Creato da anchise.enzo il 30/01/2012

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il mio terzo fratello

Post n°72 pubblicato il 17 Marzo 2012 da anchise.enzo

Quando nacque il mio terzo fratello (Toro che non c'è più)
A oltre mezzo secolo di distanza, la suggestiva rievocazione della nascita del fratello più piccolo, il corteo del battesimo, il rinfresco, il vincolo del San Giovanni, le cure sommarie, l'asilo infantile, le scuole elementari...


In campagna con la culla in testa, sferruzzando e portandosi dietro la capra
Forli del Sannio 1027, Foto A. Trombetta


Quando nacque il mio terzo fratello ricordo il via vai della levatrice, con i suoi semplici attrezzi, per aiutare la mamma a partorire. Il bimbo venne amorevolmente fasciato in tutto il suo corpicino, per farlo crescere "diritto", gli fu fatto "'u rabbuglie", cioè venne avvolto in una lunghissima fascia, con le mani dentro per proteggerlo dal freddo, e gli venne posta in testa 'a cuppelella.

Era d’obbligo, allora, mettergli il nome di uno dei nonni e di li a qualche giorno battezzarlo, perché la sua gracilità era preoccupante. Fu condotto processionalmente in chiesa una domenica sera, per il rituale che si teneva in una funzione a parte presso l’antico fonte battesimale posto nella cappella di S. Michele.

Il corteo era formato dalla madrina che portava il neonato vestito di bianco; dietro la"comare" seguivano il padrino, la levatrice, e alcuni parenti con uno stuolo di ragazzi festanti. Ricordo mia cugina, a capo del corteo, che portava la giara d’acqua con la fetta di pane sopra, come era in uso allora. Mio padre, durante la veloce somministrazione del sacramento aspettò fuori dalla chiesa, mia madre restò invece a casa, poiché si credeva che la loro presenza non fosse di buon auspicio durante quel rito.

Dopo il battesimo si dette un rinfresco a casa del neonato, con rosolio, caffè, biscotti e la "pizza dolce". Ci si teneva molto, anche i più poveri cercavano di festeggiare il lieto evento in qualche maniera coinvolgendo i vicini. I padrini ragalarono al battezzato una catenina d’oro. Dopo il rinfresco si ballò con un semplice organetto, trattenendoci fino a tardi.

Nelle ricorrenze di Natale e di Pasqua, i miei mandavano ai compari sempre un regalo : un pollo, un coniglio o un gallo, per tenere stretto il vincolo del “San Giovanni” . Vincolo che si mantenne stretto finchè non emigrarono entrambi i padrini per l'America da dove, immancabilmente, inviavano per il compleanno del figlioccio dieci dollari.

Dopo lo slattamento, e fino ai tre o quattro anni, ricordo mio fratello con una calzamaglia di lana, fatta dalla nonna, con un foro anteriore e uno posteriore per dar libero sfogo alle sue esigenze corporali, che spesso lo portavano a imbrattare il pavimento di cotto. I genitori erano intenti ai lavori nei campi e spesso il bimbo veniva lasciato in cura dai vicini, ma la loro cura era minima, appena uno sguardo fugace finchè non cadesse giù per la “cataratta”. Ricordo la mamma che, per recarsi in campagna, e aiutare papà nei lavori dei campi , non potendo lasciare il piccolo a casa, lo adagiava nella culla e con la culla in testa trascinava capre e pecore, finchè giunta al podere, collocava la culla al fresco sotto la grande quercia.

Mio fratello fino ai quattro anni era ancora legato alla mamma e all'ambiente familiare, poi fu mandato all’asilo delle suore dove mangiava la refezione offerta dalle suore, ed era costretto poi, suo malgrado, a dormire nel pomeriggio poggiando la testa sui duri tavolinetti bianchi, nel chiuso del salone posto sotto il municipio. Era un supplizio per i ragazzi subire il forzato riposino per consentire alle suore di poter ricamare in tranquillità sull’ampio terrazzo che dominava la valle del Tappino. Altro supplizio era quello di essere costretti a bere l’acqua dai bicchieri grezzi di alluminio in rassegna, uno dopo l'altro volenti o no, come l’obbligo di recarsi in fila indiana nel piccolo cesso della loggia, che emanava miasmi insopportabili.

Fattosi più grande, varcò l'austero portone del Municipio, dove erano allogate le scuole elementare, con i balconi delle aule che si affacciavano sul sottostante terrazzo delle suore. Lì non c'erano cessi, ma durante l'intervallo e all'occorenza si usciva per raggiungere le stalle, gli orti, e i viottoli di campagna del Grottone.

 
 
 
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