Creato da mohamed21 il 01/03/2007

Mohamed H. Kalif

Consulente del Lavoro (Email: mhk.consul@gmail.com)

 

 

Maternità, entità indennità

Post n°382 pubblicato il 19 Ottobre 2022 da mohamed21
 

Buongiorno,

le norme in materia di maternità prevedono l’interdizione dal lavoro per le lavoratrici dipendenti in stato di gravidanza per un arco temporale di cinque mesi (D.Lgs. 151/2001). La collocazione del periodo di interdizione è compresa tra i due mesi precedenti e i tre successivi alla data presunta del parto. In questi cinque mesi vige il divieto per la dipendente di lavorare per la propria azienda e altresì per soggetti terzi estranei al rapporto di lavoro. A fronte di ciò l’Inps garantisce il riconoscimento di un importo, denominato indennità per maternità obbligatoria, equivalente all’ottanta per cento della retribuzione a cui avrebbe avuto diritto se la dipendente avesse regolarmente espletato la propria prestazione lavorativa. A questo importo andrà sommata la quota a carico dell’azienda, a sua volta denominata integrazione maternità conto ditta, e che generalmente è del venti per cento della retribuzione media spettante a norma del contratto collettivo nazionale applicato. La somma di questi due importi consentirà alla lavoratrice di beneficiare di uno stipendio mensile pari a quello dei mesi pregressi di ordinaria attività lavorativa. Il medesimo criterio non ricorre in caso di maternità anticipata e l’entità complessiva dell’importo potrà dunque essere inferiore. Il pagamento dell’indennità avverrà tramite l’azienda che a sua volta si farà rimborsare la quota a carico dell’Inps mediante l’istituto della compensazione (F24). Nello stesso periodo vige anche il diritto alla maturazione integrale dei ratei e dell’anzianità di servizio in merito a ferie, permessi, scatti di anzianità, trattamento di fine rapporto, tredicesima e quattordicesima per i Ccnl in cui è prevista questa ulteriore mensilità. In sostanza durante il periodo di interdizione il rapporto di lavoro viene sospeso, non avviene la normale prestazione lavorativa ma il contratto tra le parti continua ugualmente a produrre i suoi effetti sul piano legale ed economico.

Grazie e buona giornata.

Mohamed H. Kalif
Consulente del Lavoro

Amministrazione del personale, Isee,

Dichiarazione dei redditi, Imu, Forfettari,
Locazioni, Colf, Reddito di cittadinanza

 
 
 

Videosorveglianza e gli altri strumenti di controllo a distanza (Seconda parte)

Post n°381 pubblicato il 12 Ottobre 2022 da mohamed21
 

 

Buongiorno,
oggi concludiamo il tema iniziato con una precedente informativa trattando gli ulteriori strumenti di controllo a distanza in ambito lavorativo.
Generalmente per altri strumenti di controllo a distanza si intende il computer aziendale, sia esso fisso o portatile, il tablet, telefono e la email che si usa per le attività lavorative. Tutti questi strumenti sono accumunati dalla circostanza di essere messi a disposizione del lavoratore per l’espletazione della prestazione lavorativa. Ogni altro utilizzo che esuli da tale attività non è consentito e in linea teorica potrebbe essere sanzionato dall’azienda. Le eventuali sanzioni possono consistere in semplici richiami verbali, lettere di contestazione disciplinare o, nei casi più gravi, persino nel licenziamento del lavoratore. E’ opportuno dunque non utilizzare negli orari di lavoro tali strumenti per fini privati, l’azienda ha la facoltà e le possibilità tecniche per verificare l’improprio utilizzo e agire nelle forme più opportune per tutelarsi. Il lavoratore che si trovi in tale circostanza è inadempiente sul piano contrattuale e vi sono diverse sentenze relative a licenziamenti per reiterato improprio utilizzo di computer o telefoni aziendali. A differenza della videosorveglianza, inoltre, non vige in questo ambito una normativa stringente o procedure specifiche da seguire come l’intesa sindacale o l’autorizzazione amministrativa dell’Ispettorato del lavoro. Per avviare questo tipo di controllo a distanza è sufficiente preventivamente informare i lavoratori di possibili verifiche e di conseguenti eventuali sanzioni. E’ auspicabile quindi che il lavoratore eviti di trovarsi in situazioni che potrebbero compromettere il rapporto fiduciario con la propria azienda; è altresì auspicabile che eventuali controlli da parte dell’azienda vengano circoscritti alle situazioni più critiche e che, in ogni caso, non avvengano in forme tali da ledere considerevolmente la riservatezza e dignità del lavoratore.

Grazie e buona giornata.

Mohamed H. Kalif
Consulente del Lavoro

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Otto

Post n°380 pubblicato il 08 Ottobre 2022 da mohamed21
 

Sono al secondo sorso di questa bevanda nera e nella mia mente è improvvisamente riaffiorato qualcosa di singolare, inusuale e purtroppo dal chiaro carattere sinistro. Un qualcosa di rilevante accaduto circa dieci giorni fa a Dublino e di cui mi ero completamente dimenticato. Almeno fino a oggi.
- - - - -
Era notte, ero solo e mi trovavo inspiegabilmente nei dintorni della centralissima O’Connell street. Ero in giro per la città senza una meta e certamente senza un motivo. Ero disperato.
Dopo aver camminato diverse ore senza scopo mi ritrovo sfortunatamente in una via centrale con traffico, rumori, umori, semafori e autisti dall’irresponsabile guida a sinistra. Era pieno di guidatori ignavi e di un delirio di genti che mi stavano portando dal terrore alla pazzia. Stavo per accingermi a chiedere aiuto ma poi all’ultimo non ho chiamato la polizia per evitare domande riguardo alla mia presenza a Dublino. “Cosa fa in quest’ora a O’Connell street ?”
Ho evitato la polizia.
Capisco quindi che posso contare solo sulle mie forze interiori e decido di reagire dopo venti minuti di immobilità nei pressi di un semaforo.
Luce verde ora.
Mi faccio coraggio e prendo di corsa la prima stradina che incontro, una stradina piccola alla mia sinistra, e mi allontano subito da quel luogo di perdizione. Sono cosciente di non essere più giovane e di non essere in grado di ricevere un insieme intenso e incontrollato di impulsi dal mondo esterno. Mi devo quindi tutelare da luoghi demoniaci come O’Connell street. Percorro dunque alcuni metri in questa via adiacente e dopo qualche secondo inizio a calmarmi per il solo fatto di averla intrapresa. Passati due minuti circa rallento il mio passo e inizio a respirare e a cantare come faceva il nostro Remigio da Varagine. Tutto ciò che vedo improvvisamente mi appare sublime, superbo e ho la sensazione di essere non a Dublino ma in una nuova Antinopoli. I sassi stanno per divenire oro qui e ne devo approfittare per ammirare la mutazione e tutto questo ben di Dio. Sono ad Antinopoli, questa via è un idillio e mi ritengo fortunato di essere capitato in questo posto proprio ora. Qui vedo davvero tutto, persino il passato, e ho finalmente inteso il motivo della mia venuta in questa terra in quel lontano sabato d’agosto. Ora vedo troppo, persino il futuro, e finanche una sgraziata statua alla mia sinistra che probabilmente verrà posta qui tra alcuni secoli. Una statua raffigurante una maldestra quanto mal riuscita rappresentazione di un uomo di mezza età dall’indole incerta e con profonde crisi interiori. Un uomo in grandi difficoltà che il futuro purtroppo ci riserverà.
Alt.
Ora è necessario ragionare e tornare per qualche istante al presente e nella terra ferma di oggi.
Dublino, agosto 2015.
E’ vero che ritengo di essere in una Antinopoli avulsa dal tempo ma è altrettanto vero che in realtà sono a Dublino e che, teoricamente, potrei imbattermi in questo tempo presente nella statua del signor J.J., James Joyce.
Alt di nuovo.
Io sapevo che qui, prima o poi, mi sarei potuto imbattere nella statua di Joyce ma mai e poi mai avrei immaginato di trovarla all’improvviso in una desolata e secondaria via di Dublino. E poi mai avrei potuto pensare di vederla in una notte come questa in cui non sono pronto a ricevere un insieme intenso e incontrollato di impulsi dal mondo esterno. Joyce si trova in una via piccola, laterale, probabilmente poco frequentata e ciò già di per sé si configura come un terribile delitto. Mi sarei augurato di vederla nel bel mezzo di un’estesa piazza centrale o in un Gianicolo se a Dublino ne possiedono uno. Avete presente la statua di Garibaldi a cavallo che sovrasta Roma dall’alto e che al primo sgarro è pronta a piombare sul bar San Callisto ? Io immaginavo una cosa del genere e ritengo che la statua del grande Joyce dovrebbe avere la medesima importanza del marinaio nizzardo. Oltretutto Joyce non ha mai fatto guerre e quindi, da un certo punto di vista, è anche più importante degli eroi di ventura che come tutti gli eroi sono scomparsi con la medesima velocità con cui erano apparsi. Gianicolo ci vorrebbe non questa via anonima, buia e fredda nonostante sia agosto. Joyce qui è ridotto male, umiliato, vi è una mancanza grave e la colpa è solo dei dublinesi dubbiosi. Quello che ho di fronte è un Joyce morto che costringe tutti noi alla disillusione e quindi alla conseguente scomparsa. Il mio viaggio è finito oggi ed è opportuno che tristemente ne prenda atto. In principio c’era solo Lee Morgan, è vero, ma James Joyce aveva la sua importanza in quest’isola e ho commesso un errore a non tenerne conto in tutti questi giorni. Dopo tutto sono nel luogo in cui è vissuto Leopold Bloom e la mia dimenticanza assume nei fatti i connotati di una colpa. Dovevo considerare nella giusta maniera anche le persone del posto che sono in gran parte educate, gentili, sorridenti ma al contempo dissacranti. Hanno addirittura avuto l’audacia di apostrofare la statua di James come quella de “L’idiota con il bastone”. Una descrizione che dissacra e che Joyce avrebbe forse apprezzato ma che io ritengo irricevibile. Ci vuole rispetto nella vita e lo ci vuole per tutti, sia per i vivi che per i morti anche qualora fossero concordi con la dissacrazione di cui sono oggetto.
- - - - -
Adesso ricordo nitidamente che nella notte in cui ho visto Joyce non ho fatto altro che meditare per ore sui reali motivi della dissacrazione. Ho riflettuto a lungo e sono giunto alla conclusione che i dissacratori come tutti noi sono soggiacenti alle ancestrali passioni umane. Chi dissacra ha probabilmente letto l’“Ulisse”, non l’ha apprezzato e l’unica consolazione residua è quella di sminuire in modo perpetuo l’anima del suo povero autore.
L’unico che invece non sembra essere vittima delle ancestrali passioni umane è il proprietario del locale in cui mi trovo ora, qui a Sligo.
Addio incubo di dieci giorni fa allora: Sligo, tempo del presente e della lucidità. Adesso.
Il gestore di questo locale è una brava persona e di ciò sono certo anche se non ho parlato di nulla con lui. Questo signore a me garba e sembra essere una persona seria e a suo modo indignata con i dissacratori. E’ anche possibile che il signor innominato sia un joyciano della prima ora poiché è di poche parole, e questa sublime caratteristica è idonea di per sé per essere definiti joyciani. E poi non è compiacente con la clientela solo “chiacchere e portafogli” e questo secondo aspetto, qualora non fosse sufficiente il precedente, lo pone certamente e di diritto tra gli ultra joyciani di Sligo est. Queste verità a me rilassano e allietano questa serata funestata dall’orrendo ricordo affiorato alcuni istanti fa. Fortunatamente sono nel locale di un joyciano il cui motto è “Dissacra il dissacratore, riverisci Joyce”, e sono felice di essere dalla sua parte.
“Dissacra il dissacratore” per favore e fallo subito amico di Sligo est, grazie.
Se Joyce fosse qui credo che diverrebbe joyciano come questo signore e sono certo che ripudierebbe descrizioni dublinesi come “L’idiota con il bastone”.
Comunque, ora è meglio rilassarsi e pensare al piano della serata che prevede una lesta uscita dal locale per vedermi con due dorotei incontrati oggi pomeriggio in una piazza vicino al centro.
Ma forse però no, credo che sia meglio di no.
No e “Dissacra il dissacratore”, sempre !
E voi ? Cosa ne pensate ? Secondo voi è il caso di lasciare questo piccolo paradiso per incontrarmi con dei carneadi sconosciuti e con ben 1.048.576 tatuaggi sul corpo ? Questa stessa domanda l’ho posta anche a loro prima di congedarci nel pomeriggio e sorpresi mi hanno risposto “Certo che verrai, ci sembri una brava persona e siamo sicurissimi che più tardi ci vedremo. A dopo e…… haaaii !”.
In ogni caso però non mi conoscono e presumo che non mi conosceranno anche se, nel mondo infinito delle variabili aleatorie, vi è in linea di principio la possibilità teorica che io vada all’appuntamento di questa sera. Questa possibilità esiste ed è della stessa entità di trovare Angela Merkel fare in fretta baracca e burattini e fuggire a Damasco per chiedere asilo politico a Bashar al-Assad. Quindi, considerata bene la questione Merkel di Germania, e tenuto presente la divergenza tra ciò che è possibile e ciò che è realistico, io non credo che andrò a incontrare i dorotei di Sligo est. E poi la guinness di qui è buona e aiuta a far riflettere sul vero motivo del viaggio in questa terra in perenne lotta con il vento (Endeus caro, io ti riverisco).
Ormai è anche chiaro che la questione Lee Morgan mi ha distratto troppo rispetto a circostanze che avrei dovuto approfondire, studiare, analizzare, correlare e ciò per un joyciano è una grave colpa. Possiamo in conclusione e con serenità affermare che James Joyce in questo esatto momento si trova a Dublino sorretto da un bastone di legno ? No, non possiamo affermarlo perché ciò che si trova lì è solo e soltanto un’indebita iconoclastia di simpatici e in egual tempo dissacranti dubliners.
Ora posso tornare a casa.
Sligo, 21/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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The Gigolo - Lee Morgan
(1965 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Wayne Shorter, sassofono tenore
Harold Mabern, pianoforte
Bob Cranshaw, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 
 
 

Contributi Inps lavoro domestico - Terzo trimestre 2022

Post n°379 pubblicato il 05 Ottobre 2022 da mohamed21
 

Buongiorno,

se ti avvali del supporto di una persona addetta all’assistenza di familiari non autosufficienti, come ad esempio per anziani e bambini, o al supporto della famiglia come nel caso dei servizi domestici, entro il prossimo 10/10/2022 sarà necessario pagare il bollettino relativo ai contributi Inps. Questo bollettino si riferisce al numero totale di ore di lavoro effettuate nel periodo 01/07/2022 - 30/09/2022, ovvero il terzo trimestre dell’anno 2022. Più ore di lavoro saranno state effettuate in questo arco di tempo e maggiori saranno di conseguenza i contributi dovuti. Generalmente l’Inps invia al domicilio del datore di lavoro dei bollettini precompilati e sarebbe opportuno non utilizzarli in quanto, oltre a non riportare l’importo relativo alla cassa colf, potrebbero non essere in linea con le ore effettivamente lavorate nel trimestre. E’ opportuno quindi accedere con le tue credenziale al portale dell’Inps (Vedi link in basso), inserire manualmente il numero di ore effettivamente lavorate, riportare l’importo relativo alla cassa colf e stampare direttamente dal portale il nuovo bollettino. Se non l’hai mai eseguita questa procedura potrebbe non essere semplice e, qualora ve ne fosse necessità, contattami che avrò il piacere di fornirti celermente l’assistenza occorrente. In basso ti riporto in ogni caso il link del portale per l’eventuale predisposizione in autonomia del bollettino relativo al terzo trimestre 2022.

Grazie e un caro saluto.

https://serviziweb2.inps.it/PagamentiBollettiniLD/accessoUtente.do

Mohamed H. Kalif
Consulente del Lavoro

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Sette

Post n°377 pubblicato il 01 Ottobre 2022 da mohamed21
 

“Hanno sparato a Lee Morgan”.
Quando hanno sparato Lee Morgan si è spento e da quell’istante non ha più brillato.
Helen Moore ha agito e Lee è caduto, come fosse morto, e poi è per davvero morto. Il tutto è accaduto in un nevoso sabato di febbraio del settantadue e nonostante che in tal modo Helen Moore non avesse voluto.
Gli anni che ci separano da quella notte sono quarantatré e molti dei presenti a quell’evento sono ancora increduli. Una notte fredda che ha mutato la vita di Helen, quella di Lee e per alcuni aspetti anche la mia seppur nella sua accezione postuma. Helen Moore ha sparato, boom, e Morgan Lee allo Slug’s è caduto. E’ andato giù e lo ha fatto da eroe proprio mentre suonava la sua tromba a cui per fortuna nostra è stato risparmiato il colpo di grazia. Morire sul palco mentre si suona non è per tutti ed è l’unico jazzista a cui ciò sia accaduto. Ha un qualcosa di speciale in questo e a mio avviso è il Dorando Pietri americano anche se a differenza sua non ha avuto la vita salva. A Lee hanno sparato mentre a Pietri hanno permesso di arrivare vivo, seppur quasi morente, ma ancora vivo al traguardo.
A mezzanotte e un quarto del diciannove febbraio millenovecentosettantadue Helen Moore è entrata nel locale, ha teso il braccio destro, mirato al dono della vita e poi . . . boom ! Addio Morgan Lee, stai per cadere, ora !
All’epoca di quell’evento Lee era già nella fase discendente della sua parabola e Helen Moore ha concorso nell’accelerarne il percorso naturale. Percorso naturale il cui apice era già passato nonostante nel settantadue avesse trentatré insufficienti anni. E sapete cosa ciò può significare ? O che è stato un genio o ha ingenuamente bruciato tutte le tappe che aveva a disposizione. Credo di conoscere Lee sul piano del concetto e ritengo che lui abbia sicuramente e ingenuamente bruciato tutte le sue tappe. E poi i geni non esistono e anche qualora esistessero non nascerebbero tra gli esseri di questo pianeta. E’ acclarato dalla storia che alcuno ha capacità, facoltà o peculiarità innate e migliori a quella di altri esseri a egli simili. Siamo tutti uguali nella fase di partenza e l’unica differenza che può esistere, e solo dopo molti anni dalla partenza, è quella tra coloro che si impegnano e coloro che non si impegnano lungo il proprio cammino. Il volere è l’unico discrimine in merito alla sorte degli uomini, che possono tutto, e la vita di Lee è un’inequivocabile dimostrazione a tale riguardo. Se si intraprende un sentiero e ci si impegna per arrivare alla meta è praticamente certo che alla fine si giungerà sani e salvi nell’esatto punto desiderato. Il tutto in questo mondo è sostanzialmente possibile e lo è da diversi secoli, forse da millenni. Prendete ad esempio Lee Morgan e i quindici anni di avventura in jazz nonostante in quei tempi esistessero John Coltrane, Wayne Shorter e Art Blakey. Prendete solo questo esempio e tenete a mente che, dato che il volere è l’unico discrimine e che il tutto è possibile, Lee Morgan riuscì ugualmente a trovare il suo spazio a New York e il suo percorso fu addirittura una magnifica ascesa. Come buona parte dei jazzisti degli anni sessanta, però, anche lui venne dalla droga accerchiato e purtroppo anche completamente piegato. Quando Lee Morgan pubblicò “Search for the New Land” era già profondamente immerso in quel mondo di dipendenza e perdizione a cui quelle polveri malefiche celermente conducono. E la signora Helen ? Non intendo giustificarla ma credo certamente di comprenderla. Vivere per anni e anni con uno dei massimi esponenti dell’epoca d’oro del jazz non deve essere stato facile; vivere anni e anni con Lee Morgan persona deve invece essere certamente stato un incubo. Il colpo di pistola di Helen era dettato dall’amore nei suoi confronti e dall’impossibilità di cambiare la loro insostenibile condizione. “Hanno sparato a Lee Morgan” fu l’ignobile frase gridata in quella notte a New York ma alcuno, purtroppo, provò ad andare oltre a quella volgare semplificazione in neolingua. Helen Moore venne dunque arrestata e celermente tradotta nel terribile penitenziario dell’isola di Rider. Rimase lì per anni senza nessuno e afflitta da seri problemi di salute per le dure condizioni di detenzione. Solo dopo diverso tempo quando si constatò l’impossibilità di tenere in prigione una persona in precarie condizioni psicofisiche come le sue, Helen Moore venne rilasciata e si trasferì in North Carolina dove diversi anni addietro nacque. Nel millenovecentonovantasei tornò a parlare per la prima e unica volta dei fatti di quella notte e fu incredibile il patos che traspariva ancora dalle sue parole a tanti anni di distanza. Nel millenovecentonovantasei era ancora incredula per ciò che le accadde e riferiva dell’evento come se non fosse stata lei a causarlo. Parlava del fatto come se fosse stata una spettatrice che assistette suo malgrado all’addio dell’inarrivabile Lee Morgan. Questa intervista si trova ancora in rete e auspico vivamente che vi resti in eterno per donare il verbo anche agli esseri erranti.
Belfast, 18/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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Search for the new land - Lee Morgan
(1964 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Wayne Shorter, sassofono tenore
Grant Green, chitarra
Herbie Hancock, pianoforte
Reggie Workman, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 
 
 

Locazione a canone libero e concordato

Post n°376 pubblicato il 28 Settembre 2022 da mohamed21
 
Tag: Fisco

Buongiorno,
il contratto di locazione è un accordo scritto tra due parti relativo al possesso di un immobile a uso abitativo per un tempo determinato (Legge 431/1998). I due soggetti coinvolti sono il proprietario della casa, denominato locatore, e colui che prende il possesso della stessa ovvero il conduttore. Diversamente dal comodato questo accordo prevede il pagamento di un canone e di due o tre mensilità a titolo di caparra come garanzia per il locatore. Le norme in materia di locazione prevedono diverse fattispecie di locazione come il contratto a canone libero, quello a canone concordato, il transitorio e quello per gli studenti.
La prima tipologia è quella più diffusa e consente un ampio margine di iniziativa alle parti che possono determinare l’ammontare del canone, la cadenza di pagamento, le spese accessorie, il numero delle caparre ed eventuali ulteriore clausole contrattuali. La sua durata è di quattro anni più ulteriori quattro e al termine dell’ottavo, se nessuna delle due parti recede, il contratto si proroga automaticamente per il medesimo periodo precedentemente fissato.
La locazione con canone concordato, invece, è molto diversa dalla precedente in quanto il margine di iniziativa, in special modo per quanto concerne la volontà di mediazione del locatore, è considerevolmente limitata se non addirittura annullata. A riguardo l’importo della locazione non può essere superiore a quello determinato a livello locale dalle organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini maggiormente rappresentative. Questi importi tengono in considerazione diversi fattori come la densità abitativa dei comuni, l’entità della superficie dell’immobile, la presenza di balconi, ascensori e di altri elementi accessori riferiti alla casa. La durata del concordato è di tre anni più ulteriori due e al termine del quinto, se nessuna delle due parti recede, valgono le medesime regole previste per la locazione a canone libero. A fronte della limitazione sul piano dell’entità dei canoni, e per incentivare il ricorso al concordato per i locatori, le norme prevedono considerevoli incentivi fiscali consistenti in una riduzione del 30% della base imponibile ai fini Irpef, della stessa percentuale ai fini dell’imposta di registro e del 25% per l’Imposta municipale unica (Imu). Sia il canone libero che il concordato necessitano di essere registrati al portale dell’Agenzia delle Entrate qualora la loro durata sia superiore a trenta giorni.
Infine vi è il contratto transitorio, quello per gli studenti e la cedolare secca, che diversamente dagli altri non è una fattispecie contrattuale ma un’opzione fiscale, e che tratteremo compiutamente in due informative differenti nel corso delle prossime settimane.
Grazie e buona giornata.
Mohamed H. Kalif
Consulente del Lavoro
Amministrazione del personale,
Dichiarazione dei redditi, Isee, Forfettari,
Locazioni, Colf, Reddito di cittadinanza

 
 
 

Bonus 200,00 euro autonomi

Post n°375 pubblicato il 26 Settembre 2022 da mohamed21

Buongiorno,
da oggi pomeriggio si possono inviare le istanze per il bonus 200,00 euro previsto per gli autonomi con partita iva. Se hai avuto nell'anno 2021 un reddito inferiore a 35.000,00 euro e intendi beneficiare del bonus, è necessario inoltrare la domanda tramite spid all’Inps e o all’ente di previdenza a cui sei iscritto. La procedura è molto semplice ma se dovessi avere necessità di ulteriori informazioni non esitare a contattarmi. Grazie.
Mohamed H. Kalif
Consulente del Lavoro
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Dichiarazione dei redditi, Isee, Forfettari,
Locazioni, Colf, Reddito di cittadinanza

 
 
 

Sei

Post n°374 pubblicato il 24 Settembre 2022 da mohamed21
 

La maleducazione a volte si vede anche in queste piccole cose.
Credo che oggi sono stato maleducato, o educato male, e il problema è dipeso ancora una volta dalla fiducia nell’esperienza. Ciò è una cosa su cui persevero da anni e ha assunto ormai i connotati di una colpa. Il non vedo e il non sento non possono continuare a essere la soluzione del tutto. Devo continuare a vedere e soprattutto devo continuare a sentire. Tale fatto mi è stato più volte chiarito nella sua massima potenza e in tutte le sue forme e oggi, in questo bar dimenticato dal mondo, ho ancora capito delle cose molto importanti.
Stavo tranquillamente bevendo un cappuccino e per rispetto ai poveri d’Irlanda lo stavo bevendo senza schiuma. All’improvviso la porta alle mie spalle si apre e sento una donna esclamare un energico e squillante “Good morning !”. Nel bar eravamo in tre, io la barista e il cassiere, e ho intelligentemente pensato “Stai tranquillo vecchio mio, non ti girare e continua a bere. E’ una loro amica, non è affar tuo e pensa alla tua vita e alla colazione che questo povero cappuccino senza schiuma è rispettosissimo !”. Passati alcuni secondi noto che nessuno dei tre, ovvero io la barista e il cassiere, ha risposto al caloroso ed energico saluto della signora. Finisco il cappuccino, lo pago e guardo la barista e il cassiere come fossero dei maleducati giammai timorati. Con gli occhi e lo spirito invio un messaggio chiaro in cui dico “Signora e signore, mi rincresce molto ma credo che non sia consono negare il buongiorno ad alcuno. Questo bar è vostro, una signora vi ha salutato e voi non avete risposto. Signora e signore, presumo che siate dei giammai timorati e mi duole informare che non metterò più piede in questo posto. Addio Bar !”.
Li saluto freddamente e come la pantera rosa mi dirigo fiero e a testa alta verso la porta della libertà. Prima di uscire però vedo la signora del “buongiorno” e mi accorgo che è la cameriera del bar, è una loro collega e quell’allegro ed energico buongiorno era probabilmente diretto a me. Accidenti !
Mi giro verso la barista, mi rigiro verso il cassiere e capisco immediatamente che anche loro hanno capito ciò che io ho inteso. Risaluto tutti e tre di fretta ed esco dal locale urtando inavvertitamente contro una sedia alla mia sinistra. Non contento ripasso di nuovo di fronte al bar e cerco gli occhi della cameriera “buongiorno”. Dopo alcuni secondi li vedo, mi vede, saluto, risaluto, sorrido e vado via di corsa alla stazione degli autobus urtando, questa volta, contro un enorme albero alla mia destra. Poi lei esce dal locale per capire se stessi bene o fossi pazzo, e io seguito lungo la mia strada più sollevato, felice e fortunatamente senza più urtar alcuno.
Forse in parte ho riparato i dispiaceri che periodicamente mi riserva l’asettica esperienza. Non vi è dubbio che i timorati in realtà erano proprio loro mentre il maleducato in quel bar sono stato io. Allora devo cercare di salutare, devo rispondere al salutare e soprattutto quando sono di spalle in Irlanda ponentina per precauzione è opportuno sempre salutare.
Lungo il tragitto per Belfast, 16/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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Twice around - Lee Morgan
(1964 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Jackie McLean, sassofono contralto
Curtis Fuller, trombone
McCoy Tyner, pianoforte
Bob Cranshaw, contrabbasso
Art Blakey, batteria

 
 
 

Infortunio in itinere

Post n°373 pubblicato il 21 Settembre 2022 da mohamed21
 

Buongiorno,
per infortunio in itinere si intende l’incidente occorso al lavoratore dipendente durante il percorso che collega il suo domicilio al luogo di lavoro. Non è occorrente che sia avvenuto con l’autoveicolo in quanto la norma contempla anche moto, motocicli, biciclette e persino lo spostamento a piedi. A prescindere dal mezzo utilizzato è richiesto, al fine di ottenere l’indennità prevista, che il percorso effettuato sia il più breve tra quelli possibili e non vi siano state pause o deviazioni durante il tragitto. Eventuali brevi pause o deviazioni sono possibili se di natura inderogabile, come ad esempio l’accompagnamento a scuola dei propri figli, o per cause di forza maggiore come in caso di deviazione per lavori stradali.
Se dunque si dovesse verificare un infortunio di questo tipo e vi fossero le tre condizioni sopra richiamate, è possibile richiedere l’indennità specificamente prevista dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail).
In realtà però non è semplice ottenerne il riconoscimento perché in fase di richiesta è occorrente dimostrare che l’uso del mezzo privato, nell’eventualità ad esempio di un incidente stradale, era necessario perché il tragitto casa lavoro non è collegato dai mezzi di trasporto pubblici. Se non si è in grado di dimostrare ciò l’Inail non riconoscerà l’indennità in quanto il mezzo privato non è ritenuto indispensabile per recarsi al lavoro. Ciò è una limitazione di natura considerevole che ha però una sua valida ragione di esistere poiché, diversamente, una parte degli innumerevoli incidenti quotidiani verrebbe denunciata come infortunio in itinere con conseguente danno per la collettività. Dal punto di vista dell’Inail l’uso quotidiano e non necessario di macchina, moto e motociclo aumenta esponenzialmente il rischio e il ricorso abnorme all’utilizzo degli stessi fa rientrare l’infortunio nell’alveo del rischio elettivo che, in base alle norme vigenti in materia di lavoro, non prevede un indennizzo a carico della collettività. Condizione principale affinché vi sia un infortunio in itinere, infatti, è che l’infortunato non abbia concorso direttamente o indirettamente all’evento e il mezzo privato che sostanzialmente integra il rischio elettivo è considerato dall’Istituto un concorso evidente della seconda fattispecie.

Grazie e buona giornata.

Mohamed H. Kalif
Consulente del Lavoro

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Locazioni, Colf, Reddito di cittadinanza

 
 
 

Cinque

Post n°372 pubblicato il 17 Settembre 2022 da mohamed21
 

Oggi è il mio non compleanno, mi trovo alle isole Aran, precisamente nell’isola di Inishmore, e sono stato a letto per tutto il giorno. Anche ieri sono stato a letto per tutto il giorno e il gestore del dormitorio in cui mi trovo pensa che io sia malato o portato qui contro le mie volontà. In tutto il dormitorio credo che siamo solo in tre di cui uno è silente, scalzo e da ore in piedi davanti al mio letto. E’ l’unica persona con cui condivido la camerata e dovrei, secondo i trattati della buona creanza, presentarmi ma presumo che in questo caso sia auspicabile procedere secondo i trattati della buona prudenza. Meglio quindi il silenzio e questi sinistri piedi scalzi taglia quarantacinque.
Inishmore: un’isola particolare in cui nonostante il crescente turismo si vive come si viveva qui oltre cento anni fa. Gli abitanti sono lontani da tutto e tutti e accompagnati solo dal gelido vento dell’Atlantico oceano. Il numero complessivo delle persone non supera le settecento unità e l’unico medico di base dell’isola è probabilmente un massimalista. Questo medico è una signora sui cinquant’anni circa che oltre le persone cura anche i cavalli, le mucche, i cani, i gatti e le ultime aquile reali d’Irlanda. Per i galli e le galline non ho una certezza consolidata ma non escludo che la tipica educazione irlandese la porti a dare attenzione anche a quelle teste di legno che urlano al mattino senza motivo. A Inishmore poi c’è Rafael, il gestore di questo isolato dormitorio, e secondo me lui invece non è mai stato curato da nessuno. Rafael ha una bellissima fronte alta e nonostante ciò le malattie hanno provato a colpirlo lo stesso ma lui è riuscito a resistere e poi temerariamente a vincere. Quando sono arrivato qui ero molto tormentato e per l’occasione avevo imparato a memoria la frase che pronunciò il primo cristiano che mise piede sull’isola: “Ma chi me lo ha fatto fare ?” Quell’uomo si chiamava Endeus ed era un monaco che arrivò qui alla fine del quattrocento per trovare un posto sereno in cui diffondere il vangelo. Endeus però non fu accolto bene dai locali in quanto non parlava la loro lingua e dopo mesi e mesi di prediche in un idioma ignoto con ellissi e perifrasi, gli indigeni si innervosirono e lo imprigionarono per quaranta giorni al forte di Aengus. Nonostante ciò Endeus riuscì a resistere affrontando con onore la prigionia, il rigido clima e l’angoscia per il laicismo albergante nel cuore degli indigeni. Dopo aver scontato la pena Endeus riprese con basso profilo l’evangelizzazione e, per sentirsi più protetto, inviò missive annuali a Papa Ormisda per aggiornarlo sui problemi della vita e sull’evolversi della situazione nell’isola. Gran parte di quelle missive iniziali però non giunse a destinazione per l’inefficienza dei mezzi di trasporto irlandesi dell’epoca. E quelle poche che giunsero crearono disorientamento tra i collaboratori del Santo Padre perché Endeus, a cui era stato vietato di parlare il latino con gli abitanti dell’isola, con il passare del tempo si esprimeva sempre più con termini incomprensibili frutto di un singolare misto tra il latino e il gaelico delle isole Aran. Nonostante ciò dalla Santa Sede lo incoraggiavano e gli rispondevano seppur in modo diplomatico e sempre più evasivo. Purtroppo avendo perso il contatto diretto con lui non sapevano cosa gli fosse accaduto in quell’isola martoriata dai venti e anche se non traspariva esplicitamente dalle risposte inviate, a Roma vi era considerevole preoccupazione per la sorte di quel monaco solo bloccato in un luogo lontano e sostanzialmente sconosciuto. A riguardo le risposte della Santa Sede divennero a un certo punto sostanzialmente simili e per precauzione terminavano tutte con un rimembrante “Extra Ecclesiam nulla salus” (Al di fuori della Chiesa non vi è salvezza). Il carteggio tra Roma ed Endeus proseguì senza soluzione di continuità almeno fino a gennaio del cinquecentoquarantadue e poi, per malasorte, Endeus cedette e il ventuno marzo di quello stesso anno morì per colpa del vento.
La frase che pronunciò Endeus al suo approdo qui, dunque, fu conseguenza di un breve momento di sconforto che probabilmente colse anche me al mio arrivo a Inishmore: “Ma chi me lo ha fatto fare ?”.
Rafael deve aver percepito le mie angosce più profonde e penso che la cosa lo avesse turbato. E’ una persona sensibile, forse troppo sensibile, ascolta Johann Sebastian Bach e non è più abituato ai rumori e umori della vita moderna da anni. Egli ormai è un’istituzione a Inishmore essendo il gestore da circa quindici anni di uno dei due dormitori dell’isola. All’inizio era essenzialmente un cuoco, probabilmente un bravo cuoco, un cuoco della scuola degli improvvisatori e del rischia tutto, ma poi col tempo ha acquisito sempre più potere ed è salito ai vertici della scala sociale di Inishmore. Rafael è l’unico che in tutta l’isola parla correntemente inglese, francese, italiano, spagnolo, portoghese e il gaelico. Secondo me è anche l’unico che in tutta Europa parla perfettamente tutte queste lingue ma a Inishmore di questo aspetto credo non siano al corrente per giovanile baldanza. Egli è conoscenza, capacità, intelligenza, esperienza, sensibilità e, come credo potrete certamente convenire, in un’isola di sole settecento persone ciò equivale ai privilegi delle più alte legazioni consolari. E poi, esattamente come Lee Morgan, è un uomo mordace e se Ren Zhengfei fosse intenzionato ad assumere talenti dovrebbe prendere il traghetto da Galway, pagare i diciassette euro di biglietto e sbarcare a Inishmore con una ventiquattrore in pelle umana. Credo che Rafael lo riceverebbe in refettorio e presumo anche che accetterebbe una ragionevole proposta a condizione che Zhengfei trasferisca la sede operativa da Shenzhen a Inishmore. Egli è molto legato a quest’isola e penso che non la lascerebbe per nessun impiego al mondo seppur prestigioso. Il suo motto in questi ultimi quindici anni è sempre stato “se Maometto non va alla montagna allora Ren Zhengfei deve andare dritto e di corsa al refettorio di Rafael”. Sono certo che da Rafael verrebbero fuori idee che “voi umani della terra ferma non potreste nemmeno immaginare”. In questo mondo di concorrenza spietata alla fine vincerà chi si aggiudicherà i migliori e Rafael, anche se la cosa è del tutto incredibile, è qui, a Inishmore, è un migliore e nessuno lo ha ancora contattato. Lui ha internet e anche di ciò nessuno è ancora al corrente. Penso che bisognerebbe realizzare un busto marmoreo che lo raffiguri per esibirlo come trofeo simbolico delle alte vette a cui è giunta la capacità intellettuale dell’uomo moderno. Io comunque a Rafael alte vette non ho riferito nulla riguardo a Lee Morgan e prudentemente prediligo che così sia. Anche se è amante di Bach e della musica classica in generale, lo ritengo una persona estremamente pratica e la questione Lee Morgan potrebbe creare tra noi un’inutile commozione che preferirei evitare. Oltretutto non saprei nemmeno come spiegargli il tutto con le parole nonostante la sua molteplice conoscenza delle lingue di tutti i paesi eccetto il malgascio. Presumo che sia più saggio che lui pensi che i miei due giorni alle Aran siano dovuti a una terribile punizione inflittami per un errore commesso durante la mia attività lavorativa. Forse è meglio che il tutto rimanga così com’è ora, indefinito, confuso e irreale. Domani mattina alle otto prenderò il traghetto per tornare nell’Irlanda grande e molto probabilmente non lo rivedrò per il resto dei suoi giorni. Ritengo infine che una delle cose da fare con maggior attenzione sia quella di non inficiare le credenze delle persone per bene. Rafael è una brava persona e non reputo opportuno confutare convinzioni che si è autonomamente creato al passaggio degli eventi e delle persone di questo sperduto dormitorio. La sua verità gli sarà sufficiente per continuare a vivere sereno, salvo e in pace come ha egregiamente fatto fino a oggi. A Inishmore il signor Lee Edward Morgan è totalmente superfluo.
Inishmore, 15/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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Mr. Kenyatta - Lee Morgan
(1964 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Wayne Shorter, sassofono tenore
Grant Green, chitarra
Herbie Hancock, pianoforte
Reggie Workman, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 

 
 
 

Quattro

Post n°370 pubblicato il 14 Settembre 2022 da mohamed21
 

Dopo solo trenta ore sono fuggito da Cork e ora sono qui, a Galway, sulle rive di un oceano di cui ritengo di conoscere il nome. Oceano.
Le sorprese però non finiscono mai per buona sorte e quella odierna si chiama Goodluck Soweto. Non so se il nome si scriva proprio così ma dalla pronuncia potrebbe essere scritto in questo modo.
Goodluck Soweto è un signore sudafricano sui quarant’anni circa, sembra una brava persona ed è nell’ostello in cui mi trovo da circa sei mesi. Quando mi ha riferito ciò sono rimasto sorpreso e preoccupato e gli ho subito chiesto se per caso avesse dei problemi in famiglia. Lui non ha risposto al quesito anche se per una frazione di secondo ha avuto un’esitazione per capire se fossi pazzo o un cabarettista dall’inintelligibile umorismo. Non sicuro di quale delle due opzioni si trattasse ha finto di non aver udito e continuato a fare ciò che stava facendo in quel momento: il giocoliere con un cappello fucsia da cowboy. Io però avevo parlato chiaro e sono certo che Goodluck Soweto mi abbia sentito. Mistero della fede a Galway.
Comunque, lui è qui da sei mesi mentre io solo da sei ore e già vorrei scappare da questo posto come è accaduto a Cork. Nei corridoi dell’ostello si incontrano solo turisti tedeschi, soprattutto nei pressi dei bagni, e ridono ad alta voce in modo sincopato uno per volta apparentemente senza motivo. In cucina invece c’è Goodluck Soweto il cui interesse principale nella vita sembra essere quello di reppare. Soweto reppa, reppa in continuazione e lo fa specialmente in cucina che oltretutto è l’unica sala comune di tutto l’ostello. Reppa in un gergo incomprensibile che sembra essere un misto tra un dialetto della periferia di Johannesburg e un irlandese arcaico delle isole Aran. La figlia di Soweto invece si chiama Miriam e mi auguro che almeno lei non reppi nelle cucine degli ostelli. Ho saputo della sua esistenza, del suo nome e del fatto che fosse la sua unica figlia dal vistoso tatuaggio che ha sul braccio sinistro. Ho la sensazione che Soweto non esca mai dall’ostello e forse nemmeno dalla cucina dell’ostello. Sopra uno dei tavoli della cucina vi è il suo telefono, computer, caricabatterie, cuffie e del cibo a sufficienza per sopravvivere sei mesi in caso di carestia. Su due sedie invece ha i testi che utilizza per reppare e sono tutti scritti su fogli che sembrano essere unti di sugo. Pur di farmi prestare un po’ del suo olio di semi l’ho ascoltato reppare per dieci minuti e poi gli ho pure ipocritamente fatto i più sinceri complimenti. Con Soweto è davvero arduo conversare anche se si conoscono i più ancestrali dialetti del Sudafrica. Lui al contrario sembra che capisca sempre cosa dicano gli altri e ritiene che lo stesso debba valere nel senso opposto. E poi apprezza molto i
complimenti
e non a caso dopo quelli ai suoi testi mi ha sorriso e subito dopo il buonissimo olio di semi di altissima fattura prestato. L’ho ringraziato e mentre mi stavo accingendo ad accendere il fuoco decide di mettermi al corrente di un qualcosa che a suo dire era della massima importanza. Prima di parlare di ciò però fa un lungo respiro e con molta solennità dice che un suo grande desiderio è reppare “Il Collodi” di Pinocchio (Forse si è confuso ?). Poi seguita con lo stesso tono solenne chiedendomi se per caso ne ho sentito parlare, se conosco Pinocchio e soprattutto cosa pensi di quest’uomo. Senza darmi il tempo di rispondere alla ridda di domande scatta in direzione dello zaino, prende un pezzo di carta e ci scrive sopra i titoli di due libri che secondo lui sono assolutamente da leggere. Quando termina di parlare gli dico che presumo certamente di conoscere Collodi e sono molto felice per tale evenienza. Altresì esclamo che appena avrò modo leggerò i due fondamentali libri che mi ha generosamente consigliato. Non contento seguito nella captatio benevolentiae affermando che in futuro lui sarà sicuramente in grado di reppare il buon Collodi. “Ci vuole un grande talento caro Soweto e tu un gran talento indubbiamente lo possiedi. Il testo di Collodi è un qualcosa di grandioso ed è alla tua portata. Sei l’unico che in tutta Galway sia in grado di repparlo e sono sicuro che presto lo farai, tu repperai”. Detto questo mi chino di nuovo verso il fornello e metto un po’ di olio nella padella sperando che Soweto mi lasci in pace per qualche minuto. Mentre sono di spalle gli faccio un altro augurio dicendo ad alta voce “Reppare Collodi è una grande idea e mi auguro che la cosa venga fatta il prima possibile. Noi abbiamo bisogno di tal genere di reppazioni definitive”. E poi taccio.
Penso di aver esclamato delle frasi senza senso e mi auguro che Soweto non se ne sia reso conto. Mi sono lasciato andare un po’ troppo alla fine ma con lui credo che si possa fare. Ora però è il momento di continuare a cucinare prima che parli di nuovo di qualche altra stranezza. Prendo l’aglio, lo metto nella padella e purtroppo come temevo Soweto mi interrompe di nuovo. Questa volta però mi pone un quesito molto equivoco e con un tono di voce indagatore e sospettoso mi chiede come mai proprio oggi io fossi a Galway. Non rispondo subito alla sua domanda che purtroppo non pensavo mi ponesse e continuo a fare le mie cose come se non avessi udito nulla. Ho la sensazione che abbia repentinamente cambiato atteggiamento nei miei confronti e ciò non era occorrente. Per un quesito di questa natura non ho al momento sufficienti energie mentali per rispondere e per istinto di autoconservazione decido di non rispondere. Rammento il buon Collodi e gli dico che deve quanto prima reppare il gatto e la volpe. Lui però sa che io ho compreso il quesito e si pone in un’angosciante attesa senza esclamare nulla. Silenzio, no rap e no domande. Dopo qualche secondo mi arrendo all’evidenza e capisco che devo necessariamente rispondere. Per prima cosa faccio un lungo respiro anch’io e per alcuni secondi guardo il muro mentre sono di spalle. Poi spengo il fuoco, mi avvicino a lui e scandendo bene le singole parole dico “Sono qui per onorare i quarantatré anni passati da quella tragica fine. Sono qui per ricordare eventi che hanno valore e nella notte del diciannove febbraio millenovecentosettantadue io ripongo grande valore. Sono sempre qui perché Lee Morgan è morto in quel dì ed è necessario contemplare senza esclamare e mi auguro che tu possa convenire. Al tuo quesito quindi rispondo che sono qui, è vero, ma allo stesso tempo potrei essere altrove perché sul piano della contemplazione non vi è divergenza. Io sono qui, è ancora vero, ma Lee Morgan una volta era lì e ora non vi è più. E anche ciò seguita a esser vero”.
Senza scomporsi per il contenuto e il tono messianico della mia risposta, Soweto annuisce e rimane in silenzio per qualche istante. Non ribatte in nessun punto a ciò che ho detto e mi guarda per qualche secondo per poi, all’improvviso e con una voce squillante, esclamare come un pazzo “Hey man, tu mi piaci, tu mi piaci troppo. Hey man, è esattamente così che si devono fare i viaggi oggi. Hey man, tu mi piaci troppo e ti voglio subito nel mio Stato di Famiglia”. Nel dire ciò urta per errore contro il tavolo facendo rovinosamente cadere il computer, lo zaino, i bicchieri, la cena e tutto ciò che vi era posato sopra. Ma nonostante questo Soweto sembra essere felice e continua a guardarmi compiaciuto per se stesso e per la bellezza della vita.
Non so cosa fare.
Gran parte delle cose che ha detto Soweto da quando l’ho conosciuto, ovvero da meno di un’ora, sono strane ma l’ultima le ha superate tutte in quanto a singolarità. Cosa intende dire con “ti voglio subito nel mio Stato di Famiglia” ? Per caso sta delirando ? Forse ho di fronte un pazzoide e non me ne sono ancora reso conto ? Lui non sa nemmeno come mi chiami e cosa io faccia nella vita ma vuole inserirmi nella sua anagrafe familiare. E poi cosa guadagnerebbe dall’avere me nel suo Stato di Famiglia, io che vivo in Italia e che oltretutto ho già uno Stato di Famiglia. In ogni caso Goodluck Soweto è talmente particolare che forse è l’unica persona di tutta l’Irlanda a cui potessi confidare la commemorazione per Lee Morgan. E lui ha apprezzato, ha apprezzato troppo e forse è andato anche oltre il troppo. Ha apprezzato talmente tanto che ha rovesciato il tavolo e deciso di inserirmi nel suo Stato di Famiglia.
Galway, 12/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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Exotique - Lee Morgan
(1964 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Jackie McLean, sassofono contralto
Curtis Fuller, trombone
McCoy Tyner, pianoforte
Bob Cranshaw, contrabbasso
Art Blakey, batteria

 

 
 
 

Tre

Post n°369 pubblicato il 14 Settembre 2022 da mohamed21
 

Ora che quest’autobus è partito mi sono venuti alla mente ricordi remoti, molto remoti e da decenni se non più nella mia memoria sepolti.
Rammento che nell’anno del Signore millenovecentottantanove Davide Liconi era all’apice e picchiava, picchiava molto e all’orizzonte non era contemplata un’umana sosta per alcuno. Davide Liconi picchiava sempre.
In prima media si vivono delle tragedie e al termine dell’anno scolastico tutti gli studenti della classe muoiono avvelenati come nell’Amleto. E’ un miracolo che io sia sopravvissuto a quell’anno formativo nonostante l’esistenza del temibile Liconi, uno studente che entrò subito e di diritto negli annali della nostra scuola. All’epoca dei fatti Liconi aveva solo undici anni ma il suo viso non era quello di un ragazzo. Aveva il volto di un pugile degli anni cinquanta alla fine della carriera e con il volto tumefatto dai pugni e dalla vita. Davide Liconi incuteva timore al semplice sguardo e il banco in cui sedeva era purtroppo quello alle mie spalle. Una volta mi picchiò solo perché dissi al mio vicino Diotallevi che Di Bartolomei era più forte di Platini. Liconi odiava la Roma e ci picchiava sempre più forte proprio perché non poteva picchiare “La Roma”. Era il terrore del corridoio e dei bagni e non vi era fine a quel perenne stato di tensione. Sceglievamo il luogo dove passare la ricreazione in base alla sua presenza; se usciva noi rimanevamo in classe, se non usciva scattavamo come soldatini in direzione della porta facendo finta di conversare. E poi per qualche minuto assaporavamo la bellezza e la leggerezza della libertà sentendoci tutti francesi. Liconi però era sempre lì, come un felino in agguato, e la ricreazione sarebbe presto finita e la tirannia purtroppo di nuovo giunta. Per svolgere con diligenza la sua missione Liconi nei giorni feriali indossava la tuta per avere facilità nei movimenti, nei salti dai banchi e nelle sue terribili prese al collo da dietro. Se fosse stato illuminato io l’avrei anche accettato come sovrano ma purtroppo Liconi era un assolutista di stretta osservanza. Inoltre non lo si poteva denunciare a meno che non si fosse fatto testamento e serenamente optato per una precoce morte violenta. “Gioventù beltea, io ti abbandono” è il titolo di un madrigale che faticosamente composi in quel periodo e che ora curiosamente mi sovviene. Il Nostro egli era molto vendicativo e con un’inesauribile memoria d’elefante. Non dimenticava nulla e tutti i giorni mangiava kinder bueno senza purtroppo apprezzabili risultati.
Un giorno in seconda media successe però qualcosa che non mi sarei aspettato che accadesse. Mentre Liconi picchiava qualcuno di noi la professoressa di francese disse ad alta voce “Ragazzi, ma ancora vi picchiate alla vostra età ?”. Quella frase per me fu una liberazione e ne rammento il dolce suono come fosse stata pronunciata ieri. La mia vita cambiò in quel mercoledì del novantuno e sento tutt’ora il dovere di gratitudine alla professoressa Montfleury. Grazie a lei capii che all’orizzonte vi erano delle magnifiche sorti progressive e che era solo necessario impegnarsi per coglierle. “Ragazzi, ma ancora vi picchiate ?” è stato il mio quattordici luglio ed ero certo ormai che il passare degli anni, e quindi il giungere della vecchiaia, mi avrebbe condotto in un mondo di progresso, democrazia e libertà. Viva la libertà amici, viva, viva la Francia, e grazie a tutti voi di cuore.
Per quanto Liconi potesse ancora picchiarci prima o poi sarebbe inevitabilmente giunta una pausa. Arrivato a una certa età Liconi si sarebbe stancato e dunque il Nostro egli si sarebbe fermato. Viva la libertà amici, viva, a noi la Francia, no a Luigi XVI, no a Monsieur veto, restiamo uniti, si vincerà, crediamoci, cittadini, cittadini, grazie, grazie e ancora grazie.
Era solo necessario attendere dieci o quindici anni e le botte sarebbero finalmente finite. Da quel mercoledì io mi sentii un leone e per la prima volta guardai Liconi con gli occhi della fierezza del re della savana. La democrazia stava per giungere e il Nostro egli capì che non poteva fermare il progresso e l’incedere della storia. Il Liconi luddista perse in quel dì e la mia forza interiore poggiava ormai su una certezza consolidata. Colui che avevamo di fronte era un picchiatore a tempo determinato che a breve sarebbe stato travolto dalla precarietà dell’esistenza. Nulla è per sempre nella vita e per fortuna neanche Liconi può auspicare di esserlo.
Nel breve periodo in ogni caso il suo regno seguitò e le botte continuarono seppur con minor enfasi e organizzazione. Ora picchiava in modo svogliato, a volte si stancava subito, altre volte addirittura sbagliava persona per la scarsa diligenza. Una volta picchiò Diotallevi invece che me e quando capì di aver sbagliato persona mi lasciò stare. Disse solo che mi avrebbe picchiato il giorno seguente ma dopo l’ora di matematica. Il giorno seguente purtroppo arrivò, l’ora di matematica presto passò ma Liconi per fortuna non mi picchiò, e io ovviamente non glielo ricordai. Liconi non era più il Liconi di una volta, quello dei ruggenti anni ottanta, e tutti noi iniziammo a preoccuparci per il mutare del suo stato psicofisico. Aveva per caso delle profonde angosce interiori ? Era precocemente invecchiato per cause ignote alla scienza ? O intendeva segretamente espatriare a Sant'Elena e non sapeva come fare ?
Il giorno dell’esame di terza media sarebbe dovuto essere l’ultimo in cui l’avrei visto ma lui non si presentò. Il Nostro egli non fu ammesso alle prove e nessuno di noi lo rivide più da quel dì. Dopo diversi anni dunque l’interrogativo della professoressa Montfleury ebbe l’unica risposta che poteva avere: fine delle botte del Nostro egli. Liconi non mi picchiò più perché era cresciuto o perché non ci si vide più ? A tanti lustri di distanza non ho interesse a conoscere quale sia la verità in quanto un’eventuale smentita della tesi della cara professoressa mi turberebbe. Nel giugno del novantadue in ogni caso Liconi scomparve con la medesima velocità con cui tre anni prima apparve, e noi improvvisamente divenimmo cittadini liberi di un paese democratico dell’Europa occidentale. L’unica cosa che ho compreso a tanti anni di distanza è che Liconi in quel periodo aveva dei seri e molteplici problemi in famiglia. All’epoca dei fatti ero troppo giovane per comprendere e purtroppo non lo compresi. Medesima cosa posso certamente ritenere dei suoi luogotenenti, ovvero dei piccoli Liconi che assieme a lui in quegli anni creavano il terrore nella nostra scuola. Tutti loro erano dei deboli anche se si comportavano e si ritenevano di essere dei forti. Illusione vana di una giovinezza di periferia al principio del suo vacuo e imminente epilogo.
Lungo il tragitto per Galway, 12/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
_____________________________
Melancholee - Lee Morgan
(1964 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Wayne Shorter, sassofono tenore
Grant Green, chitarra
Herbie Hancock, pianoforte
Reggie Workman, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 

 
 
 

Due

Post n°368 pubblicato il 14 Settembre 2022 da mohamed21
 

Stasera ho rischiato renderLa, di rendere l’anima al Signore.
Sono a Cork sulle rive del fiume Lee, sono le sette di sera ed è l’ora esatta per andare alla ricerca della selvaggina come faceva il grande Cecil, l’amico leone ucciso a tradimento lo scorso mese in Zimbabwe. Fortunatamente non sarà necessario un considerevole sforzo perché lì in fondo scorgo già un locale perfetto per mangiare e per parlare. Dunque mi avvicino a questo posto e noto subito che ha un’insegna particolare su cui vi è scritto “Vuoi gustare il miglior kebab di Cork ? Sei proprio certo che vuoi mangiare il miglior kebab di Cork ? Sei convinto che è esattamente questo ciò che desideri nella tua breve vita ? Potremmo considerarlo il tuo ultimo desiderio ? Allora è necessario fare solo una piccola cosa preliminare: entrare e non bussare”. E io faccio esattamente l’opposto: busso e subito dopo entro.
Entro dunque e dietro al bancone, invece degli immancabili egizi o yazidi, mi trovo di fronte il gemello ben nutrito di André the Giant. Un signore grande e grosso, alto due metri e più, dal peso di centinaia di chili e con una drammatica barba incolta sul viso da circa un decennio. Lui subito mi vede ma non si sforza di rivolgermi una parola darmi ascolto o, men che meno, chiedere cosa volessi ordinare. Sembra che finga che non sia entrato nessuno e seguita tranquillo a mangiare la sua abbondante cena del martedì. Nel frattempo trascorrono alcuni istanti dal mio ingresso e il silenzio nel locale persiste nonostante diversi tentativi da parte mia di trovare udienza. A un certo punto fingo anch’io di non esser entrato e per far passare il tempo contemplo il soffitto come fossi al cospetto della “Decollazione di San Giovanni Battista” di Merisi. Dopo un po’ tolgo lo sguardo dal soffitto e noto che nel locale ci sono altre due persone, più o meno delle stesse dimensioni di André the Giant, e anch’esse stanno voracemente mangiando senza considerare l’aleatoria eventualità di parlarsi. Sfogarsi sul cibo sembra essere la loro unica missione di questa sera a Cork. Poi scorgo pure una terza persona, seduta da sola in fondo al locale, e per fortuna non è un peso massimo nonostante mangi un indescrivibile pietanza in cui l’unica cosa che si distingue è la maionese debordante dal piatto stesso. Sfogarsi sul cibo di Cork è la missione di questa sera anche per quest’uomo. Nel frattempo il proprietario continua a rimanere in silenzio e a fingere di lavorare pur di non prendere la mia ordinazione. Pure io continuo a fingere il nulla e per darmi un semitono prendo lo zaino, estraggo il telefono e invio un casuale “Come stai ?” a un numero composto a caso sulla tastiera. Poi, dopo quel messaggio, ne invio un altro ma questa volta a un numero vero della rubrica scrivendo un asettico “Tutto bene caro/cara ?”. Fiero delle mie azioni riposo con calma il telefono nello zaino e a testa alta guardo dritto negli occhi André the Giant. Respiro profondamente e come in una partita a scacchi attendo la mossa del cavallo. E’ giunta l’ora di passare alla delicata fase dell’ordinazione che necessita di preparazione e impeccabile tempistica. So che per mandare a buon fine un confronto dialettico in genere è necessario non sbagliare la postura del proprio corpo. Bisogna anzitutto essere atletici, sani, giovanili e possibilmente gioviali. Il movimento del braccio destro deve essere fluido e disteso verso destra, il corpo all’opposto si deve invece spostare a sinistra mentre il collo, contemporaneamente a ciò, si deve portare in avanti ruotando il capo con un’inclinazione di quarantacinque gradi circa. Se si è mancini il tutto deve essere invertito per avere gli stessi effetti sull’interlocutore. Questa tecnica la uso da anni con i pizzardoni di Piazza Venezia e ha sempre egregiamente funzionato. Ora però sono a Cork, questo non è il Vittoriano e la certezza di essere servito in questo locale non è garantita. Purtroppo vi è ancora il permanere del silenzio nonostante gli sms al roaming, la “Decollazione di San Giovanni Battista” e le più sofisticate tecniche dialettiche. Anzi, il silenzio ora sembra essere ancora più assordante e inizio a nutrire dubbi circa la salute psicofisica del proprietario del locale. Forse questo signore è un non vedente, probabilmente anche un non udente con gravi impedimenti nell’esprimersi a parole e con i gesti. Una brava persona ma in grandissime difficoltà e che non ho rispettato facendo dei ragionamenti astrusi, errati, parziali e colpevolmente preventivi. Ho addirittura inviato due sms al roaming che mi sarei potuto risparmiare se avessi provato a comprendere i limiti di un magnanimo figliolo. Occorre compassione e comprensione delle difficoltà del prossimo che per le sacre scritture potrebbe anche essere, a nostra insaputa, il Signore in persona e non è saggio rischiare ritorsioni future dal carattere perpetuo. Pace e bene fratelli e ricordiamoci che nel mondo non tutti hanno il dono di vivere una vita sana, serena, realizzata e felice. Non a tutti ciò è concesso e purtroppo la persona che mi è di fronte è una di quelle a cui è stata negata una vita sana, serena, realizzata e felice. Una persona in un cammino irto e tortuoso e per la quale mi rincresce di non essermene reso conto per tempo. Gli uomini forti non devono esitare nel mostrarsi timorati in determinati frangenti e dunque non avrò remora alcuna nel farlo in questa occasione: profondo timore al kebab di Cork.
Comunque.
Nel frattempo sono passati altri minuti e finalmente mi decido a parlare esclamando timidamente “Un kebab per favore”. Per venirgli incontro pronuncio la frase due volte in modo lento e scandendo bene tutte le singole sillabe “Un - ke - bab - per - fa - vo - re”. Lui non mi risponde e con un ulteriore terzo tentativo procedo ancora con la lenta sillabazione e lo guardo, questa volta, come un essere sfortunato che nella vita ha lottato molto per ottenere il misero locale in cui mi trovo. Mi sento ormai obbligato a mangiare qui per senso di responsabilità e compassione verso il prossimo che, per le sacre scritture, potrebbe sempre essere il Signore in persona. Il destino sembra essersi accanito su quest’uomo apparentemente senza alcuna ragione. Preghiamo.
Fossi stato al suo posto mi sarei già dimesso da tutto e al giorno d’oggi mi troverei ospite presso una confraternita benedettina nel sud del Madagascar. In ogni caso nemmeno il terzo tentativo sortisce effetto e quando stavo per accingermi a uscire noto André the Giant girarsi verso di me rosso in volto e guardarmi in modo fisso e arrabbiato.
Fisso, arrabbiato, cattivo, criminale e intenzionato.
Morto.
Io a Cork sono morto e André the Giant non è sicuramente il nostro Signore.
Ma cos’è accaduto ? Perché quest’improvvisa alterazione ? La cosa mi sorprende molto e non capisco ciò che io abbia fatto per far alterare André the Giant. E soprattutto non capisco quel che abbia fatto di diverso ora rispetto ai dieci minuti precedenti. Ho solo proceduto con un’educata sillabazione per acquistare il suo buonissimo kebab. Sono certamente dalla sua parte e desidero che quest’attività cresca nonostante la sua testardaggine. Il suo sguardo adesso è in ogni caso di quelli cattivi, chiari, criminali e non vi sono dubbi sulle sue imminenti intenzioni. André the Giant mi sta guardando come se avessi offeso la sua povera mamma giacente ora in un letto d’ospedale e allo stato terminale. La situazione qui è talmente bislacca che per qualche istante ho avuto anche il dubbio che l’avessi offesa, forse a mia insaputa, ma sono più che certo che non l’abbia fatto. Nel frattempo the Giant toglie il suo sguardo da me e scatta come un felino di duecento chili verso la carne alla sua sinistra. Accende il fuoco e senza aspettare che si scaldi taglia in modo sgraziato il kebab, lo posa su un piatto, apre un cassetto, prende del pane, lo mette sulla carne e mi pone il tutto davanti. Poi in un baleno scompare tornando nel posto da dove era venuto.
Dopo avermi servito, però, non mi comunica nulla a voce ma con gli occhi mi è sembrato di capire qualcosa di simile a “Se osi fare domande sul kebab ti spezzo l’osso del collo”. Ed è stato chiarissimo.
Devo pagare subito ? Devo pagare dopo ? Devo pagare quando sono a metà del piatto ? Tutto questo non è chiaro e prudentemente preferisco non porre quesiti di cui potrei pentirmi per il resto della mia vita.
Prendo il piatto facendo attenzione a toccarlo il meno possibile per non sporcarmi e mi siedo dall’altra parte del bancone. Nel frattempo André the Giant e gli altri due giganti iniziano a conversare e dalle poche parole che sento intendo subito che la loro lingua è il groenlandese. Nell’intento di posticipare il più possibile il primo morso al kebab, continuo a guardarmi attorno sospettoso e il mio sguardo si imbatte casualmente con quello dell’unico cliente non artico e non peso massimo del locale. E anche qui accade un qualcosa di inaspettato e del tutto inspiegabile. Anche il signore solitario mi guarda in malo modo e con la stessa intensità criminale che aveva poco fa André the Giant. Ho la sensazione che pure lui ritenga che io abbia ripetutamente offeso la sua povera mamma irlandese, pia donna di Cork, che in quel momento era anch’ella in un letto d’ospedale in attesa dell’ultimo respiro. Questo posto per me è un problema e sinceramente non so come risolvere queste inspiegabili situazioni di tensione. E’ ovvio che non ho offeso quelle povere due donne, che nemmeno conosco, ma i loro figli sono convinti dell’esatto opposto. Anzi, io non solo non le ho offese ma se mi è permesso avrei il piacere di augurare alle pie donne una buona e pronta guarigione. In ogni caso è meglio evitare di augurare guarigioni perché la logica e il buon senso in questo locale sembrano essere ignoti. Ci potrebbe addirittura essere l’eventualità di ulteriori fraintendimenti e non è saggio rischiare quando ci si trova in terre lontane. La cosa di cui sono ormai certo è che la situazione degli sguardi è molto complicata in questa città e ritengo che sia il caso di non guardare più nessuno e di non sentire più alcuno. Musica maestro allora, forse solo la musica è ciò che occorre per tralasciare queste inusuali antipatie. E poi non devo dimenticare che sono venuto fin qui per commemorare Lee Morgan e non sarà certo un cliente misantropo o una vecchia gloria del wrestling a distogliermi dai miei obiettivi primari. Con “Nite Flite” ad alto volume si può iniziare a mangiare quest’obbrobrio di carne che l’amico Cecil non avrebbe osato neanche annusare. Cuffie maestro allora, cuffie, occorrono solo cuffie e la sublime musica di Lee Morgan. Ora.
Nonostante la musica e la mia grande buona volontà, però, non riesco a finire il cibo e purtroppo André the Giant lo nota. Ho l’impressione che si senta offeso da tale fatto in quanto ritiene di aver preparato il tutto con cura, attenzione e grande professionalità. Dal suo punto di vista sono un indegno e ciò conferma ancor di più l’idea che si era fatto di me in occasione della questione inerente alla sua povera mamma. Ho la certezza che se non faccio qualcosa subito lui mi farà una domanda sul cibo non mangiato e con una stupida scusa troverà una giustificazione per accusarmi di qualcosa per poi picchiarmi a morte nel suo locale. L’atmosfera qui si sta surriscaldando oltre misura e non ho intenzione di correre rischi umani. Lo anticipo dunque e prima che lui faccia un’irrimediabile mossa prendo lo zaino, lascio cento euro sul bancone ed esco dal locale come un bersagliere. Appena la porta alle mie spalle si chiude il bersagliere lascia il passo ad Abebe Bikila e corro veloce con tutte le mie forze in direzione del fiume. Quando sono a una sufficiente distanza mi volto indietro e noto che per fortuna ha soprasseduto all’idea di tirarmi dietro un coltello da cucina. Sono salvo finalmente. Dopo circa cinquecento metri di corsa al massimo delle mie forze rallento e mi ritrovo di nuovo libero, solo, sereno, sicuro e sulle rive di questo fiume omonimo del grande Morgan Lee. Fiume Lee. Esperienza André the Giant inaspettata e per buona sorte pericolo André the Giant scampato. Addio morte a Cork dunque. E La cena ? Vi è per caso la possibilità di una cena per placare la mia grande fame ? Forse sì ma sarà opportuno per questa sera accontentarmi di un anonimo fish & chips e senza sillabazione dei cibi.
Cork, 11/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
__________________________
Nite Flite - Lee Morgan
(1966 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Joe Henderson, sassofono tenore
McCoy Tyner, pianoforte
Bob Cranshaw, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 

 
 
 

Uno

Post n°367 pubblicato il 14 Settembre 2022 da mohamed21
 

Eh sì, eccomi qui, al Phallon’s pub di nuovo.
Dopo undici ore di un girovagare futile e inutile in questa città, finalmente ritorno al posto giusto e nel momento giusto. Grazie agli Dei ci sarà un Phallon’s pub anche per questa notte e ancora non so chi debba ringraziare per tale buona sorte.
Phallon’s pub è un locale particolare lontano dal centro, a ovest della città e che per raggiungerlo è necessario camminare quaranta minuti con passo cadenzato e la testa bassa. Quaranta minuti nei quali si incontrano decine di guinness luoghi mentre una voce sinistra dentro ti sussurra “… Caro mecenate, non dissertiam di tal luoghi ma guarda e passa”. E devo ammettere che quella sinistra voce aveva consigliato bene perché la guinness del Phallon’s è una vera guinness e io per fortuna ho guardato e umilmente passato. Al Phallon’s poi l’atmosfera è differente perché l’età media è alta, sessanta sessantacinque anni circa, non c’è musica, non c’è luce e fortunatamente non ci sono turisti. Qui tutto è terribilmente vecchio, triste, fermo e con quattro ragni sopra la mia testa che anch’essi sembrano essere stanchi, anziani, delusi e alla fine della loro corsa. Ma forse è proprio questa la vera anima di questo posto e mi devo ritenere onorato di tutto ciò. La presenza dei ragni non è casuale perché in questo locale nessuno parla con alcuno, proprio come fanno i ragni, e anche nel momento dell’ordinazione la conversazione è ridotta al minimo e con la voce più bassa possibile. Al Phallon’s pub non bisogna recare disturbo agli altri clienti che sono tutti costantemente concentrati nel bere. L’unica frase che viene esclamata qui, e quasi sempre a bassa voce e in modo sbrigativo, è “A pint of guinness, please”. Sia l’“ok”, il “grazie” che il successivo “prego” vengono detti con un cenno del capo con l’intento di risparmiare sulle parole che al Phallon’s sono il nostro principale problema. Il proprietario del pub non parla con nessuno e penso che non abbia mai parlato da quando ha preso in gestione il locale. Presumo che ritenga i gesti sufficienti per capirsi e per ottenere quel che occorre che per noi è una deliziosa bevanda nera. La frequenza media dei clienti è al più di sette o otto persone e ho la sensazione che ognuno dei sette o otto, nonostante la media grandezza del locale, sia infastidito dalla presenza degli altri. Ci guardiamo tutti in malo modo e ho la certezza che ciascuno dei presenti vorrebbe il Phallon’s pub tutto per sé, ma purtroppo ciò non è possibile. Il locale è aperto al pubblico e chiunque può entrare, soprattutto chi ha umilmente camminato per quaranta gloriosi minuti per altrettanti “... Mecenate, non dissertiam di tal luoghi ma guarda e passa”. Ho il diritto a essere qui e mi dispiace per loro che sono dell’idea contraria. Il Phallon’s pub è di chi lo cerca e quindi di chi lo trova.
Una grande accortezza che ho avuto in questi due giorni, comunque, è stata di evitare di sedermi sugli sgabelli nelle vicinanze del bagno. Purtroppo la combinazione tra l’età media dei magnifici sette, i fiumi di guinness e le prostate irascibili porta sovente alla corsa in bagno e i tempi di resistenza prima del disastro sono nell’ordine dei secondi. Considerati tali fattori congeniti ho tassativamente soprasseduto dal sedermi su quegli sgabelli. Sono più giovane di loro e sono cosciente del fatto che è necessario sacrificarsi lasciando il tutto agli arconti del Phallon’s che, a settanta primavere, meritano il diritto di raggiungere il bagno in tempi certi. Penso che anche essi abbiano fatto lo stesso con le generazioni precedenti, quelle dei terribili anni dei troubles, ed è giusto che ora abbiano i loro sgabelli della liberazione. E’ importante preservare la solidarietà tra le generazioni se non si vuol vivere in una società in cui gli anziani si chiudono nei bagni delle loro case per bere fino a notte fonda. Da quando ho messo piede al Phallon’s avevo già chiari questi aspetti e non ho avuto dubbi in merito al diritto di prelazione per quei gentiluomini. E Lee Morgan ? Presumo che la sua musica sia in armonia con la cultura gaelica e tale fatto è alquanto singolare. Che relazione vi è tra la Filadelfia degli anni cinquanta e la Dublino del duemilaquindici ? In ogni caso sono curioso di sapere se Lee Morgan avrebbe avuto l’audacia di arrivare fin qui, poggiare la tromba sul bancone, ordinare qualcosa con il cenno del capo e sedersi temerario in uno dei tre onorevoli sgabelli. Chissà se ciò sarebbe accaduto ma, qualora fosse accaduto, sarebbe certamente stato un evento raro e penso che Lee lo avrebbe fatto solo per constatare la reazione dei presenti. A egli garbava non prendersi sul serio e si sarebbe
divertito
molto con le persone del posto per natura tendenti a un sarcastico sorriso. Ritengo però che Morgan nella realtà sarebbe entrato al Phallon’s senza la sua tromba, forse avrebbe guardato negli occhi il proprietario per qualche istante e poi, compiaciuto di se stesso e con la costernazione di tutti, avrebbe semplicemente esclamato “Hey Chico !”.
E poi sarebbe uscito.
Nel cinquantanove Lee Morgan era mordace.
Dublino, 10/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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Hey Chico - Lee Morgan
(1966 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Jackie McLean, sassofono contralto
Hank Mobley, sassofono tenore
Cedar Walton, pianoforte
Paul Chambers, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 

 
 
 

Videosorveglianza e gli altri strumenti di controllo a distanza (Prima parte)

Post n°364 pubblicato il 14 Settembre 2022 da mohamed21
 

Buongiorno,
l’informativa odierna riguarda il tema relativo all’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza nei luoghi di lavoro.
E’ anzitutto opportuno sapere che le norme in materia di lavoro, al verificarsi di particolari esigenze, consentono l’installazione di telecamere nei locali aziendali. Le condizioni richiamate dalla legge sono quelle di natura produttiva, organizzativa, tutela del patrimonio e per la sicurezza del lavoro. Se dunque un’azienda ha almeno una delle quattro esigenze previste può avviare la procedura per l’installazione delle telecamere. Tale procedura non è in ogni caso immediata in quanto prevede l’accordo sindacale con le rappresentanze aziendali dei lavoratori o, qualora quest’intesa non dovesse concretizzarsi, l’autorizzazione amministrativa dell’Ispettorato del lavoro territorialmente competente. Anche in questa seconda sede sarà necessario dimostrare che l’installazione è richiesta in quanto rientrante in una delle esigenze specificamente previste dalle norme. Se per ipotesi l’Ispettorato dovesse dare parere negativo in merito all’utilizzo delle telecamere, l’azienda avrà a disposizione un ulteriore tentativo consistente in un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar).
Come avete potuto evincere la procedura in materia di videosorveglianza è articolata, generalmente lunga nei tempi e sostanzialmente priva di deroghe. Ciò in quanto l’intento della norma è quello di contemperare i diritti dell’azienda, come ad esempio quello di avere tutelato il proprio patrimonio, con quelli del lavoratore che potrebbero essere considerevolmente compromessi da un utilizzo abnorme e invasivo degli strumenti di controllo a distanza. A tale fine è dunque tassativamente necessario l’accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa dell’Ispettorato del lavoro. Diversamente non sarà possibile installare gli impianti di videosorveglianza anche qualora una parte o la totalità dei lavoratori stessi fossero concordi.
Grazie per l’attenzione come sempre e buon inizio di giornata.
P.s. per approfondire vedi l’art. 23 del Decreto Legislativo 14 settembre 2015 n. 151

 

Mohamed H. Kalif
Consulente del Lavoro

Amministrazione del personale,
Dichiarazione dei redditi, Isee, Forfettari, 
Locazioni, Colf, Reddito di cittadinanza

 
 
 
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