O me! O vita!
Per queste domande ricorrenti,
Nelle sterminate folle di infedeli, nelle città gremite di stolti,
In me stesso, sempre a biasimare me stesso
(e chi più stolto di me, chi più infedele?)
Negli occhi che invano bramano la luce,
nel significato delle cose,
nella lotta che sempre si rinnova,
Negli scadenti risultati di ognuno,
nelle folle sordide e stanche che vedo attorno a me,
Nei vuoti e inutili anni dell'oblìo, con l'oblìo che a me si avvolge,
La domanda, o me! Così triste e ricorrente -
Cosa vi è di buono in tutto questo, o me, o vita?
Risposta:
Che tu sei qui - che la vita esiste e l'identità, Che il potente gioco continua.
E tu puoi contribuire con un verso.
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Post n°33 pubblicato il 07 Ottobre 2008 da ParticuLaura
Carissima Laura, è il tuo blog che ti scrive. Qui tutto bene, ogni tanto qualcuno mi fa visita, alcuni lasciano un saluto. Ma te dove sei finita? E' una settimana che non ti fai viva! Inizio a sentirmi molto molto solo; non ti sarai mica dimenticata di me? Carissimo blog, come vedi non mi sono dimenticata di te. Mi dispiace di non averti dedicato il tempo dovuto, ma in questi giorni non sto molto bene, sia moralmente sia fisicamente. Sento di avere molto da scrivere, forse troppo. Ma ancora non è il momento. Saluti a tutti. |
che forse potrei quasi scrivere ad occhi chiusi su questa tastiera, con soltanto due dita che vi scorrono sopra. Conosco a memoria la posizione dei tasti, l’ordine dei caratteri, la forma delle lettere. Tutto. Sono sentimentalmente legata a questa tastiera, forse anche più della mia Parker azzurra. Mi sembra di rivivere momenti delle mia esistenza, di fronte a questa scrivania. Mi volto, e vedo l’Estate che si allontana all’Orizzonte, mentre io la seguo con lo sguardo dal finestrino della vita. Tante stagioni sono trascorse, ormai. Penso. E mi perdo nell’infinitezza dell’Universo, con l’odore di pioggia intriso nei capelli. Osservo. Una mia fotografia stropicciata. Fisso negli occhi quella che ero, rivolgo lo sguardo a quella che sono. "Che cosa ti aspettavi dalla vita, Laura?" Parlo con la mia immagine. "A quell’età, non mi aspettavo niente dalla vita; mi importava che i miei amici e i miei genitori mi volessero bene." Mi risponde, con occhi ridenti. Eh sì. E’ veramente vecchia, quella fotografia. Bevo la mia camomilla. Come un’anziana signora, la sera prima di dormire. Peccato che siano le cinque; e che io non sia un’anziana signora. "Io odiavo la camomilla." Mi parla ancora, quell’immagine. "Infatti, a me non piace. La bevo solo perché fa bene e mi aiuta a rilassarmi." Le rispondo. "E perché la bevi anche se non ti piace?" Un brivido mi percorre la schiena. Freddo? No. Paura. Rimpianto. Dolorosa presa di coscienza. Non bevo la camomilla perché mi piace, ma perché qualcuno ha detto che fa bene. In quella camomilla mi sembra per un attimo di poter distinguere il riflesso della mia esistenza, che galleggia sulla superficie del liquido. ho passato una vita a bere camomilla, ed a fare tutta una serie di cose che non volevo fare, ma che semplicemente credevo fosse giusto fare. Quante volte mi sono detta: "non voglio, ma via, facciamolo lo stesso."? Quante volte l’ho detto, ma soprattutto quante volte ho fatto qualcosa senza volerlo veramente? Troppe. Mi sembra di aver gettato via metà della mia vita, in azioni che non mi hanno dato niente. Impugno la tazza, e la rovescio nel piccolo vaso sul tavolino accanto a me. Adesso basta. Il silenzio è insopportabile. Esco in terrazza, inspiro il dolce odore di pioggia; e con languida consapevolezza rinasco. |
Immobile. Penso. Inquieta. Osservo le mie ferite. Accarezzo cicatrici placida Sfioro pagine ingiallite "Dal momento in cui si nasce, Triste. Nevvero? Ma avanza la cruda realtà E io sorrido. Nel rimpianto del trascorso. Io. Trovo l’immeritato equilibrio. Assaporo il dolce aroma della vita. Socchiudo gli occhi. E penso. . . |
Post n°30 pubblicato il 21 Settembre 2008 da ParticuLaura
mi sono svegliata presto. Dopo una settimana in cui mi alzo alle 6.30, avrei sperato di dormire qualcosa in più, oggi. Ma va bene. Mi viene in mente una frase di Eugenio Scalfari: E riesco a rimanere affascinata anche qui, di fronte ad uno schermo, dai vostri blog, dai vostri profili; c’è chi non scrive niente, chi scrive tanto, chi allega qualche foto significativa… e io sorrido. Affettuosamente sorrido. Vorrei abbracciarvi tutti, guardarvi negli occhi. E magari l’avrò anche fatto, perché chissà, magari la mia migliore amica, il mio ex, la mia vicina di casa, forse si nascondono qui, dietro nick che sono tutto un mistero. Che importano le risposte, quando abbiamo tra le mani splendide e vertiginose domande? Scaglie di vita Disperde nell’universo Scaglie d’esistenza E nel fragore |
Post n°29 pubblicato il 16 Settembre 2008 da ParticuLaura
Vi osservo. Silenziosa. Aspetto che le nuvole scaraventino gocce sul suolo, una dopo l’altra. Vi osservo. Incontro i vostri sguardi. E tutto ciò che vedo è vita repressa. Voi vivete un’altra vita. Omologata. Individualista. Una vita di parole vuote, di forma senza sostanza. Nei vostri sguardi vedo domande represse, talento represso, virtù repressa. Voi, che coprite le vostre gambe con lo stesso modello. Di jeans. Guai a chi è diverso. Chi è diverso, non ha diritto di essere. E poi, le vostre scarpe. Scelte accuratamente, con i duecento euro della mamma in mano. Voi, ragazzi della panchina. Che di fronte ad un libro storcete la bocca. Che trascorrete le giornate tra impennate di motorino Gare di velocità Baci e sesso. Voi, ragazzi della panchina. Che vomitate parole senza domandarvi mai Cosa Come Perché. Che andate a dormire con la testa stordita dall’alcol I sensi inibiti dal sesso Il vuoto offuscato dal chiasso delle vostre risate. Voi, ragazzi della panchina. Che camminate con fragorose note nel cervello Che ignorate l’azzurro del cielo Che calpestate i dolci suoni della natura. Voi. Che date tutto per scontato. Persino la vostra esistenza. Spegnete per un attimo i vostri apparecchi tecnologici, abbandonate il pane di gomma con cui pretendete di nutrire la vostra anima. Nelle vostre notti insonni, vi penserò, accarezzando il cuscino. Nelle vostre notti insonni, voi che per dormire bombardate le orecchie con oblio musicato, fermatevi un attimo. Ritornate alla vostra arrugginita panchina. Distendetevi sul metallo freddo, iniziate ad osservare la luna. Chiudete gli occhi. Assaporate quegli istanti di silenzio. Inspirate il dolce aroma della notte. La vostra anima vi sussurrerà. Vi prenderà per mano, per non lasciarvi più. Non troverete risposte. Ma domande. Le domande con cui siete nati, e con cui morirete. Le riscoprirete. Le vivrete. E troverete un senso. E poi, nei pomeriggi d’Estate, andate pure a ridere sotto i vostri occhiali scuri, ad incidere i vostri nomi con il pennarello su quella panchina. Consumate pure la vita, come una scodella di noccioline di fronte a un mojito. Ma ogni tanto, fermatevi a guardare il cielo. Perché un giorno dovrete dire addio a voi stessi. Ed allora farete di tutto per vedere il cielo. Almeno per l’ultima volta. |
Post n°27 pubblicato il 13 Settembre 2008 da ParticuLaura
Ah. Finalmente. Finalmente quell’aria fresca, che entra dalle finestre smuovendo le tende ed accarezza la pelle. Finalmente il caldo soffocante lascia spazio al sottile vento di pioggia. E’ dura tornare alle attività quotidiane, ma a me in fondo non dispiace poi così tanto. Buon rientro a tutti. Mi lasciate un salutino? |
"Ti sei domandata se Dio esista veramente o no, giusto?" Mi fermai per guardarlo negli occhi. "No, fammi parlare- continuò, con la paura che lo volessi interrompere- . Perché dovrebbe esistere…?" Non sapeva da dove cominciare. "Vedi, Laura. Io continuo a frequentare questo gruppo, ci conosciamo dai tempi della prima comunione. Vi voglio bene…ma ho deciso che da dopodomani, quando torneremo a Firenze, non parteciperò più ai nostri incontri. Anch’io mi sono posto la domanda che tu hai fatto ieri sera, davanti a tutti. Me la sto ponendo da troppo tempo, Laura… non so che fare... non sono più sicuro di quello in cui credo" Era teso, ma allo stesso tempo sembrava affranto, come se avesse perso ogni speranza. Era deluso e malinconico. "Continua" lo pregai. "Non so, non so come spiegarlo. Ho perso la fede, non credo più…" Aveva persino difficoltà a parlare, cosa alquanto strana per Francesco, abituato ad esprimersi in pubblico in qualità di rappresentante d’istituto. "non credo più...in Dio." "E cosa pensi che sia stato a farti…cambiare idea?" Chiesi io, vedendolo perso. Talvolta, sembrava quasi che stesse per affogare da un momento all’altro, in un oceano di dubbi e domande che non riusciva ad esternare. Per questa caratteristica, io e lui eravamo molto simili. "Beh, non so… ho letto molto negli ultimi tempi. Tanti libri di filosofi, studiosi, che forse mi hanno cambiato dentro." Finalmente cominciavo a capire. Comprendevo la sua sofferenza, poiché mi sembrava di provare il suo stesso stato d’animo. "Fra, anch’io è da molto che elaboro riflessioni riguardo a questo argomento… io credo che, insomma, tutto quello che ci è stato insegnato, sulla religione, intendo…ecco, non riesco più a reputarlo come verità. Questi valori, che fin dall’infanzia ci sono stati…inculcati, giorno dopo giorno; queste preghiere, nozioni, mi appaiono come vuote. Prive di sostanza. Mi sembrano soltanto parole, cose che eravamo costretti ad imparare, a ripetere, senza sapere." Il vento era cessato, e nel silenzio si riuscivano quasi a percepire gli aritmici battiti del suo cuore, accompagnati dal leggero sussurrare del mare. "E’ come se qualcuno ci avesse, in qualche modo, imposto una visione del mondo, escludendo tutte le altre. E’ per questo che sono sorte quelle mie domande. Forse sono frutto di impulsività, forse un giorno scoprirò che è diverso." Mi strinse la mano così forte da farmi sussultare. Durante il mio discorso, annuiva timidamente con il capo, come se in quel momento stesse analizzando ogni mia parola con attenzione. "Forse, un giorno –continuai- mi riavvicinerò alla religione come prima. Ma adesso, ho scoperto che vi sono talmente tanti punti di vista, che non voglio…non voglio fossilizzarmi solo sulla morale cattolica, e giudicare tutto secondo un’unica visione. Non so, probabilmente è sbagliato, tutto questo. Ma io ho dei seri dubbi sull’esistenza di Dio. Anzi. Sono come te. Non sono convinta che esista davvero." |
Post n°25 pubblicato il 08 Settembre 2008 da ParticuLaura
"Ma, Laura…che stai dicendo?" Le onde s’infrangevano contro il bagnasciuga, e si trascinavano lo stridio che il sale provoca accarezzando i sassi della riva. Sembrava che tutti fossero avvolti da un particolare stupore, come se nessuno fosse preparato a quelle domande. "Niente…- dissi io- Facciamo come se non fosse successo niente." Ma invece tutti sapevamo che qualcosa era cambiato, quella sera. There is a house in New Orleans Vincenzo impugnò vigorosamente la chitarra e se la pose sulle gambe; iniziò a suonare qualche accordo, accompagnando la melodia con il suo canto appassionato. Muoveva le dita sulle corde. Mi fissava. Vedevo la sua bocca aprirsi e chiudersi, potevo quasi percepire le sue corde vocali che si sforzavano. Ma non riuscivo ad udire alcun suono. Anche Luciana cominciò a socchiudere le labbra; pronunciava alcune parole, stringendosi nel suo pullover verde chiaro. Aveva le mani serrate tra le ginocchia e lo sguardo basso; fissava il calore del fuoco, come se questo le donasse la forza di resistere ancora. Caterina invece non fu in grado di sopportare il disagio della conversazione. Era seduta proprio di fronte a me, con le gambe incrociate; con un abile movimento si alzò in piedi, senza nemmeno poggiare le mani a terra. Si voltò, proseguì verso il mare, per scomparire nel buio. My mother was a tailor Scaglie di luna brillavano sulla superficie dell’acqua; il mare era calmo, quella sera. Ma non i nostri animi. Now the only thing a gambler needs Quella notte sembrò non finire mai. Mi ritrovai distesa nella tenda, insieme al respiro di Cristina e Luciana che fingevano di dormire. Le parole di quella canzone fecero da colonna sonora ad ogni mio singolo pensiero all’interno della mente. Per tutta la notte. Non riuscii mai a prender sonno. Più che altro pensavo a Francesco, alla sua espressione turbata, ai suoi occhi sfuggenti. Quella sera mi aveva davvero spaventata, con il suo atteggiamento. Decisi di uscire. Aprii silenziosamente la cerniera della tenda, fingendo di non svegliare chi fingeva di dormire. Era tutta una farsa. In quel momento, l’intera vita mi sembrò una farsa. Balenarono dubbi persino sulla verità di me stessa. Io, poi, esistevo davvero? Misi la testa fuori dal piccolo spiraglio che avevo aperto nella tenda. Un brezza fresca fece raggelare i muscoli del viso. Posi i piedi sulla sabbia. Era fredda. Come cenere. Mi venne in mente quando, da piccola, facevo finta che i granelli fossero in realtà polvere di stelle. Immaginavo che le stelle cadenti, una volta arrivate sulla terra, si riducessero a granelli sottili e si depositassero sul mare. Ad un certo punto mi fermai. C’era qualcuno. Qualcuno seduto sulla riva. Mi avvicinai. Era Francesco. Ero indecisa se chiamarlo, oppure sedermici accanto, come un’ombra silenziosa. Alla fine optai per la seconda scelta. Faceva freddo, ero in camicia da notte. Posai le ginocchia sulla sabbia dura del bagnasciuga. "Neanche tu riesci a dormire?" Sussurrai. Si voltò. Mi guardò negli occhi, regalandomi uno dei più belli sguardi che abbia mai incontrato in tutta la mia vita. "Evidentemente no" Sorrise. Io continuai. Ero curiosa. "Senti, Fra… mi dispiace, mi dispiace davvero, se quello che ho detto ieri sera…" Mi interruppe. "Non preoccuparti. Sono io che devo scusarmi, perché me ne sono andato via in quel modo." Gli posi le dita sul braccio. "Francesco. So che c’è qualcosa che non va. Non voglio farmi i fatti tuoi, ma, capisci…" mi prese la mano. Portò un dito alle mie labbra, come per pregarmi: "Zitta, non dire altro" Mi aveva già troncato il discorso due volte. Normalmente odio quando qualcuno non mi permette di parlare, ma quella volta non avvertii alcun fastidio. "Vieni" Mi disse in un orecchio. Sentii le sue labbra sulla mia pelle. Ci incamminammo lungo la riva, verso gli scogli; sapevo che stava per dirmi qualcosa di importante. Gli presi la mano, gliela strinsi forte, per infondergli coraggio. Riuscivo a capire come stesse soffrendo. Continua... |
Voltati indietro. Basta anche solo un attimo. Che cosa vedi? Soltanto fumo. Denso fumo nero. La vita brucia. Quando si vive, brucia. E tutto quello che lascia sul suo percorso è fumo e cenere. Possiamo raccoglierla, questa cenere. Possiamo ritornare indietro ed inspirare l’odore di bruciato. Ma nessuno può far nascere altro fuoco dalla cenere. Corri il percorso della vita. E ciò che calpesti prende fuoco. Le fiamme si alzano sempre di più, finché non resta altro che fumo e cenere. Questi i miei ricordi. Questi i ricordi. Era una notte di Settembre, quando il caldo dell’Estate viene mitigato da quella dolce brezza che sembra non morire mai. La brezza, no. Ma qualcuno quella notte ci lasciò. Ci lasciò in punta di piedi, senza emettere alcun gemito di dolore. Sotto un cielo di stelle tremanti, sotto la languida luce di una luna piena. Dio ci lasciò per sempre. Eravamo sulla spiaggia, con il rumore delle onde che trapana il cervello assonnato; seduti sulla sabbia ancora calda, attorno a qualche ceppo di legno infuocato, due coperte, un libro ed il fumo di sigaretta. Quella notte parlammo a lungo, guardandoci negli occhi illuminati dall’arancio del fuoco. Le parole uscivano dalla bocca, ma subito si dissolvevano nel vento, nel calore delle fiamme, nell’acqua dell’oceano. Quella notte parlammo di Lui, di come era nato, di cosa significava per noi. "Per me Dio è la vita", "per me è il creatore", "per me la luce che illumina il nostro cammino verso l’eternità". Ridevamo. Talvolta era come se il tempo si fermasse, dopo una domanda o una riflessione di qualcuno, un velo di silenzio si stendeva su di noi; ognuno faceva emergere i propri pensieri, andava a scavare negli anfratti della mente per scovare ciò che non spolverava da una vita. Parlammo dei Vangeli, della Bibbia, mentre Vincenzo di tanto in tanto sfoggiava un’ammirevole repertorio di citazioni sacre. Vincenzo era bruno, i capelli scuri gli ricadevano pesanti sulla fronte; aveva i tipici brufoli intorno alla bocca, di quando si hanno le prime esperienze con il rasoio e la schiuma da barba, senza saper ancora maneggiare quella lama sottile. Però leggeva. Dalla mattina alla sera, si riempiva la mente di parole, cercava di memorizzarle. Per fare colpo sulle ragazze, diceva. Ormai aveva vent’anni, ma si sentiva sempre insicuro di fronte a due occhi femminili. Il sapere gli dava sicurezza. Ed anche autostima che non aveva saputo guadagnarsi nella prima adolescenza. E poi pregava. Tutti, intorno a quel falò, avevano pregato quel giorno o avrebbero pregato prima di dormire. Erano felici. Si vedeva dagli occhi. Avevano fiducia nella vita, nel futuro, convinti che di loro sarebbe stato qualcosa di buono. Degno di eternità. Consapevoli che un giorno si sarebbero ritrovati ancora tutti insieme, accanto al Signore, ed avrebbero vissuto per sempre. Anch‘io ero felice. Francesco non si era nemmeno mai voltato a guardarmi. Era rimasto seduto, con lo sguardo fisso su un ceppo di legno infuocato. Ad un certo punto, impugnò una pietra e la scagliò dalla parte opposta del mare, oltre i cespugli di rovi; quel suo gesto mi fece sussultare. Lo fissai. Compresi subito che qualcosa era diverso. "Francesco…" Si voltò per un istante, riuscii ad incontrare i suoi occhi schivi; erano di un azzurro profondo, reso più vivo dal riflesso delle fiamme contro le sue pupille. I capelli biondi gli coprivano le sopracciglia aggrottare, dissimulavano la sua espressione affranta. "Io vado a dormire" Disse, con il tono di voce eccessivamente alto di chi vuol far sembrare agli altri di stare bene, mentre si vede benissimo che qualcosa non va. Si alzò di scatto, scavalcò le gambe distese di Luciana e si avviò verso la tenda. Io lo seguii con lo sguardo, fino a quando sentii chiudersi la cerniera del sacco a pelo. Mi voltai. Tutti mi fissavano; riuscivo quasi ad udire il fragore del loro respiro. Continua... |
Post n°23 pubblicato il 05 Settembre 2008 da ParticuLaura
La sua voce stridula risuona tra le pareti spente di questo palazzo. Non c’è muro che tenga. Tutto sembra trasparente, superfluo, inconsistente di fronte alla disperata richiesta d’aiuto. Pochi metri ci separano. Dieci centimetri di cemento. Un pavimento ingiallito. Solo il gelido suono di quei lamenti, neanche una frase esce da quella bocca. Solo lamenti. Lamenti inzuppati di odore di alcool. Non importa che cosa. Whisky, Cognac, birra, vino, vodka. Uno vale l’alto. la gola si corrode ad ogni sorso di più, implora pietà, implora un istante di respiro. Ma no. Il bicchiere si riempie e si svuota in meno di quindici secondi. E va giù. L’oblio va giù per l’esofago, raggiunge lo stomaco, pervade il fegato, l’intestino. Il corpo. E l’oblio lo vendono dappertutto. Anche nel supermercato dietro casa. Bastano pochi passi traballanti per raggiungere la mensola del negozio, dove l’oblio viene venduto in bottiglie di diversi colori. Questo, quest’altro. Anche quello. La mano tremante afferra il vecchio portafoglio di pelle marrone, un regalo che riporta a tempi trascorsi ormai. A quando era viva mamma. Con la sua morte poi, il buio totale. Il nulla. Nessun parente. Nessun figlio. Nessun marito o conoscente. Ed allora l’inutilità riprende vigore, s’insinua nelle viscere e pone là le sue prorompenti radici. Là, dove nemmeno il sole può più arrivare. |
"…Nel sogno ha tutto un’altra consistenza; l’astratto si fonde con ciò che non è, il vero ed il falso appaiono in un’unica indivisibile essenza, non esistono barriere o cime da scalare; ti guardi intorno e vedi il mare, poi ti volti di nuovo, e senti i tuoi piedi affondare dolcemente nel bianco della neve; ti volti ancora, e stavolta stenti a respirare, il naso schiacciato sul petto del tuo peggior nemico, con le sue braccia che affettuosamente ti avvolgono.
Ma quando sei lì devi solo sperare. Concentrarti, e sperare che il vento non cambi direzione. Ma poi è sempre così, se gli stai simpatico soffia dalla tua parte, e se invece non gli piaci si volta di scatto ed inizia a correrti incontro…"
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"...Chiuse gli occhi ed inspirò l’odore della vita. Quando li riaprì, fu talmente estasiata da quello che aveva sentito, che iniziò a fare aritmici respiri, sempre più veloci e profondi, per poter inspirare ancora una volta quella dolce aroma. Quando l’aria usciva dai suoi polmoni, sembrava che questa fosse così impaziente di ritornarvi dentro, tanto da non poter attendere un istante di più...."
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