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Generazione "Lettera 36"

Post n°101 pubblicato il 29 Ottobre 2012 da navigator77
 
Foto di navigator77

Fin da piccolo, ho sempre avuto una calligrafia non eccellente, in partciolar modo quando prendevo appunti ed ero di fretta, cercavo di sintetizzare con una convenzione tutta mia che mi permetteva di capire ciò che volevo intendere con quei simboli, poi più in avanti scopriì che esisteva una materia chiamata "stenografia", che però non avevo mai studiato, non avendo intrapreso un percorso di studio che la prevedesse. Ma in fondo penso che più che di stenografia, si potesse parlare di una sorta di ideogrammi tutti miei, degli ideogrammi "made in Mario", anni dopo un mio amico dell'università ci ironizzava affermando che fossi una spia russa che scriveva in cirillico per non essere compreso :)
La sola cosa che potevo fare, quando avevo il tempo a disposizione per farlo, era ricopiare "in bella" gli appunti presi, che poi si fa per dire, nemmeno la mia "bella" era poi tanto bella, ma in fondo, pur essendo consapevole della cosa, me ne curavo fino ad un certo punto, poichè l'obiettivo per me era che fossero comprensibili, efficaci nel trasmettere ciò che avevo appreso e che volevo intendere, e per me in questo l'estetica aveva un ruolo molto marginale, pur apprezzandola. Ricordo che usavo un quaderno a quattro anelli, appositamente per poter essere quanto più possibile "flessibile" nell'inserire nuovi appunti, completare, ampliare, sostituire il foglio di appunti di "brutta" con quello ricopiato, ecc.

Era la fine degli anni '80, si diffondevano man mano i primi home computer e qualche personal, ma i prezzi erano relativamente alti, almeno per una famiglia normale, e quindi figurarsui potersi dotare anche di una stampante (dagli allora rumori improbabili degli aghi con cui stridevano sul nastro). Ma proprio in quegli anni, rovistando tra le vecchie cose nella casa in cui era cresciuta mia madre, spuntò lei: Olivetti Lettera 36 si chiamava, è il nome della mia prima (ed unica) macchina da scrivere. Probabilmente fui più felice di quella "scoperta" che del pur indimenticato "Commodore 64" che avevo acquistato con i regali avuti per la prima comunione, quella macchina rappresentava per me la "libertà" di poter scrivere in maniera "pulita" ciò che prendeva forma nella mia testa da ciò che ascoltavo, ed in maniera contorta cercavo di buttare su carta prima che svanisse via, soppiantata dalle altre informazioni che intanto rapide arrivavano.

Ricordo che le prime "vittime" furono le relazioni di Chimica. Era la materia introdotta nel secondo anno di superiori, e ricordo che, sia i "ripetenti" che chi aveva avuto il mitico "cuggino" aveva timore di questa materia. E ad accrescere questo timore, c'era l'aspetto esteriore del docente: un uomo alto, snello, con spalle larghe, carattere un pò distaccato e freddo e capelli rossi con viso un pò lentigginoso che ricordava caratteri somatici un pò "vikingheggianti", ma si trattava appunto solo di esteriorità ed apparente distacco, il resto lo faceva la complessità di una materia dall'impostazione nuova, per delle menti di adolescenti, chi più chi meno propensi alla "scoperta" della materia di cui è fatta il mondo. Ricordo che la mia "giustificazione" per quelle relazioni battute a macchina era proprio "ho una brutta calligrafia", ma in realtà un pò mi vergognavo, non so nemmeno io il perchè, a dire che mi piaceva farlo. Sì allora non avevo il carattere che ho adesso, anche se molto spesso mi ritrovavo ad aver piacere nel fare cose diverse dalle altre persone, quando lo facevo mi sentivo quasi "in difetto", e quindi mi sentivo in dovere di trovare una motivazionealternativa e plausibile, per quella mia strana passione.

Negli anni delle scuole superiori, tante pagine ho battuto con quel fantastico strumento, addirittura aveva la facoltà quel modello di poter utilizzare sia la parte rossa che quella nera dell'inchiostro, mi divertivo così a dare profondità al testo, ora utilizzando i doppi colori, ora magari "simulando" un effetto grassetto, facendo tornare indietro il tamburo rotante e ribattendo il carattere su quello già stampato, per non parlare dell'utilizzo della carta carbone, dato il costo e la non immediatezza che c'era allora nel fare una fotoopia. La maggior parte di queste cose con il progresso non sono state più necessarie, ed alcune con un ovvio senso di piacere (non era per nulla bello trovarsi le mani impiastricciate tra il nero ed il rosso dei caratteri - avete mai provato a cambiare un nastro - e quello blu della carta carbone che utilizzavo).

Ma la cosa che destava più "terrore" durante la battitura di un testo, era di certo l'errore! Eh già, uno ora non ci pensa nemmeno, sbagli a digitare un tasto e c'è il delete, usi un termine sbagliato lo selezioni e lo tagli, oppure ne fai il copia ed incolla per riorganizzare la struttura della frase, lo sto facendo anche io, proprio in questo momento, con alcune delle frasi di questo pensiero. Altre volte, andando ancora più verso i giorni nostri, c'è un "correttore automatico" che ti dice dove hai sbagliato, cosa hai sbagliato, che la forma usata "non è standard", e come rimediare.
Allora invece non era possibile, se c'è una pratica in particolare che ogni utilizzatore di macchine da scrivere ricorda, era probabilmente l'uso del "correttore universale", volgarmente chiamato "bianchetto". Quando mi ricapita uno di quei fogli in mano, sembra strano, ma a volte mi sembra di ricordare il preciso errore che avevo fatto, a volte ancora si intravede cosa c'era scritto sotto quello strato aggiuntivo di bianco, ed a mio avviso quello strato aveva un significato non intuitivo molto profondo: ci insegnava a ricordarci, che gli errori, per quanto possiamo riconoscerli, non si cancellano, possiamo superarli, oltrepassarli, possono anche non essere errori, ma cose che pensavamo calzasseo bene quando invece non era così, ma una traccia la lasciano, sempre. Di conseguenza anche una pagina, quando andavi a strapparla per rifarla, era sempre una decisione "ponderata", mai leggera. Mai ci si sarebbe sognati di buttare via una pagina scritta con tanta cura e dedizione, solo perchè in due o tre punti avevamo dovuto mettere qualche correzione, mentre la cosa veniva fatta comunque se alla fine le correzioni e le modifiche risultavano essere talmente tante da rendere il foglio "un altro foglio" fatto prevalentemente di strati di "bianchetto", e non quello originale su cui mi ero cimentato a scrivere. Certo i segni di  tale trasformazione stanno anche ad indicare che ci ho lavorato per molto tempo su quel foglio, ma anche che probabilmente non vi era impressa su l'idea "giusta" per cui a quel punto cambiare foglio e rimettersi a scrivere da capo, facendo comunque tesoro di quel foglio strappato, era la cosa più opportuna da fare.

Dal punto di vista della vita quotidiana, quella che io vivo è proprio questa mentalità, che sta un pò sparendo, quella della "Lettera 36", che non si scoraggia per un pò di bianchetto da mettere all'inizio di una pagina nuova delle propria vita, una parola da riscrivere, una frase da riformulare meglio, e lo fa senza accartocciare via il foglio ogni volta pretendendo che sia subito tutto "perfetto", ma ricordandosi di quella piccola imprecisione e di averla corretta, superata. Inoltre non ha bisogno di un "correttore automatico" che stia lì a dettare le linee guida che dovrebbe seguire, certo potrà sbagliare qualche volta in più, metterci più tempo, ma alla fine si sarà scritta una cosa "propria", magari creato un piccolo standard valido solo per quel racconto.
Allo stesso tempo, questa mentalità mi porta ad essere capace di buttare via i fogli appesantiti, pieni di errori ed orrori, che comunque ci lasceranno, anche quando sarà appallottata in un cestino o messa in un raccoglitore, il ricordo e l'insegnamento di ciò che di più o meno giusto avevamo digitato.. ops pardon, volevo dire battuto, sui fogli che davvero desideriamo debbano rappresentare le pagine della vita che siamo e che vogliamo vivere, con errori ma senza orrori, con cancellazioni ma senza vicoli ciechi, con riformulazione di pensieri senza che questi spariscano in maniera invisibile.

 
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