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Veramente un po' di tutto

Post n°357 pubblicato il 12 Aprile 2007 da noteinblu
Foto di noteinblu

La giornata di ieri prevedeva consegne praticamente ininterrotte.
L’avrei scoperto sempre un po’ alla volta.
La prima mi portava a doppiare la trasferta verso il cantiere di Michelacci, in quel di Casale alto (Comune di Casalfiumanese in provincia di Bologna).
Le sue indicazioni, che da consuetudine evitavano accuratamente il nome di una qualsiasi strada a cui fare riferimento, mi portavano sulla strada del campo sportivo poi, immediatamente, al ricordo di Beatrice, a quella camminata che mi aveva concesso e che le avevo domandato per una necessità improvvisa.
Il mio carico consisteva in 5 bancali di radiatori di ghisa, di quelli più grossi dove anche solo l’idea di spingerli avanti, sfruttando le ruote del transpalet, mi faceva sudare. Con un aiuto esterno l’impresa diventava possibile.
La pendenza del terreno mi aveva fatto pensare, al secondo giro, di girare il camion a favore della discesa ma la paura di poter perdere il controllo della situazione mi aveva fatto preferire le battute a proposito della mia “dormita” mattutina.
Di nuovo a caricare e ancora a perdermi tra le colline di Riolo Terme (RA), con il pensiero tangibile della consegna del primo pomeriggio ad aspettare sul fondo del cassone.

Avevo chiesto e ottenuto il permesso da Daniele, il capo-filiale, di fermarmi negli uffici dell’agenzia interinale che mi ha in cura per sbrigare un po’ di burocrazia rimasta arretrata, riferita al foglio “ore” e a quello “ferie e permessi” da consegnare.
Parcheggio il camion in zona carico/scarico, senza averne la necessità, e mi precipito davanti alla scrivania di L******* senza preoccupazioni. Il foglio con le mie libertà, già firmato e timbrato dall’azienda, le fa strabuzzare gli occhi.
“Mi sembrano un po’ troppe” e ancora “Non credo di potertele dare” per proseguire “Devi ridurle”. Mi lascia un bel po’ di silenzi sui quali avrei dovuto inserirmi ma non riesco a trovare una ragione al suo fare ostile.
Provo ad accennare qualcosa ma niente di sensato e lei prova a incentivarmi “No, parla pure…”. Le faccio presente che sono già impegni presi a cui non potrò mancare e che l’unica offerta che mi posso permettere è trasformare quel giorno di ferie in un mezza giornata.
Diligentemente, con la sua bella biro, cancella quell’8 in triplice copia per sostituirlo con un bel 4. La mia disponibilità finisce li e lei non è ancora sazia.
Alza la cornetta con risolutezza e spinge qualche tasto.
Sento il telefono squillare ad una decina di metri dal nostro faccia a faccia col legno nel mezzo, oltre qualche mobile usato anche per separare le sfere di influenza del grande monolocale.
Sento la risposta della responsabile come nel migliore viva voce che potevo desiderare.
- “Ho qui Andrea Grossi che mi chiede…”
Sfortuna per L******* che le mie intenzioni le avevo già comunicate la volta precedente proprio a quella responsabile in cui lei cercava di trovare un appoggio più autorevole e che non aveva fatto una piega.
- “Ci sono il timbro e la firma?”
Una domanda che non aveva proprio preventivato e che le arrivava dritta in faccia senza possibilità di scansarla. Riaggancia. “Va bene allora”.
Un dettaglio, sicuramente involontariamente, però le stava sfuggendo e fortuna che ero lì pronto io a ricordarglielo.
Me stesso: -“Beh, a questo punto puoi anche rimettermi il giorno di ferie”
Allora lei non può far altro che riprendere la sua splendida penna ed esercitarsi tre volte ancora a disegnare un bell’8 sul mio foglio della libertà perfettamente ristabilito.
La lascio con la promessa di ridurre le richieste, alleviandole la mente dall’immaginare tutto quello che avrei potuto pensare di lei.

Alle 14 sono in partenza per Castelbolognese (RA).
Il carico è imponente e l’aver appena fatto palestra non mi aiuta nel dover affrontare il tragitto obbligato, con l’aggiunta della fossa biologica scoperta in cui non cascare dentro.
C’è tanto polistirolo sottoforma di pannelli che danno solo l’idea della leggerezza lasciando il sudore da far gocciolare sotto il sole.
Con l’idraulico, sul percorso del ritorno, faccio apprezzamenti sulla casa in costruzione chiedendo, per curiosità, quante unità abitative verranno fuori.
- “Solo una” e la risposta mi sorprende quasi all’inizio di un nuovo avanti/indietro.
Me stesso: -”Sai per caso se il proprietario ha una figlia carina?”
Battuta vecchia ma ad aggiungerci un pizzico di sale ci pensa lo sguardo accompagnato dal sottovoce dell’idraulico.
- “E’ lui il proprietario” indicando il tipo col cappellino a 5 metri da me.
Me stesso: - “Ah”.
Mi volto mentre il papà accenna un sorriso.
Della figlia poi mi faccio raccontare ad una distanza di sicurezza adeguata.
Idraulico: -“Nooo, ma è piccola avrà 16-17 anni.”
Me stesso: - “Ah”.
Certe volte sono costretto a non avere più niente da ribattere per continuare la conversazione.

La giornata finisce e con Davide e Beppe approfittiamo della serata per curare gli interessi del gruppo e raggiungere Rimini, sempre con qualche data a cui rivolgere una preghiera.
Per il navigatore impongo la voce del bambino così da riuscire a perdonarlo senza troppi sforzi per qualche inevitabile indicazione da ritiro della patente.
Parcheggiamo vicino al centro e subito l’imprevisto.
Arrivano degli urli dall’interno di una macchina parcheggiata a ridosso della piazza comunale. Lei si sta dando da fare per demolirgli al meglio gli interni lanciandogli addosso non solo le parole. Lui esce dalla macchina in un certo, comprensibile, rifiuto alla lotta ma poi pensa bene di rientrare per recitare una battuta alla “Adesso ti faccio vedere quanto sono nervoso io!”, accendere l’auto e piantare una bella retromarcia di un centinaio di metri, senza lesinare il motore, per poi girarsi di 180° nel bel mezzo di una rotonda.
Un genio, insomma.
Inizia il nostro tour che però porta, ancora una volta, a niente di concreto.
Al Bounty, non entro, memore del gestore con cui c’era stata antipatia al primo sguardo.
Resto sul lungomare ancora fuori stagione e dopo poco mi accorgo, due macchine più in la, di un lui e una lei che si scambiano dolci effusioni sul sedile di guida.
Cerco di non recitare la parte del guardone.
Arriva una coppia e la bionda che accompagna il tipo mi colpisce.
Due stivali neri e una gonna molto leggera che mi fa pensare.
Li vedo salire al secondo piano del locale e rimango a concentrarmi sull’attesa.
Dopo altri minuti interminabili i miei compagni di avventura finalmente escono.
Ancora un numero di telefono e niente di concreto ma in compenso hanno la storia del cameriere da raccontare.
Viene fuori che era entrato, non so per quale motivo, nel bagno delle donne e aveva sorpreso la coppia dalla, di lei, gonna svolazzante, a scopare sopra al lavandino. Che momentone!
Va beh, puntiamo il Rockisland dove un’altra bionda, in compagnia delle amiche, mi fa posare lo sguardo su quelle ammalianti rotondità ricoperte da pantaloni bianchi.
Dobbiamo fare anticamera per parlare col socio giusto ma ci lascia il tempo per desiderare ardentemente di mettere piede su quel palco allestito come si deve.
La strada più interna, parallela al lungomare, ci fa sprecare il tempo su qualche pub, senza riscuotere alcun successo.
Il più movimentato lo troviamo verso la fine.
Un’orda di ragazzi e ragazze tra i 15 e 18 anni, molto probabilmente inglesi, vestiti sull’onda dell’indiano dei Village People, avevo preso d’assalto uno dei tanti locali. Io e Beppe ci decidiamo ad entrare nella mischia.
Non ce n’è uno che si salvi dalla sbronza colossale e scopriamo il proprietario, immortalato nel suo giubbotto di jeans, con il terrore scolpito sul viso, armato di tanti bicchieri di plastica con cui sostituire quei, sicuramente più costosi, boccali di vetro, stretti in mani decisamente inaffidabili.
Un po’ defilata dalla bolgia, mi accorgo di una coppia di bambine (14-15 anni) che si abbraccia in modo un po’ particolare.
Capisco che qualcosa sta per accadere e infatti di quell’appassionato bacio alla francese non me ne perdo neanche una battuta.
Richiamo l’attenzione di Giuseppe che si accorge dell’esperienza saffica e volge lo sguardo dall’altra parte.
Io faccio un po’ più fatica e gli confesso:
-“Beppe, mi sto eccitando”.
La battuta che ci fa ridere per cinque minuti comunque conserva un suo fondo di verità.

Torniamo a casa vicino all’1.30 e, dopo aver lasciato Davide, ci concediamo una sosta da Vassallo dove prendo le mie solite due trecce col prosciutto mentre Beppe punta la pizza.
La filodiffusione sta passando la stupenda “Io vorrei, non vorrei ma se vuoi” e non riesco a trattenermi dal cantare quelle strofe che la durata della sosta mi permette.
Al momento della porta a vetri il signore che era li con noi ad aspettare forse solo la piena dei suoi ricordi risponde al mio apprezzamento con una frase che mi lascia un po’ della sua nostalgia:
“Avevo sedici anni e a mano la ragazza più bella delle Paolini (Istituto di Imola).”

Tempi di baci,
tempi di ricordi.
 

 
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