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AREA PERSONALE
Il sogno
Se il sonno fosse (c'è chi dice) una
tregua, un puro riposo della mente,
perché, se ti si desta bruscamente,
senti che t'han rubato una fortuna?
Perché è triste levarsi presto? L'ora
ci deruba d'un dono inconcepibile,
intimo al punto da esser traducibile
solo in sopore, che la veglia dora
di sogni, forse pallidi riflessi
interrotti dei tesori dell'ombra,
d'un mondo intemporale, senza nome,
che il giorno deforma nei suoi specchi.
Chi sarai questa notte nell'oscuro
sonno, dall'altra parte del tuo muro?
JORGE LUIS BORGES
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Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro,
e dirà: Siedi qui, Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io:
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti: E' festa: la tua vita è in tavola.
Di Derek Walcott Citato nel Film "La Febbre"
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La sorpresa dell'amore di Marianna Cappi Nonostante sia reduce da un immenso successo di pubblico in Francia, con più di due milioni di presenze in sala, Philippe Le Guay presenta il suo Le donne del 6° piano alla stampa romana con una modestia e una generosità poco comuni. Innanzitutto si scusa di non parlare italiano, mentre racconta di aver dovuto imparare lo spagnolo perché due delle “sue donne”, le interpreti dei personaggi di Dolores e Pilar, non parlavano per nulla il francese (cosa che comunque gli ha regalato il piacere di poter dare istruzioni alle sue attrici senza che il protagonista, Fabrice Luchini, comprendesse nulla, mandandolo regolarmente in ansia). Ma chi sono queste donne del sesto piano? Delle chiassose e vivaci domestiche spagnole che abitano il sottotetto di un immobile borghese al centro di Parigi e cambiano per sempre lavita di un rigido agente di borsa e padre di famiglia: uno straordinario, comme d’habitude, Fabrice Luchini.
"Chi ama non conosce nulla della creatura amata,
Cercare un luogo che c’è (...) Jean-Louis finalmente scopre il sesto piano e lo spazio che può abitare è molto più ampio di quello abitato fin’ora: "lavorano dalle 6 di mattina e tornano a casa dopo le 11 di sera; vivono in una stanza stretta, senza bagno e senza acqua calda… Sono sopra la nostra testa e noi non ne sappiamo nulla!". Suzanne è sorpresa da questo interesse del marito e la sorpresa, subito si declina in sospetto e paura: "strano che ti interessi tanto di quelle spagnole e non ti interessi affatto di quello che ho fatto oggi io!". Il suggerimento nuovo e creativo, e l’emozione di Jean-Louis non possono essere colte dal campo gravemente organizzato in modo conformistico (tutto al primo piano, dalle camicette di Suzanne, ai due antipatici figli, fino alla ritualità dell’uovo alla Koch, parla di conformismo…). Jean-Louis descrive il cambiamento in atto, restituendo a Suzanne il quadro esatto della loro vita in cui è persa ogni capacità di sorprendersi e dove tutto accade già prima. Il tono del paradosso crea la frazione: "ebbene: alle 8 sei andata in ufficio; alle 9,45 sei andata al parrucchiere e alle 12 ti sei vista con le tue amiche Nicole de Grandcourt Colette de Bergeret per il Bridge, alle 16 sei andata dalla sarta e poi sei tornata a casa: ho sbagliato qualcosa?"
Il sesto piano è il momento in cui possiamo vedere qualcosa che fino a quel momento sentivamo potenziale. Quando scopriamo il sesto piano, il campo (che sul piano intrapsichico tende a rappresentare il Sé) puntualmente si dissocia: da una parte l’eccitamento per qualcosa che finalmente si realizza, dall’altro la paura e l’ostilità. Il film dice che non scopriamo il sesto piano per semplice casualità o fortuna, ma è un processo che parte dalla perdita di certezze che non sono più funzionali alla nuova organizzazione: Germaine, la vecchia domestica, che dopo vent’anni va via perché deve accettare che la madre di Jean-Louis è morta; Suzanne vuole trasferire lo studio a casa "perché è sempre stanca" e, finalmente, Jean-Louis non può più tollerare che il suo uovo alla Koch sia puntualmente un uovo sodo. A Maria, la nuova domestica che irrompe con tutta la sua bellezza e subito la sensualità è nell’aria, verrà chiesto di sostenere alcuni elementi che non destabilizzino troppo il nuovo assetto: "sa fare l’uovo alla Koch?... se c’è una cosa su cui non transigo è l’uovo alla Koch!" Ma il prezzo del cambiamento sarà notevole e non negoziabile perché ne hai assolutamente bisogno e non puoi più permetterti di rinviare: "le darò cento franchi, come per Germaine!"; "No, risponde Maria, trecento franchi!". Anche la risposta di Jean-Louis suggerisce che puntualmente ogni processo evolutivo si declina attraverso due forme di dissociazione: una creativa (Bromberg, 2006; Riefolo, 2011): "va bene sia per trecento!"; l’altra difensiva: "ma sia un segreto fra me e lei: la signora non deve sapere!". La dissociazione creativa è ciò che è potenziale non appena si affaccia alla possibilità di essere conosciuto: il sesto piano, dove i padroni non vanno, lo scopri (se una nuova funzione apre la strada) quando eventi della vita ti ci portano senza che l’abbia chiesto: "posso stare qui con voi?" ; "ma questa e casa sua! è lei il padrone!"; "Ah… sì è vero, sono io il padrone!". Anzi: avresti sempre evitato di andarci, e infatti, la meraviglia dei tuoi figli e delle amiche di tua moglie sottolineano quella necessità che viene da un grave transito nella sofferenza, ma la vecchia cameriera ti lascia perché non vuole che si riattivi la stanza dove è morta tua madre da 6 mesi e tu devi necessariamente mantenere la cura di te: "scusa Suzanne, non ho più camice! Come vado in ufficio?"; "Metti un maglione!". Tutti ti suggeriscono di non cambiare nulla, di risolvere la sofferenza semplicemente sospendendo quella dolorosa pulsione al cambiamento. La sequenza del film è precisa: Jean-Louis pone una istanza di cambiamento; le risposte necessarie sono due, da un lato una soluzione difensiva ("metti un maglione") che tenta di anestetizzare la sofferenza attraverso la coazione a ripetere, dall’altro la soluzione creativa della scoperta del sesto piano. Si tratta di uno spazio potenziale (Winnicott) a cui ora abbiamo accesso. Infatti le creazioni dei processi analitici non sono mai esattamente "magiche", ma, quando va bene, riguardano sempre un allargamento dello spazio che possiamo abitare. Quella che chiamiamo dissociazione creativa ha bisogno dello spazio potenziale aperto dalla presenza dell’altro: la dissociazione creativa è lo stato di scissione che viene a saturarsi attraverso la presenza originale dell’altro.
Al sesto piano ti introduce Maria. A questo punto il film parla un linguaggio ambiguo: si potrebbe pensare che Maria sia la sensualità vitale che mancava nella opaca vita dei piani residenziali, ma a me piace pensare che Maria sia una funzione che ti conduce lì in quella situazione di vita e di sensualità che fa girare un gruppo di amiche per negozi di abiti da sposa in un caldo pomeriggio di agosto (ma ad agosto — come per l’analisi - non sono chiusi i negozi? Evidentemente negli scenari psicologici i negozi sono sempre aperti se ne hai bisogno…). Maria non è l’amore, ma, il tramite che permette di entrare al 6 piano che è li da sempre, potenziale, e ci puoi arrivare solo se qualcuno te lo permette. Per questo non mi ha fatto piacere trovare Jean-Louis e Maria nel letto: quello è il film che vuole la gente e il regista se lo concede, ma, nel mio film non saprei collocarlo: è la paura di Raffaella che teme di sporcare il lettino dell’analisi portando la sensualità che ha sempre evitato tenendo sempre pulita e piatta la sua vita Ma io so che c’è l’altro sogno in cui presenta agli altri i suoi incontri con me in cui non c’è più la violenza sottile di uno zio, ma gli sguardi e le sensazioni che scambi mentre parli di psicoanalisi. Maria è il dispositivo vivo dell’amore che ti fa crescere: quando ci vai a letto non è più un dispositivo, ma un fine finalmente raggiunto. Per fortuna, anche nel film è solo una breve sosta perché subito Maria riparte e Jean-Louis deve rimettersi alla ricerca: "perché prendendo conoscenza si toglie qualcosa all’oggetto…Perciò non esiste neppure la verità per gli amanti; sarebbe un vicolo cieco, una fine, la morte del pensiero…" (Musil, 543). Ho pensato che Maria non è l’amore che ciascuno vuole trovare nei film e nelle storie, ma è l’amore di cui parlano gli psicoanalisti che deve descrivere non un oggetto concreto, ma una tensione che ti spinge a cercare uno "spazio potenziale" che non è mai esistito prima e che puoi abitare: quello spazio è necessario non perché devi essere più comodo, ma perché devi sopravvivere e quello spazio ha bisogno della presenza di un altro perché ha una dimensione precisa estendendosi "fra il bambino che gioca da solo e la ‘madre’ la cui presenza è necessaria" (Winnicott, 1967, 604).
Dopo tre anni Jean-Louis va a cercare ed incontra Maria, che intanto ha avuto la sua vita ed un’altra figlia. Per fortuna il film si sospende nell’incontro degli sguardi dei due. A me piace immaginare che Maria continui ad avere la propria vita e Jean-Louis possa andar via, perché ora conosce dov’è Maria e la propria vita potrà organizzarsi e continuare sapendo che lei c’è e che non deve vivere come se lei non esistesse: "Sign. Jean-Louis, io so dov’è Maria… è ad un paesino a 20 Km!… è che mia moglie non capisce l’amore!…" Giuseppe riefolo pol.it
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Non dire che hai abbandonato il sogno.
Non c'è altro per noi a cui aggrapparci, se non questo.
Non dire che hai abbandonato il sogno.
Non c'è per noi altra strada se non questa.
Asakusa Kid, Takeshi Kitano
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