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Post n°101 pubblicato il 26 Ottobre 2009 da fittavolo

Il campo di grano era immenso. Si estendeva da una collina all’altra a perdita d’occhio. Nell’entroterra, il tavoliere pugliese era un continuo susseguirsi di rilievi, non potevano essere definiti colline, troppo bassi, ma abbastanza alti da limitare il campo visivo. Avevamo lasciato l’auto ai margini di una vecchia strada vicinale e scendevamo di corsa verso l’unico albero che c’era in mezzo al campo. Era una vecchia quercia. Correre nel grano maturo era una cosa che da piccolo facevo tutti gli anni, quando mio nonno mi portava con sé in campagna, per la mietitura. A dire il vero le corse erano sempre state fatte di nascosto, mentre riposava nei pomeriggi soleggiati di Giugno, ed ogni volta erano puntualmente scoperte. Era impossibile non lasciare traccia nella immensa distesa di spighe. Poi la mietitura riportava la quiete e il terreno era come quanto uscivo dal barbiere dopo aver tagliato i capelli. Nella stoppia potevo fare di tutto, correre, rotolarmi, ma non era divertente, anzi il più delle volte i residui degli steli della spiga mi graffiavano le gambe. Erano passati tanti anni da quelle estati e correre con lei in un campo sconosciuto, sperando che il proprietario non si facesse vivo, mi dava gli stessi brividi di allora. Le spighe erano talmente alte da coprirla, ciò nonostante correva all’impazzata tenendomi testa. Arrivammo alla quercia senza fiato. Ricordo che aveva toccato il tronco gridando “ho vinto”, poi si era seduta appoggiandoci la schiena. Pochi secondi dopo mi sedetti al suo fianco. Sentivo il cuore battermi in gola, erano anni che non correvo così tanto. Sono bastati pochi istanti di riposo per ridarle carica, si era alzata e aveva cominciato a saltellare per vedere oltre le spighe. Il mare giallo mosso dalla lieve brezza, ondulava. Le spighe di grano chinate verso il basso, oscillavano mimando una danza d’altri tempi. Era un rito propiziatorio per esorcizzare il loro futuro. Il grano era maturo, e non era certo quel continuo dire no con il capo, che le avrebbe risparmiate dalla falce del contadino. Una cornacchia volava sopra le nostre teste emettendo di continuo versi. Forse sull’albero c’era il suo nido.
“Papà rispondimi sinceramente, il mondo da dove viene, chi è che l’ha fatto?” mi domandò.
Quante volte ho sperato di sentirle chiedermi questo, tante, ma non ora, non a questa età. Cosa potevo risponderle? Non ero preparato ad affrontare una simile questione e soprattutto mi pesava tanto quell’avverbio “sinceramente”. Perché sinceramente? Qualcun altro le aveva già parlato dell’argomento, e lei aveva intuito una balla madornale? Non potevo tirarmi indietro, ero suo padre e dal modo insistente che aveva nel fissarmi, si aspettava una risposta.
E subito!
Ma porca miseria non poteva chiedermi qualcosa di più facile, a cosa serve il grano, dove va il sole quando tramonta, a sette anni sono queste le domande che dovrebbero ronzarle nella testa. Non volevo assolutamente condizionarla con la mia scelta e allo stesso tempo non volevo raccontarle una cosa che non sentivo minimamente. Anche perché col tempo non l’avrebbe dimenticata e prima o poi, scoperto il mio vero pensiero, me l’avrebbe rinfacciata.
La cornacchia era insopportabile, aveva cominciato a volare basso e con il suo verso m’impediva di pensare. Mi venne in mente che forse non era così seccante, che poteva essere la mia ancora di salvezza. Infatti, attirò la sua attenzione e finalmente smise di fissarmi.
“Che vuole quest’uccello?” disse.
“E’ una cornacchia, forse su quest’albero c’è il suo nido” risposi.
Rimase qualche secondo ad osservarla svolazzare poi rivolse lo sguardo di nuovo verso la distesa gialla. Non so dalla sua altezza cosa riuscisse a vedere, ma ne era incantata.
“Allora?” chiese.
“Allora cosa?” dissi.
“Papà alla domanda di prima, non hai risposto, allora?” precisò.
Perché i figli insistono quando non c’è bisogno e sono evasivi quando serve? Forse è nella loro natura di figli o semplicemente hanno scoperto un punto debole e battono il ferro finché è caldo. Dopotutto è sempre qualcosa che può tornare utile in certi momenti, allorché cerchiamo con le nostre paternali di tenerli sulla giusta via. A questo punto ero con le spalle al muro e in verità non avevo una risposta “sincera” da darle, allora da buon Pilato le chiesi “secondo te?”.
Era quello che si aspettava, lo intuii dall’immediatezza della sua risposta, giunta non più tardi di un secondo.
“Gesù. Gesù ha fatto il mondo” rispose.
Stupito e un po’ dispiaciuto, in tutta franchezza non la penso così, la guardai alzando le sopraciglia in segno di meraviglia.
“Gesù ha creato il mondo – indicava quello che riusciva a vedere dalla sua altezza – anche gli uomini, gli animali. E gli uomini hanno fatto le cose, come le case, le auto, la pasta. Ce l’ha detto la maestra” disse sicura.
Grazie maestra per avermi salvato, un domani forse non la penserà più così, strapperà dalla sua testolina quest’idea che sembrava convincerla, ma questo non avrà più importanza perché sarà grande e, come me come tutti, avrà un proprio concetto sull’esistenza.
“Però, quello che non so è, chi è Gesù? E dove vive?” chiese.
Adesso mi era chiaro il perché della sua richiesta di sincerità. Le hanno detto chi è stato l’architetto del mondo, ma non avendo un riscontro della sua esistenza, la stessa affermazione ha perso di significato. I bambini son forti, non li si frega facilmente. Sinceramente le dissi “Chiedilo alla maestra”.
Mi sorrise.

 
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Commenti al Post:
Bridigala
Bridigala il 26/10/09 alle 14:00 via WEB
è un'immagine meravigliosa.
(Rispondi)
 
fittavolo
fittavolo il 26/10/09 alle 14:44 via WEB
Grazie Chiara. Buona settimana. Giuseppe
(Rispondi)
dreaming_cri
dreaming_cri il 28/10/09 alle 19:54 via WEB
la maestra ha fatto il "danno" e lei deve ripararlo :-)
(Rispondi)
Utente non iscritto alla Community di Libero
Sonia il 29/10/09 alle 17:52 via WEB
ahahahahah...questa risposta è esattamente quella che Giuss darebbe se questo racconto fosse realtà!!! Un abbraccio infinito! Sonia
(Rispondi)
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