Creato da fittavolo il 03/12/2007
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UNA VACANZA

Post n°102 pubblicato il 06 Novembre 2009 da fittavolo

Le immagini si susseguono in un’interminabile sequenza come in una pellicola senza fine. Alberi, prati, strade, case e lì in fondo il mare, la spiaggia, lei. I pensieri non seguono la velocità con cui mi sposto, sono fissi, immobili. Legati a quei granelli di sabbia sulla sua pelle, al sapore salato che aveva, al profumo che ne esaltava la freschezza. Giochi di bimbi adulti, di adolescenti maturi, sono stati i nostri continui contatti, per un’ennesima conferma che non fosse un sogno, che esistessimo veramente. In quella verità fantastica ci sguazzavamo, agitavamo le mani, le braccia, per spiccare il volo, andare lontano io e lei soli; per scappare verso quel mondo che ci siamo costruiti in pochi giorni, per preservarlo e preservarci dal tempo che scorreva sul calendario delle vacanze e ne assottigliava lo spessore. Quante volte le ho chiesto come sarebbe stato, come avremmo affrontato il futuro, dopo la fine dei giorni. Ma erano attimi rubati al presente che non valeva la pena consumare per fare stupide ipotesi e menzognere promesse. La sua mano pronta sulla mia bocca la faceva tacere, e le sue parole pronunciate sottovoce, riaccendevano l’allegria, spazzando via quei principi di nostalgia la cui esistenza era assurda. – Vivere ora, vivere adesso, per il futuro c’è tempo –  questo ripeteva continuamente e affogava la montante malinconia con un bacio. Era il suo modo di vivere e per due settimane è stato anche il mio. Mi aveva stregato. Ero inspiegabilmente coinvolto in un susseguirsi di azioni, che in altri momenti non avrei mai fatto, e che hanno messo in evidenza un aspetto della mia personalità sconosciuto. Mai avrei pensato di provare un piacere così intenso, così assurdo, da togliere il fiato. Chiuso com’ero nella mia vita borghese, dove assicurarmi il futuro, anche quello sentimentale, era una necessità, sfuggivo a quest’altro mondo fatto di precarietà e di un sottile piacere totalmente appagante. Era il sapore della trasgressione che per la prima volta mi riempiva la bocca. Aveva un gusto esotico l’abbandono ai sensi. Instancabilmente continuava a provocarmi, a fare scempio di quell’amore che cercavo di costruire, per sancirlo a un livello superiore, dove la carne non era una sua componente, ma solo lo strumento del piacere.

– Sei geloso? – mi aveva chiesto. Sapeva benissimo che lo ero. Lo sono sempre stato. Impazzivo al solo pensiero che potesse toccare un altro, desiderarlo. Allora perché quella domanda? Mi chiesi prima di risponderle – lo sono –
Aveva sorriso e si è alzata, con sicurezza percorse i pochi metri che ci dividevano dal bancone del bar e disse qualcosa nell’orecchio del barman. Gli fece una carezza lanciandogli un bacio in aria. Poi tornò a sedere. Guardavo lei e guardavo il barman, alternavo lo sguardo aggrottando le sopraciglia. Il cuore cominciò a battermi forte, sembrava volesse uscirmi dal petto. Non dissi niente, ascoltai le sue parole – ti amo, stasera esco con lui, se vuoi puoi venire anche tu –. Restai basito, incredulo,  per quel suo gesto tanto strano. Avrei dovuto mandarla a farsi fottere, ma non lo feci perché qualcosa successe: inspiegabilmente mi ero eccitato all’idea di uscire in tre. L’aveva capito e l’aveva voluto constatare, allora sorrise e mi disse – stronzo – si alzò – ti aspetto in camera –
Facemmo l’amore in un modo straordinario, l’eccitazione resisteva al tempo. Le sue parole alimentavano fantasie insensate, impossibili e sentivo l’orgasmo nascere dentro la testa, battere nelle vene del cervello, una due tre volte, dopo scorreva lungo il corpo facendolo fremere. Impazzivo.
Dopo restammo stesi sul letto a guardare il soffitto e a fumare una sigaretta, mentre i nostri corpi dissipavano il calore nella brezza che penetrava dalla finestra socchiusa.
– Dicevi sul serio prima? – le chiesi buttando fuori il fumo – certo! – rispose…

Così i giorni passarono, mentre le nostre vite s’intrecciavano sempre più con giochi al limite della decenza. Era impossibile fermarsi un attimo a razionalizzare per cercare di capire, eravamo sempre in continuo fermento. Appena finivamo di far l’amore, si alzava dal letto proponendomi subito qualcosa, non la definiva mai completamente, la lasciava coperta con un velo di mistero per scoprirla solo quando l’avrebbe realizzata. Aveva una fantasia senza fondo, e da tutto traeva spunto affinché il nostro piacere fosse più intenso. I particolari insignificanti di qualsiasi cosa erano quelli che preferiva, diceva che erano più stimolanti, dimostrandomelo fino alla fine.

Eravamo in stazione, ormai il tempo era finito. Ci tenevamo stretti, fusi nell’abbraccio come se dovesse durare in eterno. Incuranti delle persone in attesa sulla banchina, stavamo a modo nostro, consumando l’ultimo orgasmo. Davanti a tutti.
– Ti faccio venire per l’ultima volta – mi aveva sussurrato nell’orecchio. E si stingeva sempre più e dava dei piccoli colpi col bacino. Colpi impercettibili perché li sapeva sapientemente inserire nella danza dei nostri corpi. A pochi metri c’era il capostazione che ci osservava e ogni tanto muoveva il capo con dissenso. Quando decise di intervenire per invitarci ad assumere un contegno decoroso, stava per arrivare il treno e comunque tutto era già compiuto.
Era stato un distacco semplice, era così che lei voleva. Appena arrivò il convoglio, mi invitò a salirci. Dal finestrino l’ultimo tocco, nessuna parola, solo un bacio soffiato nella mia direzione mentre si allontanava, ancor prima che il treno partisse. La vidi fermarsi con il capostazione, scambiare qualche parola; e nel momento in cui fischiò e agitò la paletta per la partenza, stringergli il sesso con una mano e poi scappare via. Si voltò per l’ultima volta prima di entrare nel sottopassaggio e la sentii gridare, è stato bello, agitando in aria le mani.

 
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