Post n°79 pubblicato il 17 Marzo 2012 da anchise.enzo
|
Post n°80 pubblicato il 17 Marzo 2012 da anchise.enzo
|
Post n°81 pubblicato il 20 Marzo 2012 da anchise.enzo
L’ultima guerra ha compiuto in Molise grossi ed irreversibili danni, sia per mano dei tedeschi occupanti sia degli Alleati liberatori, ma come tutte le pagine drammatiche della guerra, una è veramente difficile da archiviare, che va sotto il titolo di «danni collaterali».
Quando, dopo il misfatto, sopraggiunse Salvatore, suo fratello, che era andato a vendere gli ortaggi in paese, gli si presentò uno spettacolo aberrante. Il vecchio padre riverso per terra, svenuto, seminudo e pieno di sangue, la sorella piangente, distrutta dal dolore e col vestito a brandelli sporco di fango e sangue. Faceva fatica a parlare e a ricordare. Ogni tanto nei suoi occhi brillavano le lacrime. Completamente scossa e tremante gli raccontò piangente al fratello: - Mi si sono buttati addosso, che non potevo muovermi. Belve erano. Si sono divertiti a rincorrermi, a strapparmi la veste di dosso… Due mi tenevano stesa sul pavimento… gli altri si davano il cambio……nel modo più brutale mi abusavano…che porci ! Gridavano. Minacciavano! Isabella per la grande vergogna , per potersi assicurare un avvenire dovette fare quel che facevano tutte le donne abusate durante la guerra: emigrare lontano. Quasi tutte le donne violentate durante la guerra, sia che fossero state “marocchinate” ad opera dei selvaggi marocchini, vero dramma delle giovani donne italiane in balìa delle truppe coloniali marocchine agli ordini del generale francese Juin, che nel corso della battaglia e dello sfondamento del fronte ebbero carta bianca. Ovvero diritto di saccheggio, di stupro e di uccisione della popolazione civile. Ma lo stesso si ebbe ad opera dei negri, giunti tanto attesi fra le fila delle truppe alleate americane, per essere liberati finalmente dagli occupanti tedeschi. Queste povere donne umiliate ed offese nel loro intimo dovettero emigrare per poter recuperare un brandello di speranza, poiché i soldati stranieri avevano distrutto tutti i loro sogni e i compaesani le avevano, con le loro chiacchiere morbose svuotate di ogni minima residua dignità di donne. Eppure, gli occupanti tedeschi, pur feroci e spietati, non effettuarono mai violenza alcuna sulle donne. Ma Isabella, in America, pur incontrando un buon emigrato napoletano, non riuscì mai a donargli un figlio, come lei tante donne violate non riuscirono neanche a donare ai propri mariti i piaceri dell’alcova perché troppo devastante era il ricordo della violenza subita.
|
Post n°82 pubblicato il 20 Marzo 2012 da anchise.enzo
Zio Michele si recava ogni sera alla cantina vicino casa per stare un po’ in compagnia, era rimasto vedovo da poco e sentiva la solitudine come macigno grosso da portare nel cuore. I figli erano emigrati e vivevano lontano dal suo paese. Lui, i macigni veri li aveva portati sulle spalle fin da giovane, allorquando il padre lo aveva avviato ai duri lavori nella cava di pietre vicino al paese, dove nel tempo era divenuto abile scalpellino. Ma il peso delle pietre non lo affliggeva quanto il gran peso nel cuore per l’ angoscia dovuta alla morte della moglie. Lui aveva amato molto la sua Assuntina avendola conosciuta fin da ragazza quando ella portava puntualmente ogni mattina l’acqua ai lavoratori presso la cava, con la sua lucente conca di rame. Egli si era innamorato di lei per il suo portamento fiero e per l’eleganza con la quale portava la conca di rame in testa, capace di attraversare incolume l’irto sentiero, in bilico, tra gli infidi sassi della cava bruciata dal sole. Aveva vissuto anni di matrimonio felice, allietato da due bei figli, ma soprattutto per aver goduto dalla bontà e generosità della moglie, che, per naturale riflesso del suo buon carattere, portava stampato un contagioso sorriso sul viso, che dispensava generosamente a tutti. Zio Michele non sopportando il peso della vedovanza se ne stava ormai quasi tutto il giorno in cantina dove beveva vino con sfrenata avidità, affinché gli facesse dimenticare la sua solitudine. Una sera tornò a casa barcollando, avendo bevuto oltre il solito, non ce la fece a spogliarsi e ancora vestito si adagiò sul suo letto tramortito dalla sbornia. Quella notte gli venne in sogno Assuntina. Non fu destato dalla sua visione quanto dal volto triste che ella mostrava e che in vita raramente aveva mostrato. Gli disse solo alcune parole, ma decisive: “ Non pensare a me ora che sono nella luce divina, mitigata solo dalla tua angoscia di saperti solo e triste. La Madonna ti vuole aiutare, ti esorta a non consumare i tuoi giorni nella cantina ad ubriacarti, ed esige da te un atto di grande generosità. Si sta realizzando un grande santuario a lei dedicato a Castelpetroso , recati lì per donare la tua opera , la tua arte e il tuo cuore e lei ti ricompenserà adeguatamente”. Destato e sbalordito da quell’inusuale messaggio della moglie Zio Michele subito si svegliò. Si segnò e biascicò confusamente qualche “ Ave Maria” indirizzato all’Addolorata di Castelpetroso . All’indomani non pensò che a quella visione e a quelle confortanti parole della moglie. Si informò presso il suo parroco come avrebbe potuto raggiungere quel santuario e con Don Luigi formalizzò solennemente il suo voto. In seguito prese accordi col capo mastro del cantiere e ivi si recò con la sua vecchia valigetta di cartone, in una splendente giornata di maggio del 1956. Zio Michele giunto presso l’area del santuario verificò che avevano effettivamente bisogno di un bravo scalpellino, perché i lavori andavano a rilento, e in seguito intuì che, nel contempo, avevano pure bisogno di un guardiano del cantiere, perché si erano verificati diversi furti. Zio Michele pur di riconquistare serenità ed eseguire quel voto straordinario voluto dalla sua Assuntina fece l’una e l’altra cosa e ben presto entrò nel cuore di tutte le maestranze del cantiere. Non solo. Siccome il Cielo non si fa vincere in generosità, gli fu in seguito prospettata la possibilità di lasciare la vecchia baracca e di poter dimorare presso il contiguo orfanotrofio femminile gestito dalle suore sacramentine, operante al fianco del costruendo santuario neogotico. Passarono pochi anni e Zio Michele era divenuta la figura preminente del santuario: continuava a scolpire le pietre; segnava sul registro del cantiere le forniture di cemento e ferro; suonava la campana all’arrivo dei pellegrini; nelle festività fungeva da sacrestano alle funzioni religiose che si tenevano presso un’ala completata del santuario, e soprattutto, nei ritagli di tempo, faceva da muratore e taglialegna per l’orfanotrofio. Tutti gli volevano un gran bene e lo circondavano di affetto e il vecchio era pago di gioia e letizia, non solo per aver assolto fedelmente al voto della moglie, ma soprattutto per aver speso i suoi ultimi anni in modo proficuo per il santuario, i pellegrini, le orfanelle e per l’adorata Madonna di Castelpetroso, che aveva riempito completamente i suoi anni residui, dopo la scomparsa della moglie che, grazie a quel suo messaggio lanciatogli in sogno, era divenuto il pio scalpellino della madonna.
|
Post n°83 pubblicato il 20 Marzo 2012 da anchise.enzo
Come furie selvagge perquisivano il paese le armate tedesche, senza pietà per quella misera popolazione, che ormai non aveva più nulla da offrire all’avido rude occupante. Solo qualche anno prima una coppia di poveri contadini era riuscita ad acquistare un asino per poter trasportare la legna dal bosco fino al paese. Quando Antonio e Nicola erano finalmente giunti alla maggiore età, il padre aveva fatto finalmente il grande sforzo di indebitarsi, pur di acquistare per il faticoso lavoro dei figli la necessaria vettura. Quando gli affari sembravano andare bene e potevano sperare di mettere qualcosa da parte per estinguere il debito il destino riservò loro una sorpresa. Una notte, anche per loro arrivò l’indesiderata visita dei soldati tedeschi per requisire il loro asino, un ruffiano, loro concorrente nel commercio della legna, aveva indicato ai tedeschi il nascondiglio dell’animale. L’animale fu preso dai soldati e condotto in riva al fiume, dove, in un ampio recinto i soldati tenevano sotto la scorta di due sentinelle ogni sorta di animale : cavalli, muli, pecore, porci, prelevati ai contadini per assicurarsi sia il trasporto delle loro armi e, inoltre, godere del quotidiano rancio durante la precipitosa fuga verso il nord. I baldi fratelli, pur di non vedere piangere il loro anziano genitore per il grave furto subito, armati di gran coraggio, sfidarono le sentinelle tedesche a guardia degli animali, si intrufolarono in piena notte nel recinto, riconobbero l’asino , sciolsero lentamente la briglia che teneva legato la loro bestia ad un palo e, quando ormai pensavano di avercela fatta, una delle due sentinelle intimò improvvisamente l’alt col mitra spianato. Vistosi scoperto, Antonio prese a fuggire, ma venne prontamente riacciuffato dalla sentinella . Nicola che era rimasto nascosto dietro un cespuglio ad attendere Antonio, avendo scorto improvvisamente il fratello in grave difficoltà si era precipitato contro la sentinella spintonandola nel fiume. La sentinella cadde in acqua e cominciò ad annaspare, non sapendo nuotare gridò disperatamente aiuto, e subito Antonio, tuffatosi in acqua lo riportò a riva. Quando il salvato e il salvatore giunsero a riva, con viso beffardo l’altra sentinella finse riconoscenza e prese a complimentarsi con il salvatore. Per gratitudine verso di lui decise che gli avrebbe ridato il suo asino, ma intanto bisognava festeggiare l’avvenuto salvataggio del compagno. Perciò lo pregò di procurare una buona bottiglia di rosso, che Antonio andò a prendere a casa. L’ingenuità di Antonio era stata grande quanto il suo buon cuore, quando raggiunse felice il fratello per festeggiare insieme ai tedeschi l’avvenuto salvataggio e il recupero della loro vettura, Nicola aveva già completata l’opera ordinategli dalle guardie, avendo dovuto scavare la fossa che li avrebbe visti, dopo un solo colpo alla nuca, sepolti abbracciati, così come li trovava a letto la loro mamma ogni sera. Quella loro mamma, che in seguito, per il gran dolore, impazzì.
|
Post n°84 pubblicato il 24 Marzo 2012 da anchise.enzo
Nascere donna nel mondo contadino era condanna sicura per dover affrontare una |
Post n°86 pubblicato il 24 Marzo 2012 da anchise.enzo
|
Post n°88 pubblicato il 28 Marzo 2012 da anchise.enzo
Cucina contadina torese: FRASCATILL’ : SI FA SOFFRIGGERE CIPOLLA E POMODORO, SI AGGIUNGE CIRCA 700 GR. DI FARINA CON ACQUA L’ACQUA SI FA SCENDERE PIANO PIANO SULLA FARINA FINO A FORMARE DELLE PICCOLE PALLINE CHE UN PO’ ALLA VOLTA ...VENGONO COTTE CON L’IMPASTO. QUINDI SI FA CUCINARE PER 5 MINUTI. PANUNTE: PIZZA A MALLEVITA CON BACCALA’ O POMODORO O SALSICCIA, CICOLILLI O PEPERONI, TUTTO PREPARATO INTORNO AL CAMINO. CIPOLLATA: CON ABBONDANTE CIPOLLA, CHE SI SOFFRIGGE NELL’OLIO DI OLIVA , SI AGGIUNGONO PEZZI DI BACCALA’ CHE SI CUCINANO PER 5 MINUTI, SI AGGIUNGE QUINDI PIZZA DI GRANONE E SI MESCOLA FACENDO CUOCERE ANCORA PER CIRCA 5 0 10 MINUTI. SCIALBETTA: MOSTO COTTO CON AGGIUNTA DI NEVE FRESCA. SANGUE DI PORCO: UN LITRO DI SANGUE CON DUE LITRI DI MOSTOCOTTO, CON AGGIUNTA DI MANDORLE E BUCCE DI ARANCIA. SI FA BOLLIRE PER TRE O QUATTRO ORE A BAGNOMARIA FINCHE’ SI SOLIDIFICA UN PO’. I BAMBINI LO SPALMAVANO SU FETTE DI PANE E NE ERANO GHIOTTISSIMI. MACCARUNE CA’ MELLICHE: SI PRENDONO I MACCHERONI COSIDETTI “ PERCIATI” CHE SI CUOCIONO AL DENTE, QUINDI SI AGGIUNGE MOLLICA, PRECEDENTEMENTE TRITURATA SULLA TAVOLA DA BUCATO, CHE VIENE INTRISA CON OLIO , AGLIO E PREZZEMOLO E CON L’AGGIUNTA DI UN PEZZO DI CANNELLA . A’ SCANNATURE: SI VERSA DEL SANGUE FRESCO DI ANIMALE APPENA SQUARTATO IN RECIPIENTE SMALTATO BASSO E LARGO CHE DONDOLONADOLO NE PERMETTA IL CAGLIO CON SPESSORE DI QUALCHE CENTIMETRO. SI FA BOLLIRE L’ACQUA CON SALE E SI TUFFA IL SANGUE SOLIDIFICATO TAGLIATO A LISTELLI DI 4 / 5 CENTIMETRI. DOPO 10 MINITI DI BOLLITURA, QUINDI SCOLARE . SI TAGLIA DOPO LA BOLLITURA. SI FA SOFFRIGGERE LA CIPOLLA CON OLIO D’OLIVA E UN PO’ DI POMODORO E SI FA ROSOLARE, MESCOLARE E FARLO INSAPORIRE IL TUTTO PER 10 MINUTI. SI ACCOMPAGNA CON PIZZAMALLEVITA. PIZZA MALLEVITA: 1 KG. DI FARINA, ½ BICCHIRE OLIO DI OLIVA, 1 CUCCHIAINO BICARBONATO E ACQUA TIEPIDA E SALE. SI MESCOLA AFFINCHE’ L’IMPASTO SIA MORBIDO E LISCIO E SI CUOCE SOTTOCOPPA PER ¾ D’ORA SU LISCIA BEN FATTA E PREPARATA *** ** LISCIA BEN PREPARATA: PER SAPERE SE LA LISCIA E’ PRONTA, SI PULISCE CON SCOPARELLO E BUTTANDO UN PO’ DI FARINA DI GRANONE, QUESTO DEVE POTER BRUCIARE Piatti tipici ordinari "Taccozze" (impasto di farina di grano duro): sfoglie sottili, di forma romboidale e grandi quanto il palmo di una mano, vengono di solito condite con aglio, olio e peperoncino. "Sagnetelle" (impasto di farina di grano dro): specie di fettuc-cine larghe e lunghe quanto due dita riunite della mano, si mangiano sole o con legumi, con il solito condimento di aglio, olio e peperoncino. "I frascatielle" non son o altro che noccioli di pasta bolliti e cotti nell 'acqua; si mangiano con la loro acqua di cottura e si condiscono con olio, peperoncino e sale. "Acquasale" è un piatto tipico della colazione del mattino e consiste in pane spugnato d'acqua e condito con sale ed origano con l'aggiunta dell'olio e qualche volta dell'aceto. Focaccia di granoturco e fagioli o altro legume. Pane cotto con cipolla, olio e peperoncino e acqua di cottura. Tra i piatti tipici della tradizione contadina molisana sono da provare assolutamente le saporitissime fascatielle, particolare tipo di polenta condito con sugo di ragù, ventresca e formaggio. Per chi ama gli accostamenti un po’ inusuali sono da provare, invece, i maccheroni con la mollica, semplice piatto di pasta, preferibilmente lunga, condita con un composto a base di mollica di pane, olio, aglio e prezzemolo. Pasticceria Molisana: Famosissimi in tutta la regione, che vanta una lunga tradizione in materia dolciaria, i cauciuni ripieni di pasta di ceci e i peccellate.
|
Post n°89 pubblicato il 14 Maggio 2012 da anchise.enzo
|
Post n°91 pubblicato il 13 Febbraio 2019 da anchise.enzo
Negli anni Quaranta ci fu l'ennesima ristrutturazione del convento. Si rifece il tetto e la facciata fu caratterizzata con pietra bianca locale e un grande rosone. Per riconsacrare la chiesa, era necessario ripulirla dalle incrostazioni e dalla polvere. Per questo si fece ricorso alle araldine che, nonostante la clausura, poterono accedere liberamente nei locali del convento. Con lunghe scale si arrampicavano sui muri, spolverando minuziosamente i fregi, gli stemmi e i grandi angeli di gesso, posti alla sommità degli altari barocchi. A una a una ripulirono anche le nicchie dei santi, dopo aver rimosso e allineato le statue nel chiostro. Il lavoro era ormai completato, s'era fatto buio. Restava solo da prelevare l'ultima statua, San Pasquale Baylon, e ricollocarla nella sua nicchia. Ma le ragazze erano sfinite. Fu allora che venne in loro aiuto Fasciano, un uomo pratico e risoluto. Accortosi che San Pasquale era pieno di sporcizia, attinse un secchio d'acqua dal pozzo del chiostro, lo riversò con forza sulla statua, e in presenza delle pie ragazze esclamò a gran voce: Le ragazze dapprima rimasero sconvolte per quella bestialità, ma poi scoppiarono in una fragorosa risata, ringraziando il buon uomo per l'aiuto dato loro. Passò circa un decennio e un nuovo padre guardiano diede il via a nuovi lavori. Tra l'altro fu rifatto il pavimento in cemento, dopo la rimozione degli scheletri giacenti sotto il vecchio pavimento in cotto. Questa volta San Pasquale ebbe minor fortuna. Forse perché la statua era veramente malridotta, forse perché la devozione per il santo scemava, una bella mattina il padre guardiano, se la caricò in spalla e la infilò nella sua Fiat 1100 familiare. Pensava di aver fatto quella operazione da solo e in gran segreto, ma si sbagliava, perché una bizzoca aveva spiato le sue mosse. La malalingua insinuò il dubbio in paese che il padre guardiano fosse andato a vendersi la statua di San Pasquale a Campobasso. Messo al corrente della pesante insinuazione, l'irascibile padre guardiano, che in città c'era andato sì, ma per depositare la statua al convento di San Giovanni dei Gelsi, dove erano già stati depositati a centinaia anche i vecchi libri della gloriosa biblioteca del convento di Toro, ebbe a dare sfogo a tutto il suo risentimento. Durante un'omelia, prima rassicurò i fedeli che la statua di San Pasquale non era stata venduta, ma aveva solo cambiato convento, poi si permise la degna conclusione: Foto: P. Ireneo |
Inviato da: pgmma
il 24/03/2012 alle 11:47