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I Fiori Del Male

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« Il cielo è azzurro sopra BerlinoMessaggio #145 »

Del delirio areniano. E della mia vita.

Post n°144 pubblicato il 13 Luglio 2006 da mia3v

Entrata cancello trentasette.
Ogni sera venti minuti di anticipo.

- “Scusi, mi darebbe le chiavi del trucco del reparto uomo?”
La solita frase, milioni di volte. E il solito sguardo libidinoso da uomo in balia della sua appendice.

- “A lei di chiavi ne darei quante ne vuole”.
La solita frase, milioni di volte. E il solito umorismo sottile, di nicchia oserei dire.

Prendo la chiave, l’unica che m’interessi, bocca obliqua e aria rassegnata, e senza rispondere mi dirigo in quel buco chiamato camerino dove non entra un filo d’aria forse dai tempi dell’Antica Roma.

Questa sera ante generale di Tosca.

Una trentina di parrucche senza nome e senza destinazione che campeggiano sulle teste di polistirolo dallo sguardo inquietante.
Bozzetti del trucco nemmeno uno. Conoscenza di come si svolgerà la prova ancora meno.
La trielina è finita, il mastice è appiccicato al suolo dall’ultima serata di Cavalleria Rusticana, per terra una quantità imbarazzante di lunghi capelli grigi. Sinistri quantomeno.
E non mi ricordo se appartengano ai vescovi, ai vescovi volanti, ai preti neri, agl’abati ubriachi.

I registi, è indubbio, devono avere un alto livello di assimilazione di sostanze psicotrope.

Inizio a sistemare, a pettinare i riccioli a una parrucca decadente che non smette di ricordarmi Tony Manero, a mettere la lacca a quell’inquietante toupet  rinvenuto direttamente da Arancia Meccanica, a preparare i pennelli perché ho sentito dire che in Tosca dovremo truccare una vasta serie di morti viventi.

Prendo le mie scartoffie, liste di coristi dalle svariate attitudini sessuali, comparse dalle opinabili attitudini intellettive, e mi preparo al tour infernale dei cameroni maschili.

Tenori I. Salgo le scale. Ops, forse avrei dovuto annunciarmi.
La vista di un decadente prototipo maschile dal ventre sottomesso alla forza di gravità mi fa capire l’errore dell’iniziativa. Giro sui tacchi e me ne vado. Pessime mutande, tra l’altro.

Tenori II, Bassi, Baritoni.

Una sarta mi chiede chi deve cucire le papaline per gli accoliti. Nemmeno so chi siano gli accoliti. Andrò ad approfondire.

Camerone comparse: il tripudio della giovinezza sposata all’idiozia.
200 “uomini” responsabili delle mie crisi di nervi giornaliere.

Entro.

Risolini, gomitate, umorismo da marciapiede.
- “Donna in camerone!”, gracchia un poco più che maggiorenne vestito da soldato.
Io ormai non rispondo nemmeno più, mezzo ghigno accondiscendente e continuo a fare quello che devo.

Le 30 mitre a cui abbiamo dovuto attaccare, ago e filo, i capelli, ci sono tutte. Già un passo avanti.

Me ne vado dopo essermi sentita dire di tutto.
Dalla fascista, alla rompicoglioni, all’aggressiva, alla bella bambolina.

- “Dieci minuti all’inizio della prova”.
La solita voce, da diec’anni credo, e si scatena la follia.

Attrezzisti che portano carretti, bottiglie di vino finte, coltelli e salami di plastica dentro e fuori il palcoscenico.
Macchinisti che trasportano un angelo dotato di un braccio meccanico che impugna una spada.
Una bestialità alta non so quanti metri. Forse una decina.
Coriste obese, parrucchiere in lacrime e costumiste piene di merletti, stoffe sinistre, aghi e fili.

Il regista insulta Tosca (la sostituta, quella principale è svenuta in camerino), il direttore d’orchestra insulta il regista, il direttore d’orchestra e il regista insultano le comparse che hanno sparato in una simultanea alquanto discutibile.
Dieci spari a ripetizione invece di uno soltanto.

Comparse e coristi insultano la sottoscritta.

Questa parrucca fa schifo, non voglio andare in giro con la chierica, non mi fare le trecce che poi sembro una figa, non mi mettere le basette finte perché sennò sembro un uomo.

Tutti sono pronti, più o meno.

Vescovi volanti che, imbragati, penderanno sospesi dalle gradinate areniate, avanzano per i corridoi con un costume abominevole. Otto chili di non so quale materiale. In faccia un passamontagna e sulla testa una mitra di mezzo metro.
I coristi hanno la parrucca bianca settecentesca, le donne la mantiglia pendente sulla faccia.

Entro dagl’artisti.

Mia madre, capo supremo, si è fatta esplodere in bocca unna capsula alimentare contenente sangue finto. Bisogna simulare la fucilazione di Cavaradossi.

Me ne vado, disgustata dal rivolo di sangue che esce dalla bocca di un’elegantissima e rispettabile signora di cinquant’anni.

Un macchinista, mio sogno erotico di vecchia data, mi offre un caffè.
Accetto e mentre  bevo faccio sogni estemporanei che di lirico hanno molto. Anche se magari non nel senso stretto del termine.

La trance sessuale si arresta quando un altro macchinista, trasportando Castel Sant’Angelo attraverso l’arco centrale, mi chiede perché mi servono dei preservativi.
Rispondo con qualche volgarità dissimulata, pensando al consueto spirito goliardico unidirezionale tipico degli spazi ad alta densità testosteronica.

Poi passa mia madre, sporca di sangue, che chiede ad alta voce se qualcuno abbia dei preservativi da prestarle.

Bisogna simulare un’ espolsione dell’aorta e i palloncini ad acqua non riescono a farli scoppiare.

- “Il preservativo si rompe solo quando non dovrebbe”, sentenzio.
Mi danno tutti ragione e si va alla ricerca di una via alternativa.

La prova finisce alle due.

Con Tosca morta e 1500 persone dietro le quinte che difficoltà vitali ne presentano ben di più.

Temporeggio per la città, due chiacchiere sotto l’ala areniana, un gelato perché l’alcol mi fa male e illazioni sulle turpi e presunte relazioni sessuali che si consumano tra gli arcovoli.

Pedalo in volata fino al garage, alle quattro sono a casa.
Ma nessun’oasi di pace mi attende dopo il delirio.
A casa mia, nella mia cucina per inciso, è in atto un festino.

Quattro persone appartenenti ad una variopinta e variegata varietà umana mangiano anguria  e spettegolano divertite.
C’è il truccatore, il gay per antonomasia, che di uomo credo non abbia nemmeno la produzione ormonale. Canta Donatella Rettore, per cedere allo stereotipo, e pensa che Peruzzi sia il primo portiere solo a causa della dimensione del quadricipite.
C’è la truccatrice, la maga del body painting e dei mostri creati con il lattice. Alta un metro e cinquanta per trenta chili, teme il sole ed ha un enorme drago orientale tatuato su tutto il braccio. Capelli rosa fucsia e una passione sfrenata per la storia medievale.
Non manca nemmeno la donna elettricista, chiaramente lesbica trattenuta. Se non fosse per quella mano, l’altro giorno, sul mio fondoschiena.

E poi c’è mia madre, vestita ancora di tutto punto che sentenzia che siamo tutti omosessuali.

Io non approfondisco, mi chiudo in camera e fumo uno spinello.

Magari domani un po’ di normalità entrerà anche dalle mie finestre.

 

 

 

 

 
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