Blog
Un blog creato da nottelunas il 12/09/2006

amareilcinema

Parole di cinema scritte ( e trascritte ) di notte e tant'altro per chi ha cuore e occhi per vedere.Per chi ama il cinema.Per chi ha ancora un sogno

 
 

Chi cammina si intorbida,

l'acqua corrente non vede le stelle,

chi cammina dimentica,

e chi si ferma sogna.

             F. Garcia Lorca

immagine

 

AREA PERSONALE

 


Il sogno

Se il sonno fosse (c'è chi dice) una
tregua, un puro riposo della mente,
perché, se ti si desta bruscamente,
senti che t'han rubato una fortuna?
Perché è triste levarsi presto? L'ora
ci deruba d'un dono inconcepibile,
intimo al punto da esser traducibile
solo in sopore, che la veglia dora
di sogni, forse pallidi riflessi
interrotti dei tesori dell'ombra,
d'un mondo intemporale, senza nome,
che il giorno deforma nei suoi specchi.
Chi sarai questa notte nell'oscuro
sonno, dall'altra parte del tuo muro?


JORGE LUIS BORGES


 

FACEBOOK

 
 

ARTICOLI PUBBLICATI IN QUESTO BLOG

Intervista a emanuele Crialese  di Marco spagnoli

NUOVOMONDO LEONE D'ARGENTO A VENEZIA 63                                       Emigranti, alle radici del sogno  di Fabio Ferzetti

IL TRANSFERT È COME UN FILM   di Silvia Vegetti Finzi

Bertolucci riceve il premio Musatti.                                                                                                 I n questa intervista l'autore di "Ultimo tango a Parigi" racconta come l'analisi ha influenzato il suo cinema   di Luciana Sica

Mujeres, Omaggio alle donne ("sull'orlo di una crisi di nervi" e che "ritornano") di Almodovar 

 

L'Italia vista dalla Cina  Intervista a Gianni Amelio

Venezia63 - LA MOSTRA DEL CINEMA La stella che non c’è  di G. Amelio                                                                      

La stella che non c'è:  echi della visione

COSI’ GIANNI AMELIO RACCONTA  Il SUO ULTIMO FILM                "La stella che non c'è". Intervista a gianni Amelio                              

“La stella che non c’è”  Viaggio al termine della Cina - Recensione di Oscar Iarussi                                                   

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 9
 

ULTIME VISITE AL BLOG

mariomancino.mfrave52atozicigno.rossoantonella.argentileemiliopaola6princy_7nottelunasalicebianchi.88gia.scarcalecande2010matteo.salviniEpimenide2vincifiorerenatamautonerenata.brovedani
 

immagine

AMORE DOPO AMORE

Tempo verrà
in cui, con esultanza,

saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro,

e dirà: Siedi qui, Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io:
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,

le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti: E' festa: la tua vita è in tavola.


Di  Derek Walcott                                                                                                                          Citato nel Film "La Febbre"

 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
immagine
 
immagine
 

ULTIMI COMMENTI

Film (Cartone) stupendo... l'ho visto 3 volte... e non...
Inviato da: lina.s69
il 03/04/2010 alle 18:39
 
Domani lo guarderò sicuramente...^__^ Buonanotte,...
Inviato da: martha76.mt
il 06/01/2010 alle 02:11
 
Devo vederlo presto.
Inviato da: fotoraccontare
il 28/11/2009 alle 17:00
 
Occorrerebbe registrare i dialoghi.... potrebbero...
Inviato da: nottelunas
il 30/10/2009 alle 08:48
 
Hai ragione! E' una perla, una bellissima...
Inviato da: nottelunas
il 30/10/2009 alle 08:45
 
 

 

« UOMINI SENZA LEGGEcorpo celeste : magnific... »

Le donne del 6° piano : la sorpresa dell'amore!

Post n°143 pubblicato il 19 Novembre 2012 da nottelunas
 

           

La sorpresa dell'amore                                       

di Marianna Cappi

Nonostante sia reduce da un immenso successo di pubblico in Francia, con più di due milioni di presenze in sala, Philippe Le Guay presenta il suo Le donne del 6° piano alla stampa romana con una modestia e una generosità poco comuni. Innanzitutto si scusa di non parlare italiano, mentre racconta di aver dovuto imparare lo spagnolo perché due delle “sue donne”, le interpreti dei personaggi di Dolores e Pilar, non parlavano per nulla il francese (cosa che comunque gli ha regalato il piacere di poter dare istruzioni alle sue attrici senza che il protagonista, Fabrice Luchini, comprendesse nulla, mandandolo regolarmente in ansia). Ma chi sono queste donne del sesto piano? Delle chiassose e vivaci domestiche spagnole che abitano il sottotetto di un immobile borghese al centro di Parigi e cambiano per sempre lavita di un rigido agente di borsa e padre di famiglia: uno straordinario, comme d’habitude, Fabrice Luchini.
Nel cast, anche la bella
Natalia Verbeke, nel ruolo della servetta Maria, e Carmen Maura.

Perché un regista francese decide di lavorare con un cast quasi tutto spagnolo?
La motivazione principale che mi ha spinto a fare il film era esattamente quella di lavorare con delle attrici spagnole. Siamo in Europa, ma giriamo sempre con i nostri attori nazionali. Ho pensato alle attrici dei film di
Almodovar, Carlos Saura, Bunuel, che ho amato tanto, poi mi sono ricordato dell’episodio storico dell’arrivo di un’ondata di governanti spagnole in Francia negli anni Sessanta e ho desiderato ardentemente fare questo film. Il produttore mi ha sostenuto, sono andato a Madrid tre settimane per il casting: alla mattina andavo al Prado e al pomeriggio, quando vedevo le attrici per i provini, mi pareva di rivedere i volti dei dipinti di Goya e Velasquez.
A questo proposito, mi preme specificare che l’immigrazione di cui parlo non è l’immigrazione politica che è seguita alla guerra civile, ma è l’immigrazione essenzialmente economica che negli anni tra il 1955 e il 1965 ha portato molti abitanti delle zoni rurali della Spagna a trasferirsi per lavoro in Francia. C’erano anche molti uomini tra loro, ma io mi sono interessato alle donne. Non invidio i registi che fanno i film di guerra o di azione con attori tutti uomini e troupes di soli uomini: dev’essere una gran noia.

Che impressione avete trattenuto, con lo sceneggiatore Jérome Tonnerre, dai colloqui fatti con le vere ex domestiche spagnole che hanno lavorato in Francia quarant’anni fa?
Nei ricordi delle donne che abbiamo intervistato c’era moltissima gioia. Nonostante lavorassero dalle 6 del mattino alle 11 di sera, erano felici di essere lontane dal franchismo e dall’oppressione maschile di padri e mariti. La sera stavano in compagnia, uscivano, andavano a vedere i match di box. Erano libere. In quell’esperienza c’era un principio di emancipazione.

Il progetto del film ha una genesi autobiografica?
In parte. Nasce sicuramente da un ricordo della mia infanzia. Mia mamma ad un certo punto assunse davvero una domestica spagnola, che si chiamava Lourdes, con la quale io trascorrevo la maggior parte del mio tempo, quando ero molto piccolo. Al punto che pare parlassi un misto di spagnolo e francese. Se c’è uno psicanalista in sala potrà facilmente capire che alla base di questo film c’è l’amore deluso che ho provato per quella donna. E poi c’è mio padre che, come
Luchini nel film, faceva l’agente di borsa e veniva da tre generazioni di agenti di borsa, che io ho interrotto facendo del cinema. Come il personaggio, mio padre aveva un’aria un po’ distante, da sognatore, era un po’ fuori da quel suo mondo. Purtroppo lui non si è mai trasferito al sesto piano con le domestiche. D’altronde è esattamente per questo che si fanno i film: per immaginare altre vite, altre possibilità, per sognare.

Lei si sente più affine al personaggio di Luchini o dei suoi figli?
Spero di non assomigliare troppo a questi ragazzini, a dire la verità. Sono ancora più rigidi di loro padre, più borghesi di lui; rappresentano la legge. Nella realtà accade spesso, se ci fate caso.

Anche gli italiani, specie quelli della regione delle Langhe, in passato sono emigrati in Francia. Come gli spagnoli, avevano origini rurali e una forte fede cattolica.
Si, sono a conoscenza anche di questa ondata migratoria. Nel mio film non a caso ho scelto
Luchini, che è figlio di immigrati italiani, e Sandrine Kiberlain, che è figlia di immigrati polacchi. Quegli anni testimoniano di una grande possibilità di integrazione, mentre ora la Francia è più chiusa, le leggi più violente, lo straniero è visto come una minaccia. Con questo film volevo ricordare il grande valore della diversità.

Nel film la visione proposta è piuttosto utopistica…
Certo: l’utopia che il borghese possa trasferirsi “al sesto piano”. Perché ci fosse del realismo ho voluto un personaggio non troppo consapevole, non volevo un Che Guevara, ma qualcuno che scoprisse per caso qualcosa che non conosceva e finisse per farsi contaminare. Il principio di realtà è portato, invece, dai suoi figli e dal personaggio di
Carmen Maura, che fa di tutto per impedire la relazione tra il padrone e la domestica, convinta che ognuno debba restare al suo posto. È una credenza, questa, che esiste da entrambe le parti.
Allo stesso modo, ho usato l’incoscienza del personaggio principale per smorzare il clichè del padrone che si innamora della servetta: Jean-Louis è attratto da Maria ma non ne è pienamente e immediatamente cosciente. Soprattutto, è attratto dal gruppo, dall’insieme di quelle donne, non solo dalla singola Maria.

Che tipo di pubblico ha decretato il dilagante successo del film in Francia?
All’inizio il pubblico era decisamente maturo. Un giorno, passando davanti ad una sala dove proiettavano il mio film, mi sono interessato all’entrata su come andavano le presenze e allora mi hanno pregato di entrare e di dire due parola alla fine della proiezione. Ho detto: “ma prima dei titoli di coda se ne saranno andati già tutti”. Mi hanno risposto: “non si preoccupi, sono tutti vecchietti, ora che recuperino le borse e gli ombrelli e si alzino in piedi…. avrà tutto il tempo!” Poi, però, il pubblico si è man mano variegato; sono andati a vedere il film dei ragazzi che non conoscevano la Francia degli anni ’60 e non sapevano nemmeno cos’era un “6° piano”. Ma c’è uno spirito di comunità, in questa storia, che è molto francese e rimanda al teatro di Marivaux e Molière e al cinema di
Sacha Guitry e Jean Renoir.

Il suo film è tenero con le domestiche spagnole ma molto duro con le signore francesi…
Non con il personaggio della moglie, però. Lei non è come le sue amiche, viene dalla provincia e in Francia questo faceva moltissima differenza: è una donna più semplice e naturale, non giudica il marito, cerca di capire. E alla fine anche lei evolve a suo modo, cambia.

È lecito pensare che il protagonista stia attraversando la cosiddetta crisi di mezza età?
Io ci vedo piuttosto un uomo un po’ addormentato che ad un certo punto si risveglia. Avrei adorato fare il film con
Mastroianni, se fosse stato ancora vivo.

 


 

"Chi ama non conosce nulla della creatura amata,
se non che essa in maniera non descrivibile
lo mette in attività interiore
" (Musil, 542).

 

 

Cercare un luogo che c’è

(...)  Jean-Louis finalmente scopre il sesto piano e lo spazio che può abitare è molto più ampio di quello abitato fin’ora: "lavorano dalle 6 di mattina e tornano a casa dopo le 11 di sera; vivono in una stanza stretta, senza bagno e senza acqua calda… Sono sopra la nostra testa e noi non ne sappiamo nulla!". Suzanne è sorpresa da questo interesse del marito e la sorpresa, subito si declina in sospetto e paura: "strano che ti interessi tanto di quelle spagnole e non ti interessi affatto di quello che ho fatto oggi io!". Il suggerimento nuovo e creativo, e l’emozione di Jean-Louis non possono essere colte dal campo gravemente organizzato in modo conformistico (tutto al primo piano, dalle camicette di Suzanne, ai due antipatici figli, fino alla ritualità dell’uovo alla Koch, parla di conformismo…). Jean-Louis descrive il cambiamento in atto, restituendo a Suzanne il quadro esatto della loro vita in cui è persa ogni capacità di sorprendersi e dove tutto accade già prima. Il tono del paradosso crea la frazione: "ebbene: alle 8 sei andata in ufficio; alle 9,45 sei andata al parrucchiere e alle 12 ti sei vista con le tue amiche Nicole de Grandcourt Colette de Bergeret per il Bridge, alle 16 sei andata dalla sarta e poi sei tornata a casa: ho sbagliato qualcosa?"

 

Il sesto piano è il momento in cui possiamo vedere qualcosa che fino a quel momento sentivamo potenziale. Quando scopriamo il sesto piano, il campo (che sul piano intrapsichico tende a rappresentare il Sé) puntualmente si dissocia: da una parte l’eccitamento per qualcosa che finalmente si realizza, dall’altro la paura e l’ostilità. Il film dice che non scopriamo il sesto piano per semplice casualità o fortuna, ma è un processo che parte dalla perdita di certezze che non sono più funzionali alla nuova organizzazione: Germaine, la vecchia domestica, che dopo vent’anni va via perché deve accettare che la madre di Jean-Louis è morta; Suzanne vuole trasferire lo studio a casa "perché è sempre stanca" e, finalmente, Jean-Louis non può più tollerare che il suo uovo alla Koch sia puntualmente un uovo sodo. A Maria, la nuova domestica che irrompe con tutta la sua bellezza e subito la sensualità è nell’aria, verrà chiesto di sostenere alcuni elementi che non destabilizzino troppo il nuovo assetto: "sa fare l’uovo alla Koch?... se c’è una cosa su cui non transigo è l’uovo alla Koch!" Ma il prezzo del cambiamento sarà notevole e non negoziabile perché ne hai assolutamente bisogno e non puoi più permetterti di rinviare: "le darò cento franchi, come per Germaine!"; "No, risponde Maria, trecento franchi!". Anche la risposta di Jean-Louis suggerisce che puntualmente ogni processo evolutivo si declina attraverso due forme di dissociazione: una creativa (Bromberg, 2006; Riefolo, 2011): "va bene sia per trecento!"; l’altra difensiva: "ma sia un segreto fra me e lei: la signora non deve sapere!".

La dissociazione creativa è ciò che è potenziale non appena si affaccia alla possibilità di essere conosciuto: il sesto piano, dove i padroni non vanno, lo scopri (se una nuova funzione apre la strada) quando eventi della vita ti ci portano senza che l’abbia chiesto: "posso stare qui con voi?" ; "ma questa e casa sua! è lei il padrone!"; "Ah… sì è vero, sono io il padrone!". Anzi: avresti sempre evitato di andarci, e infatti, la meraviglia dei tuoi figli e delle amiche di tua moglie sottolineano quella necessità che viene da un grave transito nella sofferenza, ma la vecchia cameriera ti lascia perché non vuole che si riattivi la stanza dove è morta tua madre da 6 mesi e tu devi necessariamente mantenere la cura di te: "scusa Suzanne, non ho più camice! Come vado in ufficio?"; "Metti un maglione!". Tutti ti suggeriscono di non cambiare nulla, di risolvere la sofferenza semplicemente sospendendo quella dolorosa pulsione al cambiamento. La sequenza del film è precisa: Jean-Louis pone una istanza di cambiamento; le risposte necessarie sono due, da un lato una soluzione difensiva ("metti un maglione") che tenta di anestetizzare la sofferenza attraverso la coazione a ripetere, dall’altro la soluzione creativa della scoperta del sesto piano. Si tratta di uno spazio potenziale (Winnicott) a cui ora abbiamo accesso. Infatti le creazioni dei processi analitici non sono mai esattamente "magiche", ma, quando va bene, riguardano sempre un allargamento dello spazio che possiamo abitare. Quella che chiamiamo dissociazione creativa ha bisogno dello spazio potenziale aperto dalla presenza dell’altro: la dissociazione creativa è lo stato di scissione che viene a saturarsi attraverso la presenza originale dell’altro.

 

Al sesto piano ti introduce Maria. A questo punto il film parla un linguaggio ambiguo: si potrebbe pensare che Maria sia la sensualità vitale che mancava nella opaca vita dei piani residenziali, ma a me piace pensare che Maria sia una funzione che ti conduce lì in quella situazione di vita e di sensualità che fa girare un gruppo di amiche per negozi di abiti da sposa in un caldo pomeriggio di agosto (ma ad agosto — come per l’analisi - non sono chiusi i negozi? Evidentemente negli scenari psicologici i negozi sono sempre aperti se ne hai bisogno…). Maria non è l’amore, ma, il tramite che permette di entrare al 6 piano che è li da sempre, potenziale, e ci puoi arrivare solo se qualcuno te lo permette. Per questo non mi ha fatto piacere trovare Jean-Louis e Maria nel letto: quello è il film che vuole la gente e il regista se lo concede, ma, nel mio film non saprei collocarlo: è la paura di Raffaella che teme di sporcare il lettino dell’analisi portando la sensualità che ha sempre evitato tenendo sempre pulita e piatta la sua vita Ma io so che c’è l’altro sogno in cui presenta agli altri i suoi incontri con me in cui non c’è più la violenza sottile di uno zio, ma gli sguardi e le sensazioni che scambi mentre parli di psicoanalisi. Maria è il dispositivo vivo dell’amore che ti fa crescere: quando ci vai a letto non è più un dispositivo, ma un fine finalmente raggiunto. Per fortuna, anche nel film è solo una breve sosta perché subito Maria riparte e Jean-Louis deve rimettersi alla ricerca: "perché prendendo conoscenza si toglie qualcosa all’oggetto…Perciò non esiste neppure la verità per gli amanti; sarebbe un vicolo cieco, una fine, la morte del pensiero…" (Musil, 543). Ho pensato che Maria non è l’amore che ciascuno vuole trovare nei film e nelle storie, ma è l’amore di cui parlano gli psicoanalisti che deve descrivere non un oggetto concreto, ma una tensione che ti spinge a cercare uno "spazio potenziale" che non è mai esistito prima e che puoi abitare: quello spazio è necessario non perché devi essere più comodo, ma perché devi sopravvivere e quello spazio ha bisogno della presenza di un altro perché ha una dimensione precisa estendendosi "fra il bambino che gioca da solo e la ‘madre’ la cui presenza è necessaria" (Winnicott, 1967, 604).

 

Dopo tre anni Jean-Louis va a cercare ed incontra Maria, che intanto ha avuto la sua vita ed un’altra figlia. Per fortuna il film si sospende nell’incontro degli sguardi dei due. A me piace immaginare che Maria continui ad avere la propria vita e Jean-Louis possa andar via, perché ora conosce dov’è Maria e la propria vita potrà organizzarsi e continuare sapendo che lei c’è e che non deve vivere come se lei non esistesse: "Sign. Jean-Louis, io so dov’è Maria… è ad un paesino a 20 Km!… è che mia moglie non capisce l’amore!…"

      Giuseppe riefolo  pol.it

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 

Non dire che hai abbandonato il sogno.

Non c'è altro per noi a cui aggrapparci, se non questo.

Non dire che hai abbandonato il sogno.

Non c'è per noi altra strada se non questa.

 Asakusa Kid, Takeshi Kitano

 

CONTATTA L'AUTORE

Nickname: nottelunas
Se copi, violi le regole della Community Sesso: F
Età: 119
Prov: RM
 

ARTICOLI PUBBLICATI IN QUESTO BLOG

RICORDANDO LO “SCANDALO” DELLA  DOLCE VITA   di Federico Fellini

Speciale Taddei : Nazareno Taddei, il padre della Messa in tv.  di Andrea Fagioli

Il  Festival del cinema di Venezia ricorda NAZARENO TADDEI, critico cinematografico e studioso dei Mass Media- Intervista con mons. Dario Viganò -

Taddei, critico stimato  di Nicola Gala 

La 63a  mostra del cinema di Venezia ricorda  Nazareno Taddei, gesuita "avanti".

Volver, ovvero la bellezza del ritorno di M. Cristina Lucchetta

ALMODOVAR HA DETTO DEL SUO FILM  intervista a P. Almodovar

IL FIUME  intervista a P. Almodovar

BOMBON EL PERRO, il valore dell"amico" e di una "compagnia" imprevista che salva la vita       di M. Cristina Lucchetta

 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 
 

TAG

 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

IMMAGINI DI CINEMA

immagineimmagine  immagine         immagineimmagine  immagine  immagine
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963