Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
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Per una costante celebrazione della felicità

Post n°789 pubblicato il 30 Maggio 2012 da middlemarch_g
 

Ieri pomeriggio mi sono seduta al Caffè Pedrocchi dove preparano una cosa eccezionale. Non me la permetto mai, specie seduta, perché te la fanno pagare una cifra immorale. Due volte l'anno me la prendo in piedi. E in casi del tutto particolari, come ieri, mi spingo a poggiare le terga sui divanetti in velluto rosso, che fanno scattare l'aliquota al rialzo. Specie se ci piazzi un culo di dimensioni ragguardevoli come il mio.

La bevanda in questione si chiama come il locale: il Pedrocchi. E già questo ti dà la misura dell'esemplarità. Ha un colore e un aspetto meravigliosi. E ti scende giù come ambrosia. E' caffè caldo e amaro con crema di menta gelata e dolcissima. Che non si mischiano nella tazza. Si mischiano in bocca. L'occasione speciale era che mi sembrava il momento giusto per un'occasione speciale. Le mie occasioni speciali sono sempre parecchio tautologiche, e non si sbattono particolarmente per trovare un buon motivo d'esistere. Non occorre che accada niente di stupefacente. Basta pensare che ne vale la pena. Diciamo che ero sopravvissuta al terremoto, va bene? Che mi pare che basti e avanzi.

E poi, come se un evento del genere non fosse già più che sufficiente per giustificare se stesso - un pomeriggio tiepido di primavera, l'assenza di perturbazioni interiori, un Pedrocchi perfetto su un divanetto rosso del Listòn - la vita si è impegnata per segnalarmi che avevo visto giusto, e che se non avessi celebrato la gioia che deriva dall'assenza di motivazione particolare a favore del perfetto equilibrio generale, avrei perso un momento che era proprio il Momento.

In pieno surrealismo cromatico infatti, giusto di fronte a me, mentre sorseggiavo il Pedrocchi, ha preso posto un gruppo di orientali dall'aria vagamente birmana. E due di loro erano monaci buddisti vestiti di arancione. Identici sputati al Dalai. Dico in termini di abbigliamento, ché per il resto erano visibilmente più giovani. Riuscite a immaginare la scena? La placida, ricca, torpida, sonnacchiosa provincia padana appena appena destabilizzata dal tremore della viscere della terra qualche ora prima, che accoglie nel locale simbolo di una città e della storia di una nazione due monaci buddisti vestiti di un arancione impavido e sfacciato.

A un certo punto uno di loro ha alzato gli occhi e mi ha fissata per una decina di secondi. Uno sguardo stranissimo che rispondeva a codici completamente diversi da quelli a cui sono abituata. Era una cosa che diceva solo: ti vedo. Niente giudizi di merito. Niente etichette. Niente valutazioni post quem. Niente allusioni. Niente mistificazioni. Niente dissimulazioni. Ti vedo. Non c'è altro da aggiungere.

Avercene, di pomeriggi così.

 

 

 

 
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