Creato da anchise.enzo il 30/01/2012

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La macchina di Zincone

Post n°42 pubblicato il 14 Marzo 2012 da anchise.enzo

Le grosse e pesanti macchine nere avevano sostituito la vecchia carrozza postale, trainata dai cavalli Negli anni cinquanta a Toro vi erano solo due automobili: quella di Garzone e quella di Zincone. Le grosse e pesanti macchine nere, che avevano sostituito la vecchia carrozza postale, trainata dai cavalli, erano adibite a pubblico noleggio, e qualche passeggero vi si portava in città.

Zincone, che era giunto a Toro dalla vicina Campodipietra, viveva da scapolo. Noi ragazzi lo prendevamo in giro vedendolo sempre sporco di grasso, intento ad armeggiare con chiavi inglesi e tenaglie attorno alla sua macchina, gelosamente custodita in un vecchio garage alla fine della via del convento.

Far partire quella macchina la mattina, era solo questione di forza da parte del suo conducente, che doveva girare vorticosamente una grossa manovella. Nella stagione buona, se la vettura partiva, era assicurato l’arrivo in città, mentre nella stagione fredda l’automobile diveniva capricciosa, fermando la sua corsa già all’altezza della masseria Calicagno.

Allora il conducente scendeva rabbioso, bestemmiando fissava un grosso cuneo sotto una ruota, per assicurarne la sosta, e si precipitava a rimetterla in moto azionando la grossa manovella. Spesso la vettura si rifiutava di ripartire, e allora accorrevano in soccorso dell’autista gli stessi passeggeri che provavano a turno a far girare la manovella. Ma i passeggeri erano spazientiti perché sapevano che quella era solo la prima stazione della loro dolorosa via crucis verso la città. Ulteriori soste forzate ci sarebbero state dopo Campodipietra, a Ruviato e per la salita di Mascione. E se non dovute a guasti tecnici, si rendevano necessarie per consentire a qualche passeggero di poter vomitare con comodo.

Qualche volta i passeggeri erano costretti a terminare il percorso addirittura a piedi; succedeva soprattutto per l’erta salita di Sangiovannello, quando la macchina ansimava rabbiosa, e la nube di vapore che fuoriusciva dal motore e la nuvola di fumo che fuoriusciva dal tubo di scappamento, la rendevano invisibile e pericolosa per l’incolumità dei passeggeri che preferivano abbandonarla.

Ma non era solo l‘ autovettura di Zincone ad essere capricciosa, lo era anche la pesantissima saracinesca del garage che spesso calava improvvisa, con grosso rischio per la macchina e il suo autista.

In un afoso pomeriggio di luglio, Zincone era appena rientrato felicemente dalla città con la sua automobile, che aveva ricoverato all’interno del garage, quando a un tratto la saracinesca si abbassò imprigionando l’autista all’interno del garage.

La gente era quasi tutta in campagna a mietere e a trescare e nessuno poteva raccogliere le grida di soccorso del povero Zincone. Io e un altro ragazzo, intenti a giocare presso il muraglione, fummo allertati dalle invocazioni d’aiuto, ma le nostre esili braccia non erano in grado di sollevare l’enorme saracinesca. Ricordo lo sgomento e la rabbia per l’impotenza di non poter soccorrere quel povero cristo che, essendosi fatto quasi buio, continuava a invocare aiuto, suscitando pietà perché gridava, ormai esausto: “Apritemi, ca tinghe fame, n’cia facce cchiù pa fame!”.

Quando fu liberato, il mio amico gli porse una gran fetta di pane e olio ed egli, grato, la divorò

 
 
 
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