noeasywayout
Quelli che sognano di giorno sono consapevoli di tante cose che sfuggono a quelli che sognano solo di notte. (Edgar A. Poe)
Post n°701 pubblicato il 24 Giugno 2014 da sciffo
The King is gone La notte del 22 giugno, nel catino del Circo Massimo, dopo duemila anni dalle corse delle bighe, è tornata a passare la storia, ma quella del rock, e noi c'eravamo. Lo scenario era a dir poco maestoso, con la luce calda del tramonto romano che arrossava le maestose rovine dei Fori, e più in là la statua del Vittoriale, più alta di tutto e tutti, che ci dava le spalle, divertita dagli strani riti degli uomini. Alle otto in punto il sollievo infine arriva. Sale sul palco John Meyer e noi, finalmente, possiamo gioire per la meta ormai vicina, e sgranchire ballucchiando le gambe anchilosate. Il ragazzo del Connecticut è un guitar hero, un talento che seguo non da ieri, ed ora le lancette si muovono più rapide. E' stato bello, anzi bellissimo. |
Post n°700 pubblicato il 19 Novembre 2013 da sciffo
And did we tell you the name of the game, boy? "Beh, ti dirò io qualcosa che con l’esperienza ho scoperto su di te, anzi di noi. Partiamo dal nocciolo, anche se la cosa non soddisferà il tuo ego. "Va bene, dentro sono dolce come un pezzo di pandoro e pazienza, me ne farò una ragione. Ma che me ne faccio di saperlo?" "Il passaggio fondamentale viene adesso. Se tu apri gli occhi sul cuore, perdonami il gioco di parole, e ne accetti il contenuto, rimuovendo ogni ostacolo all'autocoscienza, toglierai ogni limitazione ad una forza immensa, quella di un animo capace di comprendere il fluire del mondo.
Mentre riflettevo che, effettivamente, il sistema nervoso di mia madre è forgiato in puro adamantio wakandiano, mi accorsi che la pelle del mio alter ego sembrava cambiare colore, virando verso un pallore quasi spettrale. Anche lui se ne rese conto, e si fissò le mani ormai diafane per un paio di secondi. "Che sta succedendo?" chiesi. "L'operatore... temo che si stia svegliando.
Ma devo dirti ancora una cosa molto importante, la più importante di tutte.
"E il secondo scopo?" "Aprire le porte del cuore può spalancarti quelle del mondo, che oggi tieni spesso socchiuse, condannando me, il tuo futuro, a un’esistenza da esule. Lo guardai ma i suoi contorni, adesso si erano come liquefatti e amalgamati con lo sfondo, divenendo indistinti. Il tempo stava finendo, e lo sapevamo entrambi.
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Post n°699 pubblicato il 17 Novembre 2013 da sciffo
Hey you! Out there in the cold Riflettei un istante.
Tutta la faccenda era semplicemente pazzesca, tanto da farmi davvero credere di essere in un sogno. Ma, se lo era, tanto valeva vedere come andava a finire. "Si, forse hai ragione. Mmmh ...da dove cominciare?" Lo vidi rabbrividire, come se un vento gelido gli avesse attraversato le ossa, mentre io invece stavo sudando come un grizzly perso nel deserto. Me lo ricordavo bene, anzi il pensiero di quei bambini, con maglioni a rombi anni 70, mi scaldò per un attimo il petto …ma che c'azzeccava? "Prova a ricordare davvero: c'era chi di solito vinceva, chi invariabilmente finiva spolpato dopo pochi giri, chi era sempre in prigione, chi si accontentava di vivacchiare in attesa della merenda. I giocatori erano sempre gli stessi, e ciascuno di loro giocava sempre nello stesso modo, con esiti quasi sempre uguali. Lo interruppi: "In altre parole, a vedere la bottiglia mezza piena." "Si, ed anche a farsi piacere il liquido che c’è dentro, fosse pure piscio. Certo, se qualche volta ci trovi una birra fresca, è meglio." "Beh. francamente non mi pare chissà quale rivelazione." "Infatti, hai ragione. Questa è solo la premessa. Il vero problema è capire chi siamo: quello che a Monopoli vince sempre, quello che insegue il sogno di un hotel a Parco della Vittoria o quello felice con una sola casa in Viale Monterosa? "Mi sembra di averla già sentita, questa. Socrate l'ho studiato in terza liceo. Non mi pare niente di rivoluzionario..." "Mai detto che lo fosse, ciccio. Però prova a pensare a te stesso, o alle persone che hai vicino. Secondo te c'è qualcuno di voi che davvero si conosce, si accetta per quello che è, e si comporta di conseguenza? Solo i bambini più piccoli, nei quali tutto è istinto, sanno chi sono o, se preferisci, cosa vogliono. La mia mente fece scorrere alla velocità della luce i volti dei miei amici, e dovetti convenire che, in effetti, le loro strade, per quanto potessi giudicare, si erano spesso evolute in direzioni del tutto congrue con quanto avevo appena sentito enunciare. "E quindi veniamo al nostro caso: tu pensi di conoscere te stesso, di sapere dove vuoi andare?" mi chiese dopo una breve pausa, ogni parola che pesava come un masso dolomitico. Non mi ci volle molto per trovare dentro di me la risposta, e scuotere lentamente la testa. Si, forse qualche elemento ce l'avevo, ma per lo più ero un aggregato di tracotanza (ancora il maledetto Socrate!), come chiunque altro del resto. (Continua) |
Post n°698 pubblicato il 16 Novembre 2013 da sciffo
Running over the same old ground Da qualche tempo, più o meno due mesi, ogni mattina incontravo un tipo un pò strambo. Era un tipo di mezza età, con i capelli brizzolati e la pelle delle guance che iniziava a cedere alla forza di gravità. Quando lo incontravo, spesso si trovava impegnato a leggere un romanzo, lo sguardo assorto, al limite dell'assente, e un paio di occhiali da miope sul naso che lo facevano sembrare un vero coglione. Il fastidio si accumulava giorno dopo giorno e alla fine, in una giornata in cui mi ero svegliato un pò storto, mi feci avanti. "Scusi, sta cercando qualcosa? Posso aiutarla?", gli chiesi all'improvviso, con un tono quasi aggressivo, sperando di coglierlo almeno un pò di sorpresa. Il coglione se n'è rimase in silenzio per dieci secondi buoni, fissandomi come se mi avesse visto pisciare in un bicchiere. "Mah, mi dava l'impressione che avesse perso la strada e stesse cercando aiuto, tutto qui" - a questo punto avrei dovuto salutare, girargli le spalle e andarmene, ma purtroppo, preda di un alieno raggio traente, non ci riuscii. Il tipo continuava a fissarmi, ed io me ne stavo lì immobile, ma per qualche ragione la mia aggressività stava svanendo rapidamente come nebbia in giugno, lasciando spazio ad un principio di curiosità quasi morbosa. "Mi dispiace. Quel che è evidente è che lei doveva tenerci molto, qualsiasi cosa fosse." Non è da me mettermi a fare conversazione con gli estranei, eppure cominciavo a sentire che la cosa poteva anche farsi interessante, che nonostante lo sguardo idiota forse quel poveraccio poteva avere una storia interessante da raccontare. E da parte mia, per qualche ragione, ero ansioso di ascoltarla. "Non mi hai ancora riconosciuto, vero?" mi chiese, passando con naturalezza a darmi del tu, mentre spostava lentamente il suo mezzo sorriso verso un angolo della bocca. Lo guardai meglio: i tratti del viso mi erano in effetti familiari, ma nello stesso tempo mi apparivano sfumati, artefatti, come se stessi fissando Fantomas e la sua maschera di gomma. Rise, e scosse la testa, fissando per un istante lo spazio vuoto tra di noi. "No, non proprio. No." Si passò il palmo di entrambe le mani sul volto, come per riprendersi da un sonnellino. O da una brutta notizia. "Avrei dovuto immaginarlo ...forse era meglio che noi due non ci fossimo mai visti, ma sei sempre stato molto curioso, ho sempre saputo prima o poi poveva succedere" - scosse la testa, spostando lo sguardo verso un punto imprecisato alla sua sinistra. A quel punto, ero curioso davvero. Si voltò per un momento, come se temesse di essere spiato, poi prese un respiro profondo e mi guardò con un'intensità d'un tratto terribile, mostrandomi profonde ragnatele di rughe attorno agli occhi. Infine, si decise a parlare. Se questa rivelazione doveva colpirmi in qualche modo, beh, non fu così. Al contrario, per un istante pensai che il tipo fosse un matto, uno di quelli da camicia di forza e stanze imbottite. Avrei dovuto pronunciare qualche parola di circostanza e passare oltre, eppure, sentii la mia voce chiedergli: "Scusi ma ...che cosa sarebbe questa seconda metà?" Non capivo, non volevo capire. Doveva trattarsi di un brutto sogno, da lì a poco mi sarei svegliato, un pò sudato forse, ma nella mia solita, solida realtà. "Cioè ...fammi capire: tu saresti me anziano ed io me stesso ...noi, giovane? Se qualcuno mi sta facendo uno scherzo, beh, mi fa proprio cagare." Sentivo la pelle d'oca persino sulle spalle, e il battito del cuore rimbombarmi nel cranio. A tutta forza. Si guardò di nuovo furtivamente alle spalle. "Ascolta. So che per te è difficile. Tu sei quello per cui il mondo fila sempre dritto per i binari della logica elementare, quello per cui tutto è bianco o è nero. Le mie parole non possono che sembrarti pazzesche. Ma, almeno per un istante, ammettiamo che che le cose stiano come dico io. In fondo la fantascienza ti è sempre piaciuta, no?" (Continua) |
Post n°697 pubblicato il 06 Ottobre 2013 da sciffo
Fascinazioni eterne, che scaturiscono in genere da immagini di abbacinante bellezza scansionate dagli occhi, ma poi filtrate da un'emozione, un momento irripetibile, un singolare stato dello spirito. Il Sasslongher in un limpido mattino di settembre, ad esempio. Ma ci sono anche posti che, da vedere, non hanno niente di speciale. 'Cause what you see is not always what you get, bro. Siamo arrivati a Clarksdale aspettandoci di trovare la solita cittadina americana, sperduta in mezzo ai campi senza fine del Mississippi, un brufolo schiacciato di civiltà ai bordi della solita highway di cemento dritto e grigio, con il serbatoio dell'acquedotto scrostato e la gente che vive in roulotte o baracche di lamiera. E c'era tutto, cazzo. Non c'è nessuno, in giro, eppure il pittoresco motel consigliato dalla guida risulta al completo, e le telefonate di ricerca del gentilissimo gestore, che vanta antenati piemontesi, non hanno esito positivo. Prendiamo la Charger e torniamo verso il paese, col V8 che borbotta, implorandomi inutilmente di schiacciare a tavoletta. I binari del treno preannunciano il quartiere dei neri, con le casette dai colori ormai morti da tempo, i bambini bellissimi e gli adulti seduti sui marciapiedi ad aspettare il prossimo assegno di sussidio. Poi c'è la zona dei bianchi, con i prati più curati ma le case ormai perlopiù marcescenti, i pickup d'ordinanza e i cappellini da baseball con il logo Jack Daniel's. O forse i nativi li ho solo immaginati, perchè c'era il caldo terrificante del primo pomeriggio, e per la strada solo un nero con la camicia di flanella a scacchi, chiaramente il matto del paese. Sui marciapiedi roventi solo noi e lui, e dopo che ci siamo incrociati almeno tre volte, mi ha fermato e mi ha cantato due pezzi blues in cambio di un dollaro. Perchè c'è un dettaglio di cui non ho ancora parlato, ed è importante: il blues è nato qui, proprio qui, in mezzo a questo umido nulla. Infatti la Lonely Planet diceva di visitare il museo del Delta Blues, e noi l'abbiamo fatto, religiosamente. Non so se avete presente un museo di provincia, in Mississippi. Due stanze con la chitarra di Muddy Waters, uno spartito sgualcito e le sue mutande, usate. Un pò di tee-shirt commemorative a $ 9,99. Un custode con il berrettino di Ole Miss e i denti marci come un pontile dimenticato in un'ansa dimenticata lungo il big river. Camminiamo ancora un pò e passiamo davanti ad una bottega di barbiere. Dentro un vecchio bianco allampanato con il grembiule, due vetuste poltrone di cuoio rosso e, ovviamente, nessun cliente. Dopo il taglio di capelli usciamo di nuovo nella calura, ma ben presto ci rifugiamo in uno dei pochissimi negozi ancora aperti, dove una ragazzina bionda tenta di vendere, non si sa bene a chi, la sua collezione di abitini ed un pò di chincaglieria assortita. Poi è la volta di un gallerista che ci invita a conoscere i suoi gatti. Nel vedere che nel negozio ci sono gli strumenti pronti per un concerto, gli chiediamo quale juke joint ci suggerisce per la serata. Ci incamminiamo verso il locale, che dista si e no duecento metri come tutto il perimetro della città e, dopo una sosta in un incredibile negozio di chitarre, dove Balboa può strimpellare un pò su una Gibson stupenda, ci troviamo in una strada di magazzini abbandonati. In mezzo ad un parcheggio di cemento quasi totalmente sgretolato e deserto, fatto salvo una rugginosa Limo degli anni 80, si erge una sorta di fienile-saloon con un insegna al neon ed un divano scassato sul portico. Il Ground Zero, dentro, sembra anch'esso uscito da un film: i biliardi, il bancone enorme con le spine per la birra, i tavoli di legno, il palco per i concerti. Manca solo la rete dia pollaio a protezione dei musicisti. Ma il nocciolo della questione, in fondo, è quel famoso divano. E questo è il blues, bellezza. Se è nato qui, un motivo c'è, puoi scommetterci. |
Inviato da: Wetter
il 10/08/2018 alle 11:01
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il 10/08/2018 alle 11:00
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il 10/08/2018 alle 10:59