Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
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L’altra sera ho visto Dario Fo e Franca Rame ospiti da Fazio. Hanno scritto un libro su Sant’Ambrogio perché a sentire loro è un santo meno celebre di quanto meriterebbe, un uomo straordinario e un noto fustigatore di costumi di quelli come oramai non se ne fanno più. Premetto subito che ho sentito solo una piccola parte dell’intervista. Per cui non so, magari più tardi hanno rettificato.
Però. C’è che sulla base di quelle due o tre cosette che so io di Sant’Ambrogio, tutto avrei potuto pensare tranne che definirlo uomo straordinario. Fustigatore di costumi, senz’altro. Ma i fustigatori di costumi non sono mai stati una categoria professionale per cui ho avuto grande simpatia, per cui la certezza che non si facciano più individui di questa tempra per me è solo motivo di grande conforto. Se pensate che gli anni della sua massima influenza politica presso la famiglia imperiale sono quelli che coincidono con la dichiarazione del cristianesimo religione di stato e conseguente messa al bando di qualsiasi altro credo, mi pare che ce ne sia d’avanzo per intuire la portata della rogna causata da quest’uomo.
E a parte questo, che comunque non mi pare poco, mi erano rimaste impresse un paio di cosette relative alla sua biografia che non me l’avevano reso molto simpatico. La prima era lo spolverone sollevato per i moti di Tessalonica a seguito dei quali Teodosio pensò fosse opportuno massacrare qualche migliaio di innocenti manu militari. Ah, be’, va detto: in quell’occasione Ambrogio si incazzò. Si incazzò di brutto. Prese una posizione di netta condanna. Accusò l’imperatore senza mezzi termini e se non mi sbaglio mi pare che arrivò addirittura a negargli la comunione. Il che è bello. Sottoscrivibile. Assolutamente degno. Non fosse per il dettaglio che quando qualche anno dopo in quella stessa città dei ragazzetti intraprendenti diedero fuoco alla sinagoga locale con qualche decina di ebrei dentro, il fulgore polemico di Ambrogio subì un’inversione di tendenza. D’improvviso ammazzare innocenti e dar fuoco a un edifico di culto non era più una cosa così riprovevole come era stata nella precedente occasione. E poi si sa. Che sarà mai. So’ ragazzi. E’ la tempesta ormonale. La joie de vivre. Non mi pare il caso di starla a fare tanto lunga. Difatti la cosa finì senza colpevoli. E sempre sia lodato il signore Gesù Cristo.
E poi fu protagonista di un’altra storia moralmente meno grave, ma così emblematica di quello che sarebbero stati i secoli futuri, così tristemente predittiva dei funesti scenari a venire, che ancora oggi se ci penso mi viene da piangere. Nella sede del senato, a Roma, c’era ancora un altare dedicato alla Vittoria che stava lì dall’epoca di Augusto. I tempi erano cambiati, d’accordo. Ormai la maggioranza dei cittadini dell’impero, senatori compresi, erano cristiani. Eppure quell’altare testimoniava del passato, del culto degli antenati, del valore della tradizione, di quello che aveva reso grande Roma. Insomma, non si capisce bene perché, a un certo punto su questo cosa Ambrogio andò in totale paranoia, e da Milano, missiva su missiva, cominciò a sfracassare le palle di tutte le autorità competenti di Roma sul fatto che un altare simile, dedicato a una divinità pagana in un luogo pubblico, era una cosa inammissibile.
Uno dei pochi senatori rimasti ancora pagani, si chiamava Aurelio Simmaco, cercò di calmarlo e pronunciò una pubblica difesa che si è conservata. All’incirca diceva così: siamo stati grandi perché abbiamo saputo convivere per otto secoli nella diversità. Popoli diversi, culti diversi, etnie diverse, lingue diverse, e un unico grande stato che ha dato la forma al mondo. Lasciamo quell’altare dov’è che non fa male a nessuno, e che sia il ricordo della matrice da cui tutti proveniamo.
E’ bello no? E condivisibile, mi pare. Eppure la sede del senato a Roma c’è ancora, accanto all’arco di Settimio Severo. E’ uno dei pochi edifici del foro romano rimasto in piedi. Andate a vederlo, se vi capita. Entrate dentro. Ce lo vedete voi l’altare della Vittoria? No, non ce lo vedete. Non ce lo vedete più perché l’hanno tolto dal IV secolo. Tutto per colpa del vescovo di Milano. Che a Simmaco rispose così: non congruunt igitur vestra nobiscum. Ed è difficile pensare alla sintesi di un'era che sia più efficace di questa.
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