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La mie scelte, le mie responsabilità

Post n°319 pubblicato il 07 Marzo 2007 da noteinblu
Foto di noteinblu

Nei pochi istanti che dividono l’uscita dall’ascensore alla porta di casa il cellulare inizia a squillare. ID nascosto sentenzia il display abbattendo il mio precoce desiderio di curiosità.
È Alba che mi porta subito notizie riguardo al discorso della sera prima.
Ha parlato con Rossella, la tirocinante, che si è dimostrata disponibilissima a regalarmi un po’ di informazioni più dettagliate riguardo all’eventuale corso di studi da seguire. Segno il suo nome e cognome, incrementato dal numero di cellulare, sullo stesso foglio che porta la scritta di Educatore professionale – sede a Imola – Facoltà di Medicina – www.unibo.it.
Saluto Alba e la ringrazio per il tempestivo aiuto.

È l’ora di pranzo e a tavola porto tutto il mio sorriso dovuto alla novità.
Sarei dovuto andare in palestra e, per darle un tempo sufficiente, partire intorno alle 13. Purtroppo non avevo idea che si sarebbe dovuta affrontare una discussione sul nuovo assestamento della vita familiare.
Come ogni novità che porta scompiglio il bisogno di ritrovare un equilibrio attraverso il confronto è inevitabile, soprattutto quando si mettono a confronto modi di pensare e interpretare la vita troppo distanti.
Mio padre esprimeva tutte le sue perplessità riguardo alla mia intenzione di riprendere gli studi. I soliti discorsi riguardo al tenersi stretto un lavoro, all’importanza di imparare un mestiere, a consacrare quello che già c’è senza osare chiedere di più.
Il suo volermi bene e quel cercare di indirizzarmi sulla giusta strada però, si rifaceva ad un’idea profondamente personale e confinata alla sua giovinezza e ad un lontano intendere il mondo del lavoro.
Portare a casa uno stipendio, tornare il più stanchi possibili da otto ore passate a fare qualcosa, riesce a nobilitare l’uomo o questo, perlomeno, è quello che mi è sempre arrivato. Da parte mia, invece, ho sempre cercato di fare il meno possibile cercando di ricavarne il maggior profitto.
Il tempo libero è sempre stato il mio vero stipendio.
I tre anni passati a distribuire bollette hanno rappresentato la mia più lunga esperienza di collaborazione e, sicuramente, se fosse stata regolamentata in modo diverso, sarebbe potuto essere il lavoro della mia vita.
Per mio padre, invece, vedere un uomo sulla quarantina fare quel tipo di lavoro poteva significare solo essere un fallito.
Dalla mia potevo mettere sul tavolo della discussione quella fiducia che non ho mai tradito in 26 anni e quella responsabilità sulle mie scelte che mi sono sempre assunto.
- “Se mi fossi impuntato al momento delle superiori…”
Io gli ho fatto notare che, se quella scelta non l’avessi potuta prendere io, in completa autonomia, forse adesso sarei una persona diversa, con meno fiducia in me stesso. La più grande vittoria dei miei genitori credo sia stata proprio quella di lasciarmi la vita fra le mani, nonostante gli errori lampanti che stavo commettendo e non per menefreghismo, ma proprio per quella fiducia nel mio essere individuo che avrei poi imparato ad avere anch’io.
Alla fine la scelta di non proseguire gli studi mi ha portato ad entrare immediatamente nel mondo del lavoro, cercando sempre qualcosa che non mi impedisse di sacrificare la musica.
Adesso, arrivato ai 26 anni, mi sono accorto che non può bastare sacrificarsi nel dovere che richiede la sopravvivenza ma bisogna trarre soddisfazione dalla propria occupazione, deve avere un senso oltre alla passione del tempo libero che ci sarà sempre.
In questi anni ho sempre lavorato, a parte quei periodi a vacanza o spesi a cercare lavoro, mettendo da parte qualche risparmio che mi sento in diritto di poter mettere a disposizione del mio futuro.
È una carta su cui credo di vantare ancora il privilegio di potermi giocare, se all’ultimo me la sentirò ancora.
La discussione si è conclusa con un via libera, sicuramente assoggettato al futuro per quanto riguarda il giudizio, della serie “te l’avevo detto”, che non può far altro che caricarmi di altre responsabilità, la vera benzina di ogni nuova sfida da percorrere sulla strada della vita.
Lascio la tavola e la possibilità di andare in palestra.

Recupero il foglietto con il numero scritto sotto il nome Rossella scrivendo subito un sms a questo ulteriore punto di contatto col mondo universitario.
Noto qualcosa che non quadra nella quantità di cifre a cui indirizzare quella richiesta di incontro mirata alla conoscenza, ma Tim mi allevia ogni dubbio con quella scritta da “messaggio inviato”.
Il pomeriggio a lavoro non porta in dono nessuna risposta e intorno alle 19 decido di telefonare direttamente. I miei primi sospetti erano fondati.
Chiamo Alba alla ricerca di quel numero perduto, un 5 qualunque in mezzo agli altri, e posso finalmente sentire la voce della ragazza.
Mi conferma la sua disponibilità ad incontrarci dopo il 15 del mese, visto un esame impegnativo a cui prestare attenzione.
La ringrazio, restando in attesa della sua telefonata di libertà.
Una rotta è stata presa e adesso scopriamo dove porta.

 
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