcano il paesaggio ibleo, spiccandola energicamente dalle numerose cavità di origine carsica ivi presenti.

Il suo segno è istintivo, geniale nell'assecondare la materia, umile nell'agire e ancora nell'essere agito, tanto che l'opera può risultare alla fine 'non fatta da mano d'uomo'. Del resto queste rocce organiche assumono agli occhi dello scultore parvenze antropomorfiche ancor prima che il suo scalpello ne sfiori la superficie.

La virtù principale di Bartolo non è allora il saper parlare alle pietre e tanto meno il sapervi scrivere, ma il saperle vedere o, se si vuole, l'averne visto il volto, che coincide, nella sua poetica visionaria, con il volto stesso di Dio. Ma, una cosa è la visione di Dio, altra cosa è il restituirne le Sue infinite ipòstasi.

Post-illa eretica
 
Chi parlando delle opere di Bartolo Iurato ne ha evidenziato anzitutto la genesi, anteponendo quindi la biografia dell'artista alla lettura stessa delle opere e facendone in ultima analisi una sorta di 'agiografia minore', suggerisce involontariamente una interpretazione dell'opera alternativa a quella da me abbozzata.

Il culto dei 'Santi' di cui si è detto sopra, potrebbe facilmente essere rovesciato in un paradossale culto dei 'Criminali'. L'esperienza sconvolgente del carcere, dove Bartolo fu rinchiuso per qualche tempo nel 1999 e che avrebbe determinato la sua presa di coscienza artistica, giustifica l'affermazione dal punto di vista biografico.

L'affermazione sarebbe poi corroborata da una nuova lettura delle maschere, nelle quali lo schema ricorrente della croce potrebbe connotare in questo nuovo contesto la grata di una prigione, dietro la quale il volto pare confinato. Un volto 'innocente' se si dà fede alle rimostranze di Bartolo.

A ben vedere allora non c'è contraddizione tra questa e la precedente interpretazione dell'opera, si tratta al contrario di un arricchimento, giustificato peraltro anche dal punto di vista storico se ci si riferisce all'esperienza dei Santi martiri, i quali, agli occhi dei pagani altro non erano che pericolosi 'criminali'.

Rimando per le opere dell'artista al sito www.foto-sicilia.it

 





 
 
 
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