Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
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Mercoledì scorso sono uscita di casa per andare al lavoro alle sette e dieci. M’ero messa una gonna bianca che mi piace molto con la precisa consapevolezza che sarebbe stata l’ultima volta per quest’anno. E’ una gonna estiva, da portare senza calze. Non faceva ancora fresco, ma sentivo che non sarebbe durata abbastanza per metterla ancora una volta. Cheneso, sarà stata la percezione della caducità del tempo, l’aria di autunno incipiente, o il senso elementare delle cose che cambiano. Poi sono entrata in macchina, ho acceso il motore, ho imboccato il vialetto, e appena girato l’angolo ho visto la mia gatta morta proprio all’angolo della strada. Aveva gli occhi spalancati, come se la cosa l’avesse sorpresa sulla via, nel momento preciso in cui posava in terra una delle sue quattro zampe pelose. Nessun segno di investimento – su quella strada si circola a 10 all’ora senza eccezioni, ci conosciamo tutti, il comprensorio è pieno di bambini e non c’è nessun criminale – per cui l’ipotesi più verosimile è che se la sia portata via la vecchiaia con un atto di clemenza e in un colpo solo. Martedì pomeriggio, meno di 12 ore prima, sembrava ancora in forma discreta. E la notte invece l’ha finita così.
Contemporaneamente, sul versante sud di questa improponibile penisola, ma sempre dal lato che affaccia verso l’Adriatico, Smilla con una flebo al braccio cercava di tirare avanti nello studio di un veterinario. Non ci conoscevamo, Smilla ed io. Da un certo punto di vista molto superficiale potremmo dire che non ci conosciamo neppure Annalà ed io. Annalà è la coinquilina di Smilla. Quella che paga l’affitto, cammina su due zampe e interloquisce verbalmente invece di miagolare. Questo se la conoscenza fosse un fatto assimilabile a un'interazione nozionistica. Il che non è. Ed è per questo che anche se non l'ho mai vista, sento di conoscere Annalà.
Quarantottore dopo, mentre ero in Toscana a studiare, Annalà mi ha scritto un sms. Anche Smilla aveva detto basta, e se n’era andata. Niente più flebo a trattenerla a forza all’interno del suo contenitore biologico di carne, ossa e pelo + vibrisse. Smilla e Lilli sono partite quasi insieme a due giorni di distanza.
Nell’intervallo tra le due giornate, tra la morte di Lilli e quella di Smilla, ho scritto un messaggio ad Annalà, che fra le altre cose diceva: “Era una gatta difficile, non si capiva mai di cosa avesse bisogno, aveva una cosa che assomigliava a un disturbo dell'attaccamento. Però è quando perdi un animale così strano che ti accorgi di quanto amore c'era in tutta quell'esasperazione che provocava." Lei mi ha risposto citando questa frase e aggiungendo: Stavo ripensando che quando ho letto mi è balzato alla mente un "quanto quella descrizione può adattarsi anche a me?"...che non sarebbe né un bene né un male. Sarebbe e basta, nel caso.
Sapete che vi dico? Che a pensarci meglio forse non esiste neppure un solo essere vivente a cui non si adatti una descrizione simile. Perché siamo tutti difficili, tutti abbiamo le idee confuse, tutti siamo ammalati di qualche forma più o meno patologica di disturbo dell’attaccamento. E anche se qualcuno la nasconde meglio di altri, tutti siamo ubriachi di quella stessa esasperazione d’amore che affliggeva Lilli, che tormenta Annalà, che si gonfia sulle nostre teste come un’onda anomala e certe volte ci porta via in un mare di lacrime perché non sentiremo più la voce particolare e unica di un felino tigrato con una macchia rossa in testa, che avevamo tirato via dalla pancia della madre 16 anni fa, e che c’è rimasto a fianco tutto il tempo necessario ad ascoltare il suono del suo primo e del suo ultimo respiro. Ed è stato un grande, amorevole privilegio.
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